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Pedagogista e Pedagogista Giuridico ( CTU e CTP)

giovedì 4 settembre 2014

II° parte della tesi di laurea in educatore professionale L 18 triennale 4 capitolo, parte sperimentale, e conclusioni

II° parte della tesi di laurea in educatore professionale L 18 triennale 4 capitolo, parte sperimentale, e conclusioni

Quarta parte

Esperienza di counseling di gruppo presso la scuola I.P.S.I.A. A. Pacinotti di Foggia


Introduzione

Lo studio di ricerca presenta un programma di prevenzione nell’ambito delle tossicodipendenze relativo alle sostanze psicotrope, alle principali droghe d’abuso, svolto, come counseling di gruppo non direttivo rogersiano, in una scuola media superiore. L’I.P.S.I.A. A. Pacinotti di Foggia. Il motivo della scelta è la specifica conoscenza della realtà dei soggetti “a rischio” in essa presenti, anche perché io stessa ho compiuto in tale scuola gli studi superiori. Essa è composta da 500 studenti: 420 ragazzi e 80 ragazze di età compresa tra i 14 e i 21 anni. La scuola ha quattro indirizzi: elettrico, elettronico, meccanico per i ragazzi e il settore moda per le ragazze.
Nella prima fase di questo lavoro ho utilizzato 3 gruppi di 1 ragazzi/e e formati rispettivamente da:

Ragazzi/e di prime e seconde classi;
Ragazzi/e di terze e quarte classi;
Ragazzi/e di quinte classi.


Ho ritenuto opportuno suddividere cosi i gruppi per rispettare da un lato l’omogeneità dell’età e delle problematiche ad essa inerenti dall’altro l’eterogeneità del genere sessuale.
Nella seconda fase, visto il metodo di simulazione utilizzato, ho preso in esame un gruppo formato da 15 ragazzi delle sole quarte e quinte, in quanto il metodo utilizzato richiede un certo grado di maturità da parte degli studenti.
Tutto lo studio si è svolto in sedici incontri, con il permesso dei ragazzi/e, degli insegnanti e della preside, organizzati in modo da rispettare la legge sulla privacy e sulla trasparenza. Per rendere più fedele la riproduzione delle risposte ho utilizzato la registrazione diretta degli incontri.
Nella prima fase ho utilizzato domande aperte preimpostate da me con lo scopo di indurre una discussione tra i ragazzi, permettendo loro di porre eventuali domande.
Nella seconda fase ho utilizzato una tecnica di simulazione in un contesto di tossicodipendenza.
















Prima fase

In questa prima fase ho utilizzato tre gruppi di ragazzi formati con l’aiuto dei loro insegnanti, i quali mi hanno segnalato ragazzi/e con problematiche più o meno simili, ad es. con caratteristiche devianti, con problemi di socializzazione, con problemi familiari o con gli insegnanti stessi, ragazzi apatici con un calo motivazionale, etc. La gentilissima preside mi ha concesso dodici incontri per la realizzazione di questa prima fase, divisi in due ore al giorno, per tre volte alla settimana e quattro incontri per ogni gruppo.
I tre gruppi sono formati rispettivamente da:

12 ragazzi/e di prime e seconde classi;
12 ragazzi/e di terze e quarte classi;
12 ragazzi/e di quinte classi.

In questi incontri ho utilizzato un intervista semistrutturata, definendo le aree che intendevo esplorare a proposito della tossicodipendenza; non ho seguito l’ordine di domande prestabilito, lasciando ai ragazzi la libertà di affrontare gli aspetti più interessanti dell’argomento in questione. E’ da sottolineare che l’intervista ha rappresentato solo un’occasione per favorire il modello educativo di dialogo e confronto, in cui tutte le persone possono sentirsi coinvolte in un processo di inter-scambio e arricchimento reciproco.
Passo ora ad esporre le domande rivolte ai studenti.

Chi è il tossicodipendente?
Cos’è la tossicodipendenza?
Quale differenza passa tra uno studente che fa uso di eroina o cocaina e uno che fa uso di marijuana o hashish?
Quali sono gli effetti delle sostanze che conoscete?
Quali sono le conseguenze a lungo termine che portano queste sostanze?
La discoteca, la musica alta, il tipo di musica, quanto possono influire sull’uso di sostanze incluso l’alcool?
Chi fa uso di sostanze all’uscita della discoteca prende l’auto e torna a casa. Quante difficoltà si possono incontrare durante il tragitto?
Quando uscite la sera vi imbattete in conoscenti e amici che vi offrono o fanno uso di stupefacenti. Trovate che sia allettante l’eventuale offerta di queste sostanze e perché? Se invece guardate chi ne fa uso, siete d’accordo? Perché?
Durante lo studio, prima di un’interrogazione o un compito in classe, fate uso di sostanze? Per quale motivo?
Cosa ne pensate dello “spaccio” davanti alle scuole?
Quanto vi aiuta la scuola ad approfondire questi argomenti?
Gli insegnanti vi sono d’aiuto? Avete fiducia in loro? Date loro la possibilità di aiutarvi?
Quale tipo di rapporto avete con i vostri familiari? Avete dei tabù che ritenete creati da loro?
Se un genitore vi dice di non usare le sostanze, qual è la vostra reazione dentro e fuori la famiglia e nei gruppi amicali?
Se invece vi danno informazioni circa le malattie come l’HIV, le epatiti, la sifilide o altro, il vostro comportamento è uguale a quello usato in precedenza?
Dicono che alcune sostanze siano stimolanti per il sesso. Cosa ne pensate?
Preferite che siano gli insegnanti o i familiari ad informarvi sulle tossicodipendenze o sul sesso? Oppure preferite personale professionisti e persone qualificate del settore?
In questa scuola avete a disposizione i C.I.C. che uso ne fate?
Quali informazioni o consigli dareste ad un vostro familiare o amico con problemi di tossicodipendenza?
Quante strutture socio-educative per tossicodipendenti (SER.T. o C.T.T.) conoscete? Cosa ne pensate?
Conoscete le leggi riguardanti la detenzione e lo spaccio di stupefacenti?
Dopo tutte queste discussioni è cambiato qualcosa nel vostro modo di pensare circa la tossicodipendenza? E’ stato efficace, oppure avevate già tutte queste informazioni?

Sin dalle prime domande si sono evidenziate delle differenze di pensiero tra i ragazzi che apparivano in un primo momento, smarriti, intimiditi, perché non avevano ancora acquisito l’idea di gruppo. Nel corso del counseling, invece si sono registrati dei progressi nella comunicazione, nella conoscenza e nei legami interpersonali. Queste domande le ho utilizzate per tuti i gruppi.
Come ho già premesso, ho scelto il primo gruppo composto di dodici ragazzi/e scelti tra tutte le prime e seconde classi presenti nell’istituto, li ho disposti a ferro di cavallo in modo da creare un atmosfera più calda e accogliente, idonea alla comunicazione. Le domande le ho fatte durante la discussione, in modo che loro non avessero l’impressione di un’intervista. Le risposte dei ragazzi vengono riportate in forma diretta.
Per rispetto della privacy, i nomi attribuiti ai ragazzi/e sono di pura fantasia.



















Primo gruppo

Nel primo gruppo Marco, un ragazzo di 15 anni, leader del gruppo, inizialmente ha risposto a tutte le domande con l’intento di far notare quanto già fosse informato, mentre gli altri si nascondevano dietro di lui. Infatti alcuni di loro si rivolgevano a me dicendo: “E lui che si fa le canne e altro, ogni giorno!”, mentre lui ridendo diceva con tono provocatorio: “senza di quelle non posso vivere, io so già tutto e non ho bisogno di lei!”. E’ chiaro che ha avuto paura di esporsi.
Successivamente sono intervenuta, ho saltato le varie domande e ho chiesto: “ Cosa pensate dei ragazzi che fanno uso di stupefacenti? Fabrizio ha detto “che è uno stupido!” Maria invece. “Anche se si fa le canne è un tossicodipendente!”.
Ho fatto in modo di coinvolgere attivamente tutti i ragazzi. Soprattutto per mantenere costante il livello di attenzione, abbiamo fatto ricorso a giochi relazionali di gruppo, prendendo spunto, volta per volta da quanto emergeva.
Il mio intervento è stato caloroso e amichevole, ma allo stesso tempo fermo. Gli ho detto “facciamo un gioco, tu mi dici quale differenza passa tra un tossicodipendente e te e quali sono gli effetti a medio e lungo termine di tutte le sostanze che prendi ogni giorno. Ogni volta che sbagli te lo dico e lo chiediamo ad un tuo amico. Vediamo se lui lo sa!”.
IL gioco sfida è piaciuto ai ragazzi che cominciavano ad interagire tra loro. Le risposte fornitemi hanno portato ad alcuni risultati importanti.
In generale, le droghe vengono considerate come un rifugio rispetto ai problemi familiari e di inserimento sociale, utilizzate da chi ha una personalità debole o è incapace di affrontare la vita in maniera costruttiva. In particolare, i ragazzi ritengono che, quando una persona fa uso continuativo di droghe, alteri i propri sentimenti e comportamenti, anche nei confronti delle persone più care, arrivando, nei casi estremi, ad atti violenti e inconsulti.
La maggior parte di loro è ben informata sugli effetti a breve termine delle sostanze leggere e sulla dipendenza dall’uso di sostanze psicoattive pesanti, ma non conoscono gli effetti a medio e lungo termine delle prime. Nei giorni successivi con l’ausilio di materiale informativo sugli effetti delle droghe sul cervello, ha stimolato la discussione sulle curiosità, dubbi e problematiche relative alla tossicodipendenza, anche dal punto di vista medico. Vengono qui di seguito riportate le risposte più frequenti relative alle domande che abbiamo ritenuto più interessanti ai fini di un dibattito.
Per quanto riguarda tutta l’area dei rapporti i ragazzi affermano, in linea di massima, di non avere problemi con i grandi, anche se poi molti dichiarano di non sentirsi compresi da loro. Approfondendo il vissuto emozionale, si evidenzia che il morale cala soprattutto per delusioni, incomprensioni, incertezze per il futuro, difficoltà scolastiche e rapporti con gli altri. Quando si sentono depressi, si rivolgono soprattutto agli amici, ma anche alla famiglia; una piccola parte si rivolge a un professore; mentre molti preferiscono non rivolgersi a nessuno, chiudendosi principalmente in sé stessi, cercando di trovare soluzioni da soli.
Per quanto riguarda a percezione d’uso delle droghe, la maggior parte degli studenti ritiene che il periodo critico per l’inizio dell’uso di sostanze psicoattive sia l’adolescenza. Nelle risposte inerenti alla percezione del “fumo”, questo viene in genere visto come un modo per sentirsi o per apparire più grande all’interno del gruppo.
Il fumo viene altresì considerato dannoso per sé e per l’ambiente. A volte sono i ragazzi che criticano gli adulti che fumano.
I ragazzi cominciano ad aprirsi: Marco si è avvicinato dicendomi di essere sfiduciato nei confronti dei compagni e che per la prima volta sentiva la necessità di essere aiutato, voleva raccontare la sua storia, cosi senza esitare l’ho invitato subito a farlo.
“Mio padre è un alcolista e mia madre una tossicodipendente, mia sorella è andata via di casa aspettava un figlio e non voleva che crescesse in una famiglia aggressiva. Ho sempre temuto che mio padre la violentasse, la mia vita è sempre stata ossessionata da questo dubbio.
Mio padre non capisce noi, ma noi dobbiamo capire lui, mia madre lo copre sempre, è una povera vittima, lei si fa di eroina per sopportare meglio mio padre. Non ho potuto mai avere degli amici perché ho vergogna di tornare a casa e presentarli ai miei. Soffro nel vedere gli altri che hanno un buon rapporto sia con la famiglia che con i professori, voglio cambiare ma ho paura, le canne mi fanno sentire meno solo”.
Da questo racconto emerge un clima familiare non positivo, dove c’è una figura evidente, il padre che da ordini e vuole essere compreso ma non comprendere: userei il termine padre-padrone. Il figlio assume un atteggiamento genitoriale nei confronti della famiglia  vorrebbe proteggere la sorella, giustifica la madre,  vive  con l’ossessione di una violenza sessuale nei confronti della sorella, probabilmente una rimozione della sua accettazione inconscia. La madre viene considerata una povera vittima, la giustifica e le assegna un ruolo marginale. Il ragazzo soffre nel vedere il buon rapporto che i suoi coetanei hanno familiari ed amici, pensa di essere il solo a vivere quella condizione, si vergogna della sua famiglia, imita inconsciamente il padre assumendo il ruolo di bullo a scuola, fa uso di droga, unica compagna di vita e forse non si accorge che i suoi compagni di scuola lo considerano un leader.
A questo punto ho cercato di far capire al gruppo come sia importante ascoltare gli altri, non avere pregiudizi, ma riuscire  a guardare oltre, in modo da scoprire altre realtà con problematiche diverse o simili a quelle di Marco. Ho dimostrato come sia facile chiedere aiuto fidandosi dei compagni, ma anche degli insegnanti. Ho ricordato loro che la scuola deve essere considerata un luogo di crescita, non solo culturale, ma anche sociale.
Alla fine Marco ha colto l’insegnamento, ha capito di essere circondato da ragazzi pronti ad ascoltarlo, a stargli vicino e a divertirsi con lui. Finito il counseling, i ragazzi hanno deciso di uscire la sera per mangiare una pizza tutti insieme.
La volta successiva i ragazzi già sapevano che sarei andata da loro ed erano felici di accogliermi, si erano già fatti trovare con le sedie a ferro di cavallo. Prima di iniziare ho chiesto com’è andata l’uscita; con mio grande stupore mi hanno risosto: “ Quale uscita? sono tre giorni che usciamo tutti insieme!”.
Marco aveva una luce diversa negli occhi e sorridendo mi ha detto “i miei amici sono meglio delle canne, non è che non me le faccio più, ma ho di minuito”.
Ho chiesto loro se qualcuno voleva raccontare la propria storia, ma non l’hanno fatto. Mi hanno chiesto se potevano essere loro a chiedermi qualcosa; gli ho detto di si e mi hanno fatto domande come: “se io ho un fratello che si buca da chi devo andare?”, “Mio cugino è HIV positivo e mia madre non vuole che io mi avvicini. Corro rischi?”, “Se uno della mia famiglia viene arrestato perché ha rubato per prendere la cocaina, è vero che poi lo mettono subito fuori e si va a fare la comunità?” e cosi di seguito..
Parlando con gli insegnanti ho notato che hanno visto parecchi comportamenti e atteggiamenti cambiati, sia nei loro confronti sia nei confronti dei compagni di classe, sia nel gruppo stesso.
Le tecniche che ho utilizzato sono quelle di autenticità, empatia, non direttività e calore. Si sono verificati dei cambiamenti a livello affettivo, la storia di Marco lo dimostra, ma anche dei relativi comportamenti tra loro e con gli insegnanti e nei pensieri, che sono diventati da negativi a positivi acquisendo una consapevolezza maggiore del fenomeno ce portava a disguidi nelle sfere familiari, amicali e sociali.































Secondo gruppo

Nel secondo gruppo, formato da terze e quarte classi, ho notato che c’era maggiore informazione a riguardo ed esperienze un po’ più dirette e non familiari. Difatti una ragazza di nome Natascia si è subito mesa in vista dicendo: “io spaccio il fumo nella scuola” e raccontava “per me è una cosa normale, io con i miei amici…” e voltandosi verso i compagni di suola intonava in modo dispregiativo “Non loro che sono piccoli!  Parlano e parlano ma non concludono mai niente!” e voltandosi verso di me ha detto “ I miei amici sono grandi e qualunque cosa mi chiedete io ve la posso procurare. Vuoi un telefonino, uno stereo per la macchina, un grammo di hashish? Io lo procuro!”. Continuando: “io sono cosi intelligente da non farmi sgamare dai piedipiatti, che quando torniamo da Pescara con tanti panetti di hashish noi andiamo piano in macchina con lo stereo basso, senza fumare per la strada, e il fumo lo nascondo io nelle mutandine, cosi pure se ci fermano io sono minorenne e non mi possono controllare perché sono donna!”.
Ha concluso questo racconto dicendo “Te! Lo vuoi vedere?” Ha aperto un fazzoletto e ci ha fatto vedere il “fumo”, tutto questo davanti ad un suo imbarazzatissimo professore.
Un atteggiamento provocatorio, una richiesta implicita d’aiuto, un comportamento deviante.
Apprendo dai professori che Natascia è una brava ragazza, ma ha seri problemi familiari. Vive con i nonni da quando era piccola, con il fratello e altri quattro cugini; i genitori e gli zii sono da tanto tempo in carcere e il padre è internato nel manicomio criminale di Napoli. Lei assume questo atteggiamento perché vorrebbe essere trattata come tutti i ragazzi che hanno ricevuto un educazione mafiosa. Lei avendo alle spalle i soli nonni, ormai anziani, non si sente sufficientemente protetta quando le fanno battute sulla sua famiglia, soffre, cosi assume questi atteggiamenti provocatori. Tra l’altro anche il fratello e i quattro cugini sono spacciatori e hanno problemi di tossicodipendenza.
Anche in questo caso mi è sembrato che un’ istituzione socio-educativa come la scuola potesse fare qualcosa per modificare questa situazione. Ad es.  potrebbe realizzare dei laboratori nelle ore pomeridiane, dove insieme si potrebbero preparare dei pranzi o creare interessi nuovi per gli studenti; oppure un laboratorio dove i ragazzi possono suonare la chitarra o la batteria o il pianoforte. Si potrebbero anche creare dei gruppi e far cantare i ragazzi secondo i propri interessi e i gusti musicali; laboratori di informatica dove i ragazzi possano accedere ad internet sotto il controllo degli insegnanti; Inoltre visto che la scuola dispone di un grande laboratorio linguistico, si potrebbe chiedere ai ragazzi di poter parlare con i loro coetanei nell’Unione Europea o stimolare i ragazzi interessati alla pittura o al disegno a partecipare a gare. Ma non bisogna dimenticare l’importanza delle attività sportive: calcio, basket, etc. Sarebbe buona cosa organizzare anche visite guidate ad alcune fiere, mostre foografiche, di pittura o altro, a musei, al cinema. Tutto ciò per impegnare gli studenti e per spingerli a crearsi degli interessi e ad esplorare quelle qualità che probabilmente non sanno di avere.
Con Natascia ho puntato sull’utilizzo delle schede informative sulle tossicodipendenze.
Ho discusso molto sulle conseguenze a cui gli stupefacenti avrebbero potuto portarla sia a livello giudiziario che sociale; ho inoltre focalizzato l’attenzione sull’immagine stereotipata che hanno di lei e sulla personalità creata da lei stessa  che non corrisponde a quella vera, perché sta indossando una maschera. Le ho chiesto di provare a modificare i suoi affetti nei confronti dei compagni e di comportarsi con i suoi compagni in modo equo: “Proviamo a vedere come i tuoi compagni si pongono nei tuoi confronti, se ti rispettano di più”. Lei ha accettato.
In seguito negli altri counseling ho osservato come la ragazza, anche se un po’ a fatica, non si metteva più in mostra, ma ascoltava di più, faceva domande, ed anche nella sua classe si comportava in modo differente, sia con le compagne che con i professori. Gli studenti a rischio hanno una grande capacità di chiedere aiuto, mettendosi in mostra; a volte queste richieste non vengono recepite dagli adulti che condannano, come ho affermato in precedenza, gli atteggiamenti di questi ragazzi senza però proporre una valida soluzione al problema. Siamo noi a dover entrare nel loro mondo cogliendo gli input che ci danno; per aiutarli a cambiare dobbiamo avvicinarci al loro linguaggio, capire la personalità, non condannandoli o lasciandoli soli con sé stessi, ma conducendoli per mano ad ottenere dei miglioramenti, usando tutti i metodi e le strategie a nostra disposizione. La mia proposta agli insegnanti è stata quella di portarli a visitare qualche C.T.T. proprio perché possano avere un’idea di come vivono i tossicodipendenti, dei sacrifici che fanno per stare meglio psicologicamente e fisicamente (kilpatrik metodo dei problemi e dei progetti) la proposta è stata accettata.


























Terzo gruppo


Il terzo gruppo è formato da 12 ragazzi/e di tutte le quinte classi. I ragazzi erano più interessati alle domande sulla guida pericolosa, agli effetti delle droghe in discoteca e alle malattie correlate alla tossicodipendenza.
Un ruolo importante viene riconosciuto all’informazione proveniente dalle TV e dai mass media in generale, ai dibattiti con persone esperte, in cui poter anche avere testimonianze di chi ha vissuto direttamente il problema della tossicodipendenza.
I ragazzi lamentano la mancanza di spazi di accoglienza centri di ascolto per i giovani. Vengono visti favorevolmente i CIC nelle suole.
Risetto alla domanda “Si può uscire dalla droga?”, hanno suggerito diversi percorsi. Il messaggio più frequente è stato quello di “vivere la vita senza usare stupefacenti” in quanto c’è la percezione che è molto difficile uscire dalle droghe, anche se non impossibile. Molti di essi hanno fatto appello al senso di responsabilità personale.
La maggior parte dei ragazzi il pomeriggio si dedica ad attività sportive, oppure aiuta la famiglia. Quasi tutti ricevono denaro dai familiari. La disponibilità di denaro è una delle cause dell’acquisto di sostanze stupefacenti.
Ho notato subito che erano più interessati al counseling perché c’erano degli amici in comune che facevano uso delle sostanze; mi chiedevano soprattutto cosa potessero fare i SER.T. per questi loro amici e se potevano andare loro stessi a fare un colloqui con i psicologi.
Questo gruppo era molto più legato affettivamente, erano molto attenti e interessati alla questione; qualcuno di loro era un po’diffidente all’inizio nel parlare, poi si è aperto e abbiamo letto insieme le schede informative sugli effetti.
Alla fine dell’intero counseling loro stessi hanno affermato che è stato molto interessante e che avevano acquisito maggiori informazioni.
Mi hanno ringraziato, ma prima di andare via, una di loro, Fabiana, l’unica che ascoltava, mi guardava fisso e non chiedeva nulla; mi ha fermata è ha detto: “ Ho mio cugino che fa uso di sostanze, io gli ero molto legata ma lui mi ha deluso, perché dopo che è uscito dalla tossicodipendenza ci è ricascato. Prima io lo difendevo con la famiglia, ma adesso…voglio dire…non è che io la penso come loro ma quando lo vedo è più forte di me, non lo guardo in faccia. Mi fa capire, per favore?” E’ chiaro che questa ragazza già dall’inizio voleva attirare la mia attenzione con lo sguardo che io ho ricambiato; ma ho voluto aspettare i suoi tempi, mi aspettavo di essere fermata alla fine del counseling. Fabiana vive male questa situazione  in cui si sente combattuta  e pressata tra la famiglia che parla male di lui e lei stessa molto legata a suo cugino, del quale si sente molto delusa ma, nello stesso tempo, è anche l’unica a sentirsi legittimata a parlar male di lu, perché sente di volergli veramente bene.
A volte gli adolescenti si sentono, in tali situazioni, come “salvatori” o  hanno la cosiddetta “sindrome da crocerossina”, sentono che i loro sentimenti sono autentici e che gli adulti non sono capaci di amare, ma solo di “sparlare” . Ho organizzato un altro esperimento riservato agòli studenti più interessati tra tutte le quarte e le quinte e ho invitato anche Fabiana ad assistere o partecipare. La ragazza immediatamente mi ha detto “si”.
I ragazzi sentono la necessità di un maggiore dialogo, comprensione, solidarietà, affetto. Secondo questi, bisognerebbe parlare ai giovani co lo stesso linguaggio, aiutarli ad avere più fiducia in sé stessi senza colpevolizzarli e accusarli di essere una generazione priva di valori. I genitori dovrebbero stare più tempo insieme ai propri figli, anche per guidarli nelle scelte, mentre la scuola si dovrebbe occupare maggiormente dei problemi sociali che derivano dalla vita di tutti i giorni.









































SECONDA FASE

In questa fase ho utilizzato un'altra tecnica di prevenzione primaria, quella dei modelli volti ad incrementare le risorse personali citati nella parte compilativa.
Visto il metodo di simulazione utilizzato, ho preso in esame un gruppo formato da quindici ragazzi delle sole quarte e quinte, perché richiedeva un certo grado di maturità.
Si tratta di una tecnica di simulazione in un contesto di tossicodipendenza.
Per quest’altro lavoro mi sono state messe a disposizione altri 4 giorni di 2 ore ciascuno.
Ho prefigurato un contesto di ragazzi no tossicodipendenti, che si sono incontrati con ragazzi tossicodipendenti in una serata organizzata a Foggia, prima in un pub, poi in discoeca. In questo lavoro ho coinvolto i ragazzi facendo realizzare una scheda di osservazione a coloro che avevano il compito di osservare, mentre agli altri ho detto di stare molto attenti perché avrei introdotto figure nuove. Ad altri ancora  ho chiesto di “fare finta di…”, cioè di immedesimarsi in alcuni ruoli. Tutto ciò aveva l’obiettivo di mostrare come certe situazioni si attuassero nella realtà di un contesto di questo genere, di come fosse facile dire “si” per uno che ha già provato ( risposta a Fabiana) e come, analogamente fosse facile die “no” per uno che non ha mai provato, cioè come valga il detto: “ mai dire mai”. Nel primo gruppo Fabio è il tossicodipendente, mentre Maria non lo è.


























Prima situazione

Fabio chiama Maria, a lei piace Fabio ma sa che lui è tossicodipendente e quando la chiama per uscire all’inizio lei è titubante, ma dopo accetta.
Fabio va a prendere Maria a casa, ma lei ha paura che lui abbia qualche sostanza con sé.
Maria chiede a Fabio qual è il programma e lui le dice che andranno prima in un pub, poi in discoteca.
Arrivano al pub…

Fabio: Ciao Mary, sono Fabio!
Maria: ciao Fabio, come va? A me bene. A te?
Fabio: Anche a me. Ascolta, ti va di uscire con me stasera? Ti porto prima in un pub e poi in disco. Una serata da sballo. Su! Non mi dire di no!
Maria: Veramente io avrei già un impegno.
Fabio: Disdici ti faccio divertire stasera, promesso.
Maria: Ma veramente io…
Fabio: Ti vengo a prendere alle undici. Fatti trovare pronta. Ok?
Maria: Ok!

Fabio arriva a a casa di Maria.
Maria tira un gran respiro, entra in macchina e saluta Fabio.

Maria: chi ci aspetta al pub?
Fabio: Ora non cominciare, ti ho promesso una splendida serata e quella avrai, fidati

Scendono dall’auto e arrivano al pub.

Da qui possiamo notare il timore di Maria e l’irruenza di Fabio.
Difatti, Fabio aveva progettato la serata senza attedere la risposta di Maria. Lei, pur se titubante, non riesce a dirgli di n, lui va a prenderla con l’auto sotto casa e lei prima di entrare sente di mettersi nei guai, ma sospira ed entra. Ora fa una domanda a Fabio, ma lui è vago e chiude il discorso facendo intendere a Maria che la serata andrà come lei aveva già pensato. Ma non lo dice esplicitamente.
Arrivano al pub e Fabio incontra due amici Filippo e Alessia. Filippo è uno spacciatore ed Alessia una ex tossicodipendente.

Fabio: Ciao Fil, Ciao Ale, lei è Mary.
Mary: Ciao.
Fabio: Fil, hai portato la coca come ti ho chiesto?
Filippo: Si!
Fabio: bene!
Fabio: Mary, prendi qualcosa?
Maria: Si, una tequila.

Fabio chiama il cameriere e ordina da bere per tutti.
Intanto i ragazzi bevono e parlano della serata che stanno vivendo.

Dall’analisi di questa situazione è possibile notare come Mary, sebbene fosse inizialmente preoccupata e consapevole delle possibili conseguenze derivate dal frequentare quella compagnia, si sia trovata in realtà a vivere una situazione potenzialmente a rischio, senza fare sostanzialmente nulla per uscirne o perlomeno per limitare la possibilità di rimanerne in qualche modo coinvolta.

Seconda situazione

Il gruppo decide di trascorrere la serata in discoteca e anche Mary accetta di buon grado. Si siedono ad un tavolo e Filippo estrae dalla tasca un piccolo sacchetto….

Filippo: Ho io quel che serve per ravvivare “sta serata spenta”!
Fabio: Si dai! Passami la coca che ti do una mano.
Mary: No ragazzi! Cosa fate? Non voglio finire nei guai! E poi vi fa male!
Fabio: Dai, Mary! Non fare la moralista. Fatti una riga anche tu, poi vedrai che bella che diventa la musica!
Alessia: No ha ragione lei! Dovete piantarla di tirar fuori la coca continuamente. Io ho chiuso con ogni droga e non intendo certo ricominciare stasera.
Filippo: Beh! Voi fate come volete, io e Fabio una riga ce la facciamo.

Le due ragazze cambiano idea velocemente. Vedendo i loro amici scatenarsi in pita, provano un forte desiderio di emulazione, invidiano in qualche modo la loro apparente spensieratezza e una ritrovata vitalità. Ed è cosi che decidono di assumere anche loro la cocaina.

E’ cosi terminata la simulazione in oggetto. Dall’analisi delle schede di osservazione i ragazzi hanno potuto rilevare quanto sia facile trovarsi in situazioni a rischio, anche quando i presupposti iniziali non indicano un livello cosi alto di pericolosità.
L’obiettivo che mi ero prefissata è stato cosi raggiunto. Una persona che ha già fatto uso di stupefacenti non incontra particolare difficoltà a replicare, mentre chi non ha mai avuto contatti con nessuna droga non si può comunque ritenere immune dal fenomeno, soprattutto in presenza di un ambiente che ne incentiva la diffusione.













Conclusioni


Il metodo non direttivo rogersiano, si dimostra di straordinaria importanza, sia perché mette al centro la persona, che da sola decide di cambiare, sia perché fonda le sue basi su caratteristiche quali l’empatia, il calore, il rispetto e l’atteggiamento amichevole.
Ritengo che tali caratteristiche si rivelino di fondamentale importanza ai fin della buona riuscita di un counseling. Infatti sono convinta che il requisito di base che consente un effettivo cambiamento sia da ricercare nella necessità di far sentire l’utente a proprio agio, ma soprattutto protagonista centrale dell’intero processo. E’ quindi necessario che percepisca il fatto di essere lui stesso in grado di apportare le necessarie modifiche comportamentali, senza che queste siano considerate azioni indotte dall’esterno.
Ritengo che i risultati ottenuti nell’esperimento che ho effettuato avvalorino questa posizione. Infatti i “clienti” hanno cominciato a manifestare i primi segni di coinvolgimento solo quando hanno percepito maggiormente la necessità di un cambiamento affettivo e comportamentale. Tutto questo ha avuto luogo solo dal momento in cui si sono resi conto che le possibilità di cambiamento erano non solo possibili, ma assolutamente dipendenti dal proprio atteggiamenti. E’ venuta quindi meno la convinzione che lo stile intrapreso fosse una pura conseguenza di fattori negativi esterni all’individuo, pensiero che ha lasciato lentamente spazio all’intuizione che fosse possibile cambiare direttamente dall’interno.
Non intendo negare che altri approcci di counseling siano in grado di portare risultati soddisfacenti. Del resto i numerosi studi effettuati e i relativi esperimenti realizzai hanno dimostrato che non esiste un tipo di approccio totalmente valido, cioè un metodo da preferirsi in modo assoluto ad altri.
Sono convinta però del fatto che la considerazione ottimistica delle proprie potenzialità sia elemento indispensabile alla buona riuscita del processo, quindi ritengo che l’approccio rogersiano sia da preferirsi ad altri, anche se è innegabile che in questa materia si sia ancora ben lontani dal potersi pronunciare in modo assoluto e categorico.
Firma
Educatrice professionale sociale
Dott.ssa Vittoria Salice












Ringraziamenti

Vorrei ringraziare:

La Prof. ssa Francesca Emiliani docente di Psicologia Sociale nonché mia relatrice della tesi sulle counseling con i Tossicodipendenti per la preziosa collaborazione;
il mio correlatore Dott. Giannino Melotti per i preziosi consigli;
il dott. Andrea Lado per l’aiuto fornitomi durante la stesura della tesi;
Ringrazio L’Università di Bologna in particolare tutti i prof. della Facoltà di Scienze della Formazione del corso di Laurea in Scienze dell’ Educazione e della Formazione dell’indirizzo Educatore Professionale per avermi dato la Formazione per approfondire gli Studi,
Ringrazio inoltre il Ser.T del Distretto Est del poliambulatorio Carpaccio di Bologna in “doppia diagnosi”, in particolare il Primario dott. C. Comaschi per avermi dato preziosi consigli per  quanto riguarda le tossicodipendenze da un punto di vista problematico
ringrazio i miei tutor: Dodaro Tatiana educatrice professionale (non laureata) per il  Ser.t. di Bologna per i suoi punti di vista
 La prof. L. Cavana già mia tutor universitaria e docente di Educazione degli Adulti o Andragogia per i suoi preziosi consigli sulle tecniche e gli strumenti che l’educatore utilizza per i tossicodipendenti
Ringrazio anche la scuola IPSIA A. Pacinotti che durante la stesura della mia tesi sperimentale sul caunseling mi ha permesso di fare esperienza e di capire la differenza tra caunselor, mediazione familiare e pedagogista ed educatore professionale sociale  
la preside dell’istituto I.P.S.I.A. A. Pacinotti di Foggia, Dott.ssa Michelina Boccia, per avermi concesso la possibilità di realizzare la parte sperimentale di questa Tesi;
il vicepreside, dott. Rocco Pietrantuono, per la disponibilità dimostratami;
la prof.ssa Enrichetta Pelosi, per avermi fornito un aiuto indispensabile nella preparazione del counseling con gli studenti;
gli studenti tutti, per la splendida partecipazione dimostrata.

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