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Pedagogista e Pedagogista Giuridico ( CTU e CTP)

venerdì 5 settembre 2014

capitolo 3 e 4 (I parte) della Tesi di Laurea Magistrale LM 85 in scienze pedagogiche la famiglia moderna e la genitorialità

Capitolo 3. La famiglia

3.1. Definizione della famiglia
Definire la famiglia è un compito arduo perché tesa a continui cambiamenti nel tempo, ma possiamo rintracciare definizioni diverse in ambito psicologico, pedagogico, sociologico, antropologico, giuridico, etc..
Secondo P. Donati, “con il termine famiglia viene designata una vasta gamma di forme sociali con strutture relazionali molto diversificate e con confini variabili da cultura a cultura. Ogni cultura ha una sua specifica rappresentazione della famiglia e il fatto stesso che oggi questa rappresentazione sembra svanire non vuol dire che la famiglia scompaia, ma che ci troviamo di fronte ad un processo socio-culturale di ri-differenziazione della famiglia stessa”[1]
L’antropologo Lévi-Strauss la definiva come “l’unione più o meno durevole, socialmente approvata, di un uomo, una donna e i loro figli, presente in ogni e qualunque tipo di società”[2].
Con la “Riforma del diritto di famiglia”, introdotta con L. 18 maggio 1975 n. 151, si riconosce l’assoluta parità giuridica dei coniugi; il riconoscimento dei figli naturali, con identici diritti successori per i figli naturali  D.Lgs. 154 del 28/12/13 in G.U. 08/01/'14 capo 2 art.3 comma 1 n° 2 lettera b, e per quelli legittimi; la potestà esercitata da entrambi i genitori; la qualifica di erede (e non di usufruttuario) conferita al coniuge superstite[3].

Scabini nel 1995 definì la famiglia: “un’organizzazione  di relazioni primarie, fondata sulla differenza di gender, e tra quella di generazioni e stirpi, essa ha come obiettivo e progetto intrinseco la generatività”
Il termine gender (Scabini) si riferisce all’identità socioculturale del sesso maschile o femminile, la famiglia organizza relazioni, quelle coniugali e quelle parenterali–filiali, riferite sia alle rispettive famiglie d’origine che a quelle generate con il connesso asse fraterno. Il termine differenze fa riferimento alla relazioni asimmetriche o complementari tra generazioni (trigenerazionale) [4].

3.2. Teorie sulla famiglia
Studiare la famiglia significa prendere in esame tre insiemi di ordini:
1.            individuale;
2.            relazionale;
3.            sociale.

La famiglia è costituita da singoli individui, è altrettanto vero che questi si trovano invischiati in relazioni fra loro e, ancor più, si trovano continuamente a relazionarsi con le strutture sociali esterne.
Per Donati, la prima agenzia di socializzazione è la famiglia, ogni bambino, al momento della nascita, eredita, oltre al patrimonio genetico, anche i miti familiari, gli affetti, l’amore, così come il rancore, le gelosie, le insoddisfazioni, i rapporti rimasti irrisolti dei genitori con i propri genitori. Un primo bagaglio, quindi, che il bambino riceve riguarda la trasmissione intergenerazionale di debiti e crediti affettivi inconsci e consci[5].
Il patrimonio culturale familiare, attraverso il linguaggio dei genitori, dei fratelli, dei nonni, viene trasmesso al bambino. Si tratta del patrimonio culturale di una ben precisa famiglia, in un determinato ambiente geografico, in un altrettanto preciso momento storico.
E’ attraverso la famiglia che entriamo in contatto con l’ordine significativo del mondo, con tutte le dimensioni della vita: da quelle biologiche a quelle psicologiche, sociali, culturali, economiche, legali, politiche, religiose.
II metodo che, a mio avviso, si avvicina a questa complessità è l’approccio sistemico-relazionale.
Tale approccio considera l’insieme delle relazioni tra i membri della famiglia, i sistemi che queste relazioni costituiscono, gli influssi che le relazioni esercitano sull’individuo e, di conseguenza, quelle che l’individuo trasferisce nelle relazioni interpersonali. Infine, considera le relazioni tra il sistema famiglia e i sistemi con i quali  interagisce all’esterno.
A riguardo delle relazioni interne alla famiglia, un bambino durante la crescita sarà influenzato dai genitori che lo alleveranno, e attraverso loro, dalle generazioni che li avranno preceduti, per contro, la coppia genitoriale verrà mutata dalla nascita del bambino stesso.
Invece, per ciò che riguarda le relazioni esterne alla famiglia, occorre tener conto delle relazioni tra la famiglia e altri sistemi, quali: le famiglie di origine dei due coniugi, gli ambienti di lavoro, le reti amicali, ecc.

3.2.1. Il modello sistemico relazionale
Il modello sistemico-relazionale si configura come un orientamento teorico-pratico che, ispirandosi come riferimento concettuale alla teoria dei sistemi, centra essenzialmente il proprio interesse sui sistemi interpersonali, facendo dell'interazione tra le persone il momento privilegiato dell'analisi dell'intervento. A differenza di altri approcci, nella ricerca sistemica, mentre acquista rilievo ed è oggetto di indagine ciò che accade tra le unità del sistema, non si considera la struttura interna delle singole unità del sistema. La famiglia è un sistema aperto costituito da più unità legate insieme da regole di comportamento e da funzioni dinamiche in costante interazione tra loro e interscambio con l’esterno. Tre aspetti, mutuati dalle teorie dei sistemi e applicati alla famiglia, sono utili per comprendere le principali caratteristiche dell’approccio sistemico relazionale[6]:
1.            la famiglia, un sistema in costante trasformazione: essa tiene conto dello sviluppo delle singole unità all’interno del sistema e dei cambiamenti che comporta il sistema in seguito allo sviluppo dei singoli nel sistema. Che può mantenere un’omeostasi o può essere indirizzata al cambiamento.
2.             La famiglia un sistema che si autogoverna: la famiglia detta regole, questo lo fa con il tempo per errori e tentativi e subisce cambiamenti non solo con lo sviluppo dei figli e l’anzianità dei genitori ma anche a causa dell’ambiente e dell’evoluzione scientifica e tecnologica. I cambiamenti producono adattamenti perché ogni cambiamento: nascita di un figlio, lutto, separazione, divorzio, matrimonio, convivenza, etc., produce cambiamenti in tutto il sistema familiare.
3.            La famiglia è un sistema aperto: in interazione con altri sistemi, i rapporti interfamiliari vanno sempre osservati in relazione con l’insieme dei rapporti sociali, in quanto li condizionano e sono a loro volta condizionati dalle norme e dai valori della società circostante.
Risulta importante, in tal contesto, l'osservazione delle relazioni che vengono a costituirsi all'interno del nucleo familiare. Il paziente non è colui che subisce ed esibisce un sintomo, ma, paradossalmente, è esso stesso un sintomo: quello di una famiglia disfunzionale. Ciò che è osservabile nell'hic et nunc (qui ed ora), ossia i comportamenti, le relazioni, la comunicazione, porta già scritto la storia del disturbo ed è, allo stesso tempo, il terreno su cui intervenire al fine di produrre il cambiamento in pensieri, sentimenti e comportamenti.

3.2.2.  Il ciclo vitale della famiglia
Il ciclo vitale della famiglia è un modello teorico di riferimento che inquadra lo sviluppo spazio-temporale, attraverso l’individuazione di determinate fasi evolutive prevedibili. Lo sviluppo della famiglia avviene per stadi all’interno della dimensione tempo; ogni famiglia ha una storia, si muove cioè in un tempo e in uno spazio connotati di significati e d’intrecci e con i quali essa agisce attivamente. La parola “storia”, marca il trascorrere dell’età e il ruolo degli eventi che ne cadenzano e scandiscono il fluire. Gli eventi critici che si susseguono nel ciclo di vita dei sistemi familiari sono di 2 tipi, eventi critici prevedibili e non prevedibili[7]: 
-   eventi critici prevedibili: sono quelli che caratterizzano i sistemi di entrambe le famiglie d’origine della coppia e quelli generati tra questi, le perdite, i matrimoni, le nascite, etc.
-     eventi critici non prevedibili: sono quelli che non sono rappresentati da script (copioni).
Le fasi del ciclo di vita sono:
1.            formazione della coppia;
2.            la famiglia con bambini;
3.            la famiglia con adolescenti;
4.            la famiglia “trampolino”;
5.            la famiglia in tarda età.

Gli eventi critici sono:
1.            il matrimonio o la convivenza;
2.            la nascita dei figli;
3.            l’adolescenza dei figli;
4.            i figli escono di casa;
5.            il pensionamento, la malattia/ morte.

3.2.3. Gli eventi critici
Con il concetto di “evento critico” in ambito familiare vengono identificati quegli episodi specifici, come il matrimonio, la nascita;  quei fenomeni psicosociali come: l’adolescenza di un figlio, l’entrata o l’uscita di un membro dalla famiglia, che scandiscono la vita della famiglia e costituiscono dei punti di svolta e modificano la struttura stessa del nucleo familiare[8]. L’evento critico genera cambiamenti all’interno della struttura familiare, ad es. un genitore con un figlio adolescente non può comportarsi come se questi fosse un bambino.
Altro esempio, un figlio che esce di casa per lavoro, studio, matrimonio, convivenza, etc., genera il “nido vuoto” negli anziani genitori che saranno portati a cambiare le abitudini per non generare sofferenza nell’organizzazione familiare. Il tutto deve avvenire nel minor tempo possibile per rendere funzionale il nuovo assetto familiare.
Quando il cambiamento non accade nel minor tempo possibile e si blocca a una tappa del ciclo vitale precedente, possono sorgere problemi e disturbi perché si sconvolge l’intero sistema familiare  per il non naturale ciclo degli eventi. La transizione genera crisi e confusione, ma in questo modello la confusione e la crisi sono viste come positive e come un naturale momento maturativo di un intero sistema che in breve tempo trova la sua collocazione spazio-temporale.

3.2.4. La prospettiva trigenerazionale
Il concetto trigenerazionale acquisisce notevole importanza all’interno dell’approccio sistemico- relazionale.
La famiglia plurigenerazionale[9] si forma quando, dopo la scelta del partner, si entra inevitabilmente in contatto con le rispettive famiglie della coppia e delle relazioni di parentela ad essa connesse e tra questi e i loro figli ove gli attori, come in un teatro, agiscono e interagiscono nelle relazioni e negli scambi con ogni sistema familiare nucleare.
La nascita non è un salto nel vuoto. Ciascuno di noi apre gli occhi in un mondo che esiste da prima e indipendentemente da noi; venire al mondo è come essere gettati in un libro in cui ci sono già altri personaggi e altre storie. La nostra presenza cambierà la trama, ma non potremo mai prescindere dalle pagine che precedono la nostra entrata in scena, e da quelle pagine saremo inevitabilmente influenzati[10].
Per Scabini ne deriva che, pur essendo ogni individuo padrone e artefice della sua storia personale, esso sarà inevitabilmente sottoposto all’influenza della storia intergenerazionale. Ogni membro della famiglia nasce in una posizione definita, egli è chiamato a rispondere ad aspettative e ruoli, a sottostare inconsapevolmente a quei processi che dirigono la trasmissione intergenerazionale di norme, valori, comportamenti.
Il modello trigenerazionale, più di ogni altro, prende in considerazione tre generazioni (nonni, genitori, figli). I nonni riproducono ai nipoti le modalità con cui vengono affrontare le vicissitudini esistenziali legate ad es. alla nascita di un figlio, alla perdita di un congiunto, al passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ecc. Queste fasi evolutive sono già state superate dalle famiglie di origine, che hanno così accumulato un’esperienza che viene in qualche modo trasmessa nella famiglia di nuova formazione, che viene ad essere così depositaria di modelli di rapporto appartenuti a generazioni lontane. Questo è un modo per individuare il tipo di famiglia: le regole e i valori trasmessi da una generazione all’altra.
L’adulto che dispensa al figlio cure e attenzioni, diviene a sua volta creditore di una serie di “debiti” che il figlio dovrà saldare. Tale debito esistenziale dei figli verso i loro genitori, il quale difficilmente potrà essere estinto nell’arco di breve tempo, è il fondamento della connessione transgenerazionale. Il “conto” tra genitori e figli resta aperto, a volte, anche quando i figli ormai adulti formano una propria famiglia.

3.3. Socio-Antropologia della famiglia
Nell’arco dei secoli la famiglia ha subito profondi mutamenti, sia nei Paesi Occidentali che nei Paesi Orientali, a causa di diversi fattori, quali: la religione, la politica, etc. In questo paragrafo parlerò del processo evolutivo del sistema parentale, partendo dai sistemi patriarcali e matriarcali fino ad arrivare ai nuovi modelli monogenitoriali, e in secondo luogo delle modifiche che il matrimonio ha subito nel corso dei secoli.

3.3.1. La parentela
Limitatamente in ambito antropologico, è grazie all'opera di Morgan (1818-1881), antropologo americano, che gli istituti della parentela e della discendenza sono definitivamente entrati a far parte delle problematiche di interesse scientifico.
Definiamo innanzitutto i concetti di famiglia e di parentela e di discendenza :
P. Bertolini[11] definisce la famiglia come un gruppo di persone direttamente legate da rapporti di parentela, all’interno del quale i membri adulti hanno la responsabilità di allevare i bambini. Una cooperazione economica, una relazione sessuale socialmente approvata, una durata temporale di una certa continuità, una residenza spaziale comune, la protezione della prole, l’inculturazione[12], una rete di diritti e doveri, caratterizzano questa forma di raggruppamento sociale. Essa si presenta come un ponte tra natura e cultura perché risponde tanto alle esigenze biologiche che a quelle culturali.
La parentela[13] è l’insieme dei rapporti fondati sul matrimonio o linee di discendenza tra consanguinei (nonni, madri, padri, figli, fratelli, sorelle, zii, cugini) ed affini (suocero nuora genero) entro il 6° grado o un rapporto sostitutivo ad es. l’adozione, fondato su vincoli educativi.
Per discendenza intendiamo una conseguenza naturale della procreazione, mentre per parentela il riconoscimento sociale e culturale della discendenza.
La famiglia oggi, come in passato, è stata travolta da una ondata di cambiamenti che hanno prodotto e stanno producendo su di essa e sulla sua struttura profonde modificazioni.
Cercando di tracciare un percorso storico riguardante l’evoluzione delle strutture familiari che si sono succedute in Europa, non possiamo fare a meno di notare anzitutto la difficoltà nel cercare di ricostruire storicamente tale evoluzione e, secondariamente, come numerose siano state le strutture familiari che, nel corso dei secoli, sono sorte, si sono diffuse e sono scomparse.
La parentela designa in senso stretto il rapporto che deriva da una comune genealogia, a un sistema di discendenza. La parentela è il vincolo con le persone che discendono da uno stesso stipite (art. 74 c.c.). Essa ingloba i consanguinei in linea retta e collaterale  discendenti da uno stesso progenitore (art. 75 c.c.) e gli affini (art. 78 c.c.), ovvero i congiunti con il quale si entra in rapporto dopo il matrimonio. Specificatamente, la parentela naturale è limitata tra il genitore e il figlio naturale (ossia nato fuori dal matrimonio) riconosciuto o giudizialmente dichiarato (artt. 258 e 277 c.c.)[14]. In questo modo si vengono a formare non solo due famiglie ma anche due parentele che danno luogo ad una costellazione di parentela: cognati, generi, suoceri, nipoti, cugini etc. Nella linea retta si computano altrettanti gradi quante sono le generazioni, escluso lo stipite (art. 76 c.c.). Nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all'altro parente, sempre restando escluso lo stipite,  la parentela si conta fino al 6° grado (artt. 77 e 572 c.c.)[15] nell' Ordinamento Italiano.


SOGGETTO
genitori parenti in linea retta ascendente di 1° grado
nonni parenti in linea retta ascendente di 2° grado
bisnonni parenti in linea retta ascendente di 3° grado
figli parenti in linea retta discendente di 1° grado
nipoti parenti in linea retta discendente di 2° grado
bisnipoti parenti in linea retta discendente di 3° grado
fratelli e sorelle parenti in linea collaterale di 2° grado
nipoti (figli di fratelli) parenti in linea collaterale di 3° grado
pronipoti (figli di figli di fratelli) parenti in linea collaterale di 4° grado
figli di pronipoti parenti in linea collaterale di 5° grado
zii paterni e materni parenti in linea collaterale di 3° grado
cugini parenti in linea collaterale di 4° grado
figli di cugini parenti in linea collaterale di 5° grado
figli di figli di cugini parenti in linea collaterale di 6° grado
prozii (fratelli dei nonni) parenti in linea collaterale di 4° grado
cugini dei genitori parenti in linea collaterale di 5° grado
figli dei cugini dei genitori parenti in linea collaterale di 6° grado.

Nel Diritto Romano e Giustiniano la parentela,  ha rilevanza giuridica fino al settimo grado: da questo grado in poi i parenti si denominano genericamente maiores (ascendenti) e posteri(discendenti).

Il Diritto Canonico adottò quello GermanicoNell’Alto Medioevo la Chiesa estese il riconoscimento della parentela fino al settimo grado, considerandola entro questo limite come impedimento al matrimonio: il limite però dal quarto Concilio Lateranense del 1215 fu ristretto al quarto grado
Secondo il nuovo Codex Iuris Canonici, che è ritornato al sistema romano, l’impedimento alle nozze nella linea retta è all’infinito, nella collaterale si limita al quarto grado (can. 1091)
Oltre alla parentela naturale, esiste anche una parentela legale, che nasce dall’adozione e che comporta un impedimento matrimoniale (can. 1094), nella linea retta in qualsiasi grado, nella linea collaterale nel secondo grado.

La parentela in alcune società è differenziata per genere, così avremo dei lignaggi o clan[16]:
- Filiazione (antropologia culturale americana). Attraverso il matrimonio, il ruolo del maschio si trasforma da quello di genitori in quello di pater, con tutte le conseguenze che un atto del genere comporta. La prole nata dal connubio sarà infatti considerata di entrambi, cosicché, per diritto di successione, lo status sociale, il nome e le eventuali ricchezze, passeranno da padre in figlio. Essendo un atto al contempo sacro e giuridico, il matrimonio, almeno nella sua accezione formale, prescinde da qualsiasi tipo di sentimento.
 La tipologia più semplice di famiglia è quella nucleare, costituita da un uomo, una donna e i loro figli 
 La famiglia estesa, invece, è caratterizzata dalla presenza di più famiglie nucleari legate tra loro o per via materna o per via paterna che risiedono in uno stesso luogo.
-      relazione agnatica e la filiazione patrilineare dove a prevalere è il sesso maschile e si è parenti solo dei fratelli del padre, escludendo sia le sorelle del padre sia i fratelli e sorelle della madre.

La regola che determina la residenza caratterizza anche la stessa configurazione della famiglia. Nel caso di regola patrilocale quando il figlio maschio si sposa continua a vivere nella casa paterna, portando con sé la moglie e figli
-      relazione uterina e filiazione matrilineare dove a prevalere è il sesso femminile, escludendo i fratelli e le sorelle del padre e i fratelli della madre.;nel caso, invece, di regola matrilocale è la figlia femmina a rimanere in casa delle madre con il marito e i figli.  Nelle società primitive, il matriarcato, rappresentava l'opportunità sociale che la filiazione facesse riferimento almeno ad un genitore certo, affinché si potesse costituire una linea ereditaria altrettanto certa.
-      relazione e filiazione bilineare dove ciascun individuo appartiene a due linee di parentela diverse e a due sistemi di filiazioni diverse.
 Le filiazioni patrilineari, matrilineari e bilineari non impedivano e non impediscono, tutt’ora, i rapporti incestuosi con i “non ritenuti parenti” fino al quinto grado.
-      relazione indifferenziata o cognatica: vi è un indifferenziazione del sesso ma i figli appartengono ad entrambe le famiglie e possono ereditare da qualsiasi dei suoi ascendenti. Questo è il modello delle società contemporanee, ma non in forma pura, in quanto il cognome essendo solo del padre porta ancora l’identificazione della sola famiglia in linea maschile.
La parzialità espressa dal cognome porta la tensione implicita nei vincoli di parentela per la non scelta privilegiata ed esclusiva e per esprimere un’equidistanza ed un’equi-appartenenza. La parentela, infatti, esprime una discendenza, un appartenenza, un controllo, una protezione delle regole, un affettività, degli obblighi, dei doveri e dei diritti. Come scrive Segalen[17]:“tramite il lignaggio, il gruppo domestico si trova collegato alla catena di coloro che l’anno preceduto e gli succederanno nel medesimo luogo, e tramite la parentela, all’insieme dei parenti con i quali si persegue tutto ciò che fa la trama della vita sociale: litigi, amicizie, o lodi”. Questa situazione, oggi, in alcune parti della Comunità Europea è cambiata, ad es. in Spagna un bambino porta entrambi i cognomi dei propri genitori, questo a mio avviso è positivo sia per la donna che sente anche di aver dato la propria identità al figlio, sia per il figlio che sente di avere non solo l’identità delle due famiglie d’origine ma anche la consanguineità.

Un altro problema è la terminologia delle parentele, Lévi Strauss ne individua 5[18]: Eschimo, Hawaiano, Omaha, Crow, Sudanese. Il nostro sistema Occidentale essendo di tipo indifferenziato o cognatico è di tipo Eschimo[19], ad es. se indichiamo cugino/a o zio/a non distinguiamo materno o paterno e questi parenti vengono chiamati per nome, come, d’altronde, facciamo per le sorelle e i fratelli. Il temine nipote può indicare il figlio/a del figlio/a o il figlio/a del fratello o sorella o del cugino/a, per indicare cognato/a possiamo riferirci indistintamente alle due famiglie.
Facendo un excursus dei sistemi parentali, tra nucleari ed estese[20], dalle società primitive ad oggi, possiamo notare le differenze già tra società primitive e quelle ellenistiche e romane. Mentre, nelle società primitive pur essendo già presente la famiglia nucleare, la rete di parentela e i sistemi tribali[21] prevalevano sui singoli legami, nelle società tradizionali ellenistiche e romane, maggiore rilievo acquista la nuclearità della famiglia, e il tipo di legame che prevale è quello fondato sull’autorità di tipo patriarcale con discendenza  patrilineare.
Dopo la caduta dell’Impero romano, la famiglia ha subito un processo di frammentazione e di dispersione; sono comparse nuove formazioni di tipo comunitario o gruppi familiari molto estesi, con norme rigide alternative a quelle dello Stato, che ha perso la sua centralità
Alla fine del Medioevo, la configurazione delle famiglie in Europa si è molto diversificata. Nella famiglia urbana prevalevano le forme nucleari, in quella rurale erano più diffuse le forme estese o multiple; ancora, nell’Europa Mediterranea e Orientale, dove il potere statale era debole, risultava più diffuso il fenomeno delle “grandi famiglie”, mentre, nel centro e nel nord Europa, dove il potere politico più organizzato, prevalevano le famiglie nuclearizzate.
Con l’inizio della Rivoluzione Industriale e con i grandi cambiamenti culturali e sociali che l’hanno accompagnata, è diventato difficile mettere a fuoco i nuovi modelli familiari che si sono succeduti a ritmi vertiginosi. Nel periodo di piena industrializzazione, prevaleva un modello di famiglia di tipo borghese che assumeva un atteggiamento di tipo privatistico ed espressivo, favorito dal rapido accesso alla società dei servizi e dei consumi. Nell’epoca post- industriale, il modello prevalente di forma familiare era quella a carattere nucleare, relativamente privatizzato e isolato dalla parentela. E’ proprio in questa formazione sociale che la famiglia sembrava depotenziarsi a tal punto da diventare sempre meno significativa per la vita sociale.
Negli ultimi cinquant’anni è iniziato, ed è tutt’ora in corso, un processo di trasformazione della famiglia, nelle sue forme interne ed esterne, verso una maggiore complessità, differenziazione ed anche frammentazione al punto che in ambito psicosociale si preferisce adottare il termine “famiglie” al posto di “famiglia”. Nonostante la maggiore fragilità, le incertezze e i grandi timori, essa rimane, comunque, il sistema di reti di solidarietà sul quale le persone continuano ad investire e a costruire il proprio senso di identità ed appartenenza.
Da un punto di vista strutturale, possiamo osservare un completamento della tendenza alla “contrazione” della famiglia, vale a dire una riduzione, sempre maggiore del numero dei suoi componenti, tanto che sono in costante aumento le famiglie unipersonali, composte cioè da un unico individuo. Da un punto di vista funzionale, stiamo assistendo a un restringimento del ruolo pubblico della famiglia e alla valorizzazione degli aspetti legati alla soddisfazione dei bisogni affettivi ed emotivi dei suoi componenti.
Il dilatarsi del periodo di studio, e di formazione, il ritardato ingresso nel mondo del lavoro, la su precarietà e la crescente globalizzazione, che costringe la persona a spostarsi in altri Paesi e a non avere più una dimora fissa, sono fenomeni che si correlano con il ritardato accesso al matrimonio e la posticipazione della nascita del primo figlio.
La risultante di queste trasformazioni è il prolungamento del periodo di convivenza e d’interdipendenza tra genitori e figli giovani-adulti, anche se recentemente si sta verificando il fenomeno di autonomia, indipendenza e libertà che porta sempre più i giovani a vivere da soli.
Benché la maggior parte delle persone si uniscono in matrimonio e mettono al mondo figli, si è andata manifestando una crescente disaffezione nei confronti del modello di famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, con un aumento delle convivenze, delle separazioni e dei divorzi, delle famiglie ricomposte e ricostituite.
Attualmente non vi è più coincidenza tra la famiglia intesa come l’insieme degli individui legati da vincoli legali (per matrimonio e generatività) e la famiglia intesa come soggetti conviventi sotto lo stesso tetto. La famiglia viene definita sempre più in base ai legami affettivi, come sistema interpersonale basato sulle relazioni di attaccamento, in altre parole, sulle relazioni intime più significative nel processo di individuazione, crescita e cambiamento di ogni suo singolo componente.
Tra i fattori che hanno contribuito alla messa in crisi del matrimonio e che hanno favorito il processo di trasformazione del sistema famiglia possiamo individuare: lo sviluppo e terziarizzazione dell'economia, che hanno favorito l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro rendendole economicamente indipendenti dagli uomini; la crescente secolarizzazione della società, cioè il venir meno del controllo religioso sulla vita sociale e la tendenza a considerare la fede come un fatto privato; la scolarizzazione di massa; l'emergere di movimenti collettivi, tra cui il femminismo, che hanno messo in discussione l'autoritarismo patriarcale e il modello tradizionale di famiglia.
Anche l'aver posto l'amore come fondante il matrimonio ha contribuito a rendere più fragile l'unione coniugale. Infatti, paradossalmente, nelle società premoderne, in cui in tutte le classi sociali il matrimonio era un'alleanza ((antropologia sociale inglese).tra le famiglie e i sentimenti erano del tutto irrilevanti, la stabilità coniugale era garantita dagli interessi economici e di potere, che stavano alla base di tale alleanza. Da quando, invece, il matrimonio d'amore ha preso il posto di quello combinato, le aspettative della coppia sono aumentate e l'unione rischia di perdere la sua ragion d'essere quando l'amore viene meno.

3.3.2. Il matrimonio

Definiamo innanzitutto il matrimonio come un’istituzione che sancisce l’unione tra un uomo e una donna le cui funzioni sono: la produzione di una discendenza legittima e la costituzione di stabili alleanze. Queste funzioni cambiano da cultura a cultura e da epoca a epoca. La nostra istituzione è una scelta libera e consapevole di coloro che contraggono il vincolo. Tale scelta si fonda (o dovrebbe) sull’innamoramento e il sentimento d’amore ma non sempre è così perché spesso sfocia nella convivenza (P. Bertolini)[1].

Il matrimonio ha sempre presentato diversificazioni a livello geografico, demografico, antropologico, e storico.

Possiamo raggrupparli per parentela, per genere, per promiscuità (etnia o religione), per età.

I matrimoni tra parenti sono di due tipi: esogamici ed endogamici[2]:

Il matrimonio esogamico presuppone che il coniuge deve essere preferibilmente scelto all’esterno del gruppo di appartenenza. In riferimento a quanto detto in precedenza relativamente ai gruppi a discendenza unilineare (patrilineari o matrilineari), il matrimonio tra cugini incrociati (figli e figlie di fratelli germani di sesso differente) è un esempio classico e, piuttosto diffuso, a livello etnografico di unione esogamica. Esso si presenta come una forma di matrimonio preferenziale più che un vero e proprio obbligo sociale, perché favorisce scambi (di beni e persone) e alleanze. Oggi i matrimoni esogamici prediligono la diversità demografica, ossia città, nazioni e continenti diversi.
I matrimoni endogamici, invece, avvengono tra individui scelti nello stesso clan o stirpe, quindi, tra quelli ritenuti parenti. Ad esempio, i beduini del deserto si sposano tra cugini, fratelli e sorelle e non accettano membri esterni, per tal motivo si definiscono la “razza pura”. Oggi viene detto matrimonio endogamico quello che predilige lo stesso status demografico, cioè  la propria città, nazione, continente.

Il matrimonio omogamico indica la scelta di un coniuge che condivide il medesimo status sociale, più precisamente, in virtù della posizione occupata nel sistema di stratificazione sociale dal nucleo familiare di origine, stesso grado culturale, etc.                                                                         
Il matrimonio eterogamico, o matrimono misto, indica le coppie i cui partner presentano caratteri dissimili per status sociale e grado culturale e religioso.
Il matrimonio morganatico ci si sposava con  diverso status economico e per questo erano matrimoni segreti.  Esso impedisce il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito.

I matrimoni per scelta sessuale[1], invece, sono:
I matrimoni poligami, in generale esso rappresenta l’unione matrimoniale di un uomo con più donne o di una donna con più uomini. Esso si divide in due tipi:
1.            matrimonio poliginico ove un uomo si unisce a più donne,  molto sviluppata nella cultura orientale islamica.
2.            matrimonio poliandrico ove una donna si unisce a più uomini, molto diffusa in Oriente, in particolare in India, nello Shri Lanka e in Tibet

Gli antropologi hanno riscontrato l’esistenza di due tipi di poliandria:
  • poliandria fraterna (o adelfica): un’unica donna si sposa con un uomo e tutti i componenti maschili della famiglia di quest’ultimo (solitamente con i fratelli);
  • poliandria associata: a un matrimonio inizialmente monogamico si aggiunge un secondo marito, che viene incorporato nell’unione precedente.

Queste due forme di matrimonio avvengono perché a livello demografico si registra più un’alta natalità maschile che femminile o viceversa. La donna è considerata solo uno strumento di scambio e non d’amore, difatti, in questi casi, la paternità non è sempre certa. Infatti, per la donna della poliandria adelfica, che può sposare un uomo ed avere tanti amanti, il matrimonio non è fondato sull’amore, bensì essa è uno strumento per procreare e dare al marito una paternità (anche se incerta); nel caso in cui la donna è sterile, quindi, viene mandata di nuovo in famiglia o addirittura ripudiata.

Il matrimonio bigamo è quello in cui un uomo unito precedentemente ad una donna in matrimonio si unisce anche ad un'altra, risultando, in definitiva, unito a due donne. Tale tipo di matrimonio in Italia è considerato reato.
Il matrimonio monogamo è una forma di unione matrimoniale eterosessuale a carattere esclusivo, in cui un individuo ha un unico coniuge dell’altro sesso, ed è quello vigente in Italia e in Occidente. Un appunto da fare è che in alcune parti dell’Italia meridionale vige ancora il modello patriarcale (il pater familias), in questo tipo di famiglia succede alle volte che alcune donne vengano date in mogli per uno scambio di terreni, case, denaro.
esistono vari tipi di matrimoni monogami:
matrimonio civile : a tutti gli effetti di Legge è un matrimonio ma solo civile, ufficiato da un Ufficiale dello Stato Civile,  non religioso. Art. 143, art. 144, art. 147, art 148 e art 20 e art. 30 della costituzione.
matrimonio concordatario: esso si sviluppa dopo la promessa di matrimonio e il corso prematrimoniale che avviene un paio di mesi prima del matrimonio celebrato in Chiesa ufficiato dal parroco dove vengono letti anche gli art. dello Stato Civile oltre che  Religioso. art. 143, 144, 147, 148, 27, 30, 315/bis, art 5 del 27/05/'29 art 8 n° 1 accordo del 08/02/'84.
Matrimonio Canonico: svolto solitamente per chi ha svolto già un matrimonio civile in comune, e deve completare con un matrimonio in Chiesa.
matrimonio Canonico senza effetti civili: che ha effetti solo religiosi non valido in Italia per effetto del Concordato. Anche se ultimamente le cose stanno cambiando per merito delle convivenze anche se per tale Matrimonio devi dimostrare la convivenza con un certificato da comune tale si chiama convivenza more uxorio.
I matrimoni omosessuali[2] avvengono tra persone dello stesso sesso (2 uomini o 2 donne), non tutti i paesi hanno riconosciuto questa tipologia di unione, nonostante le forze politiche pro matrimonio omosessuale sostengono che il rapporto omosessuale è una sana espressione della sessualità, che il diritto al matrimonio è un diritto individuale inalienabile della persona e che vige il principio della parità tra i sessi. Allo stato attuale, solo in alcuni Paesi come: i Paesi Bassi, i Belgio, la Spagna, il Portogallo, il Canada, ilSudafrica, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, l’Islanda, l’Argentina, il Messico (solo nella capitale) e sei stati USA: Massachusetts, Connecticut, Iowa, Vermont, New Hampshire, New York, e il distretto di Washington DC, e ammesso il matrimonio omosessuale.
In relazione al genere sessuale, esistono anche unioni bisex ossia uomini che hanno relazioni con uomini e donne e viceversa, indifferentemente. Queste non sono ascrivibili al matrimonio ma, le statistiche dimostrano che un’alta percentuale di persone (uomini e donne) sposate regolarmente ha relazioni più o meno segrete con persone dello stesso sesso. Il matrimonio contratto in violazione dell’(art. 86 c.c.) è sanzionato penalmente (art. 556 c.p.: reato di bigamia).
Abbiamo accennato che esistono matrimoni promiscui per religioni ed etnie, tali matrimoni permettono alle persone di potersi sposare con entrambi i riti della religione di appartenenza della coppia. Questo tipo di matrimoni, però, porta la coppia con figli ad avere problemi riguardanti determinate tradizioni culturali e religiose, ad esempio, se la coppia vive in Italia non sempre decide di dare l’educazione religiosa a scuola.


La Chiesa Cristiano-Cattolica ha influito per secoli su alcune questioni che oggi non sono ritenute più valide dalla maggior parte delle persone, ad es. sull’aborto, sul divorzio, sulla fecondazione medicalmente assistita, sulle seconde nozze, su figli naturali, etc. Queste ed altre questioni, inerenti, alcuni dogmi della Chiesa con il crescere di separazioni, divorzi, e annullamenti di matrimoni da parte della Sacra Rota, hanno indebolito molto l’istituzione del matrimonio tanto che c’è un aumento dimatrimoni civili e convivenze e una diminuzione di matrimoni con rito Cattolico.

In epoca Repubblicana[3] si presupponeva la sottomissione della donna all'autorità (manus) di un uomo e si realizzava attraverso il trasferimento della patria potestas dal padre allo sposo, che veniva ad avere perciò sulla moglie un potere analogo a quello esercitato sui figli e sugli schiavi. Questo matrimonio, detto cum manu, fu progressivamente sostituito da quello libero (sine manu), fondato unicamente sul consenso degli sposi senza riti, l’unico requisito era l’età minima da matrimonio richiesta, ritenuta sufficiente per esprimere validamente il consenso, dodici anni per le donne e quattordici per gli uomini. Con il concilio di Trento fra il 1579 e il 1730, le ordinanze reali imposero l'esplicito consenso dei genitori per gli uomini con meno di trent'anni e le donne con meno di venticinque. Il decreto del settembre 1792 consegnava in Francia al diritto civile, la materia matrimoniale, aboliva il consenso dei genitori e gli impedimenti canonici e introduceva il divorzio. Il Codice Civile Napoleonico, che venne via via esteso a gran parte dell'Europa, ristabilì il potere del padre sui figli ed estese quello del marito sulla moglie, ma non toccò il principio del matrimonio civile. Questo finì per diventare generalizzato nell'Europa del XIX secolo e fu reintrodotto anche in Italia con il codice civile del 1865, ma i Patti lateranensi del 1929 istituirono un doppio regime, riconoscendo effetti civili ai matrimoni celebrati secondo il rito cattolico. Durante il regime fascista l’età minima per contrarre matrimonio per le donne era 14 anni e 16 per l’uomo (con possibilità di ulteriore riduzione a 14 e 12). L’assenso al matrimonio doveva essere dato dal genitore e la scelta dei giovani era spesso motivata da ragioni di onore o di interesse. Questo modello si adattava più a uomini e donne di scarsa scolarizzazione e redditi modesti proveniente dal lavoro dei campi, botteghe, fabbriche. Mussolini, poco prima della II guerra mondiale, emanò una legge che prevedeva l'imposta sul celibato con il proposito di favorire i matrimoni e, di conseguenza, incrementare il numero dellenascite. Secondo l'ideologia fascista, una popolazione numerosa era indispensabile per perseguire gli obiettivi di grandezza nazionale, che si pretendeva spettassero all'Italia, oltre che per avere un esercito il più numeroso possibile. In Italia la situazione è cambiata dopo la legge del 1975. L’età minima per sposarsi è stata portata a 18 anni e, solo, in casi particolari a 16, mentre, l’obbligo del consenso dei genitori è stato sostituito dall’autorizzazione del tribunale minorile[4]. Il 2°co. dell’art. 84, della suddetta Legge, riconosce la possibilità che il tribunale, su istanza dell’interessato, valutata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte (sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore), possa (con decreto emesso in camera di consiglio) ammettere al matrimonio il minore che abbia compiuto i sedici anni, purché sussistano gravi motivi. E’ curioso come, invece, la maggiore età sessuale in Italia si raggiunge al quattordicesimo anno di età.  A livello statistico, la tabella sotto riporta chiaramente come negli anni tra il 2005 e il 2010 ci sia stata una netta diminuzione di matrimoni. Le cause sono da imputare alla mancanza di lavoro, all’autonomia della donna, alla paura di affrontare un divorzio, alla scarsa credenza religiosa, alla infertilità latente o manifesta, etc.


[1] Ivi, p. 86.
[2] Matrimonio fra persone dello stesso sesso.
[3] C. SARACENO, M. NALDINI, op. cit. p.90.

[4] M. BARBAGLI C. SARACENO, Lo stato delle famiglie in Italia, Il Mulino, Bologna 1997, p.38-39.

[1] P. BERTOLINI, op cit., p. 340.
[2] C. SARACENO, M. NALDINI, op. ci., p. 97.

3.4. La famiglia oggi
Oggi la famiglia sta vivendo un'ulteriore, grave fase di crisi. Pur restando il primo, insostituibile, ambiente in cui inizia lo sviluppo umano, essa è sottoposta a ricorrenti tentativi di discredito e, periodicamente, se ne mette in discussione la stessa tradizionale identità.Abbiamo visto nel precedente paragrafo come storicamente si è passati dalla famiglia patriarcale, in cui convivevano in forma allargata varie generazioni (nonni, zii, genitori, figli, nipoti), tipica di un ambiente socio-economico di carattere quasi esclusivamente agricolo (ancora presente nella prima metà del 900), ad una famiglia nucleare, composta esclusivamente da genitori e figli, caratteristica di una società proiettata verso alti livelli di consumismo (a partire in Italia dagli anni '70, il periodo del cosiddetto "boom economico"), nella quale lavorano entrambi i genitori sia per esigenze di stretto carattere economico sia perchè la donna, al termine di una lunga e tormentata fase di emancipazione, ricerca un suo specifico ruolo sociale che la sostenga nelle sue aspirazioni di realizzazione sul piano personale.  In questo paragrafo parlerò delle nuove tipologie familiari mettendo in evidenza le convivenze, le separazioni e divorzi e l’affido condiviso.

3.4.1. Le convivenze
Accanto alla famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, si sono sviluppati negli ultimi trent'anni, soprattutto dopo l'approvazione della legge sul divorzio [29], altri modi di fare famiglia. Molte coppie decidono, infatti, di convivere. La convivenza è il vivere insieme di un uomo ed una donna non legati tra loro dal vincolo matrimoniale, o per libera scelta o perché i componenti (uno o entrambi) vengono da una deludente esperienza matrimoniale precedente. Si formano in questo modo le cosiddette famiglie di fatto.
  • convivenza di fatto: la coppia decide di non ufficializzare la convivenza per il desiderio di libertà e il pensiero politico contro qualsiasi forma di legge. Questa coppia è riconosciuta solo da amici e parenti e, di solito, non ha figli. Non hanno diritti e neanche doveri nei confronti del convivente, se non quelli morali. Vivono in piena autonomia, indipendenza e libertà;
  • convivenza more uxorio (legalmente riconosciuta tramite un autocertificazione all’anagrafe del comune a tempo indeterminato): in questo caso, in termini giuridici, si parla di famiglie di fatto (unioni non matrimoniali), o famiglie nucleari[30], alle quali, comunque, sono legalmente attribuiti determinati diritti, soprattutto, a seguito della nascita di figli naturali che vengono considerati come legittimi.

Per quanto riguarda i figli, non ci sono differenze tra famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto, poiché dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 i figli legittimi e quelli naturali sono stati equiparati giuridicamente. La potestà sul figlio naturale viene esercitata da entrambi i genitori. Qualora si interrompa la convivenza, i genitori affronteranno un unico giudizio davanti al Tribunale dei Minori competente per stabilire l'affidamento dei figli e per definire l'assegno di mantenimento. In caso di matrimonio dei genitori, il figlio naturale viene legittimato. Un fattore positivo è il non pregiudizio. Difatti, mentre fino a pochi anni fa la convivenza rappresentava uno scandalo, oggi, invece, le convivenze si sono moltiplicate e rappresentano uno status familiare non soggetto ad alcun pregiudizio. Anche la prole non è più soggetta ad alcun pregiudizio né nei confronti dei parenti né tra il gruppo dei pari.  I fattori che determinano il fenomeno della convivenza li attribuiamo ad una maggiore acculturazione della società moderna, ad una maggiore libertà sessuale, ad una privatizzazione della propria vita, alla globalizzazione, alla forza comunicativa dei mass media, alla diversità di religioni, ecc.
La famiglia di fatto, a differenza di quella legittima, è costituita da persone che, pur non essendo legate tra loro da alcun vincolo matrimoniale, convivono insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione. In essa manca un atto formale (il matrimonio) a cui ricollegare il rapporto per qualificarlo giuridicamente e viene, pertanto, ricompresa in quelle "formazioni sociali" tutelate dall'art. 2 della Costituzione.
Riferimenti Normativi:
Codice Civile 11/01/2012 Artt. 330, 333, 342-bis, 342-ter, 417
Legge 27/07/1978, n. 392 Art. 6
Legge 19/02/2004, n. 40 Art. 5
D.Lgs. 28/12/2013, n. 154
L. 02/12/2013

Che cosa è
È quella realtà sociale rappresentata da una coppia che convive stabilmente senza che l’unione venga formalizzata mediante il matrimonio, ma con il sostanziale rispetto dei doveri coniugali.
Caratteristiche della famiglia di fatto
Il nostro ordinamento attribuisce una formale superiorità ed una maggiore dignità alla famiglia fondata sul matrimonio.
Anche la stabile convivenza delle coppie non coniugate, pur non avendo una disciplina autonoma, negli ultimi anni ed a seguito del mutamento dei costumi sociali, ha acquistato una maggiore rilevanza giuridica cui è conseguita una maggiore tutela.
Gli elementi costitutivi della convivenza sono:
la diversità di sesso dei membri della coppia: nel nostro ordinamento, ad oggi, non si può parlare di famiglia di fatto con riferimento alle coppie omosessuali nonostante il principio di non discriminazione che è stato affermato dal Parlamento Europeo;
la mancanza dell’atto di matrimonio: i conviventi non vogliono o non possono (per esempio se uno dei due o entrambi sono separati) vincolarsi giuridicamente;
la coabitazione qualificata: la coppia, pur non essendo sposata e non avendo doveri reciproci, coabita sotto uno stesso tetto, individuato come “casa familiare” e la coabitazione deve essere “qualificata” vale a dire diretta a realizzare una comunanza di vita materiale e spirituale, simile a quella matrimoniale;
il riconoscimento sociale: questa caratteristica esclude le convivenze segrete o quelle di breve durata tali da non poter essere conosciute nell’ambiente sociale in cui vive la coppia;
la stabilità della relazione: la convivenza dovrebbe mirare alla realizzazione di una comunione di vita materiale e spirituale.
Rapporti tra conviventi di fatto
Tra i conviventi di fatto non esistono, come esistono fra coniugi, diritti e doveri reciproci.
Il carattere di “unione libera” fa sì che, in ogni momento e secondo la libera volontà, la coppia possa interrompere il rapporto.
In altre parole, ha assoluta prevalenza l’autonomia delle parti dal momento che la scelta per l’unione paraconiugale esprime la volontà della coppia di non legarsi in matrimonio.
Rilevanza del rapporto di convivenza
Come si è detto sopra non è previsto un regime giuridico unitario ma una serie di interventi, alcuni dei quali passano attraverso gli strumenti di regolamentazione dei rapporti tra privati (negozi giuridici).
Disposizioni speciali disciplinano, di volta in volta,  alcuni aspetti della convivenza dandole rilevanza giuridica.
Si possono citare alcuni esempi (senza pretesa di completezza dal momento che si tratta di una miriade di norme):
l’accesso alla procreazione medicalmente assistita è consentito anche alle coppie conviventi;
in un processo penale il convivente ha diritto di astenersi dal testimoniare contro il compagno;
la persona convivente può proporre istanza per la nomina dell’ amministratore di sostegno del partner;
i genitori conviventi esercitano la responsabilità genitoriale nei confronti dei figli riconosciuti da entrambi;
il convivente può subentrare nel contratto di locazione intestato all’altro, in caso di morte di quest’ultimo;
la famiglia di fatto gode della tutela possessoria (possono esercitare le azioni volte a accertare il loro diritto di possedere la casa) della casa dove si svolge la convivenza;
in caso di uccisione del convivente, l’altro ha diritto al risarcimento del danno;
si applica, anche per le famiglia di fatto, la tutela contro la violenza nelle relazioni familiari;
la famiglia di fatto usufruisce delle prestazioni dello “stato sociale” (assegnazione di case popolari ecc.);
in materia di adozione, il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato anche ad una famiglia di fatto.  
Il contratto di convivenza 02/12/13 o convivenza more uxorio
l’iniziativa del Consiglio Nazionale del Notariato che ha predisposto appositi contratti di convivenza (che possono essere sottoscritti a partire dal 2 dicembre 2013 presso tutti gli studi notarili) con i quali sono regolati gli aspetti patrimoniali relativi alla convivenza nelle famiglie di fatto anche in caso di cessazione del rapporto (ad es. l’abitazione, il mantenimento in caso di bisogno, la proprietà dei beni, il testamento con clausole a favore del convivente ecc.).
Attraverso i contratti di convivenza predisposti dal Notariato secondo le norme di legge previste dall’ordinamento vigente, si possono, infatti, disciplinare contrattualmente diversi aspetti patrimoniali relativi alla convivenza nelle famiglie di fatto.
In particolare: l’abitazione, la contribuzione alla vita domestica, il mantenimento in caso di bisogno del convivente, il contratto d’affitto, la proprietà dei beni, perfino organizzando un regime di comunione o separazione dei beni. Si possono prevedere con testamento anche eventuali clausole a favore del convivente o l’assistenza in caso di malattia attraverso la designazione dell’amministratore di sostegno. E’ inoltre possibile tutelare a livello contrattuale la parte debole all’interno della famiglia di fatto. A partire dal 2 dicembre 2013 questi contratti potranno essere stipulati presso tutti gli studi notarili in Italia. Il Consiglio Nazionale del Notariato ha messo a disposizione un sito internet www.contrattidiconvivenza.it dove si possono trovare indirizzi e informazioni necessarie sul punto.                                                                                       
Rapporti tra genitori e figli
Con il d.lgs. 154/2013 è portata a compimento la completa equiparazione tra figli legittima (nati in costanza di matrimonio) e figli naturali (nati fuori del matrimonio). La nuova legge cancella dal linguaggio giuridico parole ritenute non in armonia con i nuovi tempi, allo scopo di rendere più «moderno» il vocabolario, eliminando, i termini «legittimo» e «naturale» riferiti ai figli (e al rapporto di filiazione).
Per quanto riguarda poi i rapporti tra la coppia di fatto e i figli, essi seguono la disciplina relativa ai rapporti genitori- figli, i genitori esercitano su di essi non più la potestà genitoriale ma la responsabilità genitoriale (altra novità del d. lgs. 154/2013).
I conviventi hanno, infatti, l’obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli nati dal loro rapporto e, dal canto suo, il figlio è tenuto all’adempimento dei propri doveri nei confronti dei genitori e cioè a rispettarli e contribuire, in base al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finchè convive con essa.
Per esempio, nel caso di rottura del rapporto di convivenza, se non si riesce a raggiungere un accordo sulle questioni relative ai figli minori, ciascuno dei genitori naturali può ricorrere al Tribunale dei minorenni che può disporre  l’affidamento del minore, il diritto di visita, l’assegno di mantenimento e l’assegnazione della casa familiare.
Rapporti patrimoniali
Il nostro ordinamento, riconoscendo il valore sociale della famiglia di fatto, ha previsto che le erogazioni di mezzi economici compiute da uno dei conviventi a beneficio dell’altro devono essere intese come adempimento di obbligazioni naturali (si ha quando una prestazione è – o si ritiene essere – dovuta in esecuzione di un dovere morale o sociale).
L’effetto dell’obbligazione naturale è che viene esclusa la ripetizione (il convivente che ha dato non può più chieder indietro) di quanto è stato dato per doveri morali o sociali salvo che la prestazione non sia proporzionale rispetto all’ esigenza da soddisfare, non sia stata eseguita spontaneamente o sia stata effettuata da un incapace.
La conseguenza di questo è che, in caso di cessazione della famiglia di fatto, né l’uno né l’altro convivente possono chiedere la restituzione di quanto dato.
Nell’ipotesi in cui, all’interno della famiglia di fatto, un convivente presti attività lavorativa nei confronti dell’altro secondo lo schema dell’impresa familiare non si applica la disciplina prevista per la famiglia legittima che prevede, per i famigliari che prestano lavoro all’interno dell’impresa familiare, diritti proporzionali alla qualità e quantità del lavoro prestato.
Si ritiene, infatti, che le prestazioni lavorative del convivente siano effettuate a titolo gratuito per “sentimento quasi coniugale” che caratterizza o dovrebbe caratterizzare la famiglia di fatto.
Per quanto riguarda il diritto all’assistenza materiale, se il coniuge divorziato convive con una persona che gli garantisce assistenza materiale perde il diritto al mantenimento o agli alimenti.
Cessazione della convivenza
La cessazione della convivenza può essere causata da:
fine della convivenza per disaccordo;
morte di uno dei conviventi.

Nel primo  caso, mancando nella famiglia di fatto degli accordi patrimoniali, quando il rapporto si interrompe non vi è nessun obbligo né diritto reciproco tra i membri della ex coppia.
Non esistendo comunione legale, i beni acquistati dai singoli conviventi durante la relazione continuano ad essere di proprietà esclusiva di chi li ha comprati.
Stesso discorso vale per la casa di abitazione: quello tra i conviventi che non sia proprietario e nemmeno titolare di un diritto di godimento (locazione) sull’abitazione non può vantare nessun diritto su di essa dovendo essere considerato un “ospite”.
Se il convivente muore per cause naturali, il convivente superstite non può vantare alcun diritto successorio (tranne nel caso in cui sia stato fatto testamento).
Se il convivente muore per fatto illecito di un terzo, il convivente superstite, come si è già detto, ha diritto al risarcimento del danno da parte de terzo.


3.4.2. Separazioni e divorzi
La fine di un rapporto inizia con la separazione e termina con il divorzio.
Esistono tre tipi di separazioni:
1.            la separazione di fatto (naturale);
2.            la separazione consensuale (legale);
3.            la separazione giudiziale (legale);
La separazione di fatto, ove i coniugi decidono di interrompere la convivenza senza formalità (senza, quindi, fare ricorso ad un giudice), ponendo in essere la cosiddetta separazione di fatto, (marito e moglie vivono insieme o in dimore diverse, ma ognuno si occupa del proprio destino, disinteressandosi dell'altro). La separazione di fatto non produce alcun effetto sul piano giuridico, né è sufficiente a far decorrere il termine di tre anni per addivenire al divorzio. Inoltre, sebbene la separazione di fatto non sia sanzionata da alcun provvedimento dell'autorità giudiziaria, l'allontanamento di uno dei due coniugi dall'abitazione familiare o l'instaurazione di relazioni extra-coniugali potrebbero essere motivo di addebito solo nel caso si decida di passare alla separazione giudiziale[1].

Con la separazione legale regolamentata dal codice civile (artt. 150 e ss), dal codice di procedura civile e da una serie di norme speciali, i coniugi non pongono fine al rapporto matrimoniale, né allo stato giuridico di coniuge. Essa incide solo su alcuni effetti propri del matrimonio: si scioglie la comunione legale dei beni (molte persone ora tendono a fare la divisione dei beni), cessano gli obblighi di fedeltà e coabitazione; mentre, altri effetti rimangono, come: il dovere di contribuire nell’interesse della famiglia, il dovere di mantenere il coniuge più debole e di mantenere, educare ed istruire la prole. La separazione legale sospende gli effetti nell'attesa o di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio.
La separazione legale è di due tipi: (consensuale o giudiziale).

la separazione consensuale[2] 158 c.c. si attua con il consenso di ambedue i coniugi su alcune questioni: diritti patrimoniali, mantenimento del coniuge più debole, diritto di visita e mantenimento della prole, assegnazione della casa coniugale. Dalla data del provvedimento di separazione decorre il termine di tre anni per poter richiedere il divorzio.
Alla separazione giudiziale[3] si fa ricorso nel caso in cui non vi sia accordo tra i coniugi. In tali casi si può richiedere l’addebito della separazione, ovvero l’accertamento che vi sia stata la violazione degli obblighi che discendono dal matrimonio (fedeltà, coabitazione, cura della prole, etc.) da parte di uno dei coniugi e che questa violazione abbia determinato la cessazione del rapporto. In tal caso se la violazione è stata accettata questi perde l’assegno di mantenimento e i diritti successori. La separazione giudiziale può essere trasformata in separazione consensuale, anche in corso di causa, ma non può succedere il contrario.
Con il divorzio, introdotto e disciplinato dal codice civile      all’art. 149 e dalla legge n.74/’87[4] (che ha apportato delle modifiche significative alla precedente), viene, invece, pronunciato lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili (se è stato celebrato il matrimonio concordatario con rito religioso, cattolico o di altra religione riconosciuta dalla Stato italiano). Col divorzio vengono a cessare definitivamente gli effetti del matrimonio, sia sul piano personale (uso del cognome del marito, presunzione di concepimento, etc.), sia sul piano patrimoniale. La cessazione del matrimonio produce effetti dal momento della sentenza di divorzio, senza che essa determini il venir meno dei rapporti stabiliti in costanza del vincolo matrimoniale. Solo a seguito di divorzio il coniuge può pervenire a nuove nozze.
Anche il divorzio segue due vie: il divorzio congiunto e il divorzio giudiziale.
Il divorzio congiunto o consensuale[5] si ha quando c’è accordo tra le parti e tutti i criteri conformi alla legge sono rispondenti all’interesse dei figli.
Il divorzio giudiziale[6] si ha quando non c’è accordo tra le parti, in tal caso il ricorso può essere presentato anche da un solo coniuge e con questo ha inizio un procedimento giudiziale.

Da un punto di vista statistico l’Italia, rispetto alle tematiche familiari: bassa natalità, riduzione della nuzialità, frammentazione della coppia, ha tendenze comuni agli altri paesi dell’Unione Europea.
Nel nostro Paese è penetrata la mentalità divorzista. Il divorzio appare statisticamente ed esistenzialmente perdente ma culturalmente vincente, in quanto la maggior parte degli italiani sembra accettarlo, sia pure come extrema ratio in presenza di insanabili crisi del rapporto di coppia.



















Procedimenti di separazione personale dei coniugi per tipo di esaurimento e procedimenti  esauriti  con sentenza di  scioglimento e  cessazione  degli effetti civili del matrimonio per rito di chiusura


















Consensuali
Giudiziali
Totale


























Separazioni
75.403
12.788
88.191











Divorzi
39.226
14.934
54.160







































































FIGURA 8. PROCEDIMENTI DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO PER RITO DI CHIUSURA









Anno 2010 (valori assoluti)




























Separazioni






Divorzi








































































































Figura 1 Fonte Istat 2010


Figura 2 Fonte Eurostat 2006[7]

Nonostante dal 1970 nel nostro Paese sia prevista, dalla legge, la possibilità di divorzio e nonostante l’andamento crescente di separazioni e divorzi, l’Italia presenta il tasso di divorzialità più basso tra i paesi dell’Unione Europea (Fig.2). Le differenze tra l’Italia e i paesi dell’Europa settentrionale sono davvero molto ampie: si registrano valori del tasso di divorzialità intorno al 3 per mille nei paesi del Nord e dell’Est Europa e minori all’1 per mille in Italia. In generale sono i paesi mediterranei e/o di religione a maggioranza cattolica a presentare i tassi di divorzialità più bassi.



Da un punto di vista psicologico la separazione ed il divorzio non sono eventi che si realizzano in tempi brevi. Essi comportano un vero e proprio percorso, una successione di fasi, che permette alle persone implicate di elaborare interiormente quanto accaduto, di ristrutturare le proprie relazioni e di raggiungere una nuova organizzazione familiare. Tra i vari studiosi che si sono interessati a questo processo, i due autori per me di maggior interesse, sono: Kaslow (separazione) e Bohannan (divorzio)[8].

Il modello di F. W. Kaslow (1987) separazione
F. W. Kaslow, individua tre fasi in cui suddivide il processo di separazione - secondo il quale occorrono in media dai due ai quattro anni per portarle a termine -:
1.    fase della alienazione, precedente alla separazione, caratterizzata da delusione, senso di vuoto, ritiro emotivo e controversie tra i due partner;
2.    fase conflittuale, caratterizzata da depressione, disperazione, collera e dalla separazione fisica e legale;
3.    fase riequilibratrice, successiva alla separazione, contraddistinta da un senso di rassegnazione, ma anche da ottimismo e fiducia in sé, dal completamento del «divorzio psichico», dalla riorganizzazione della rete di relazioni sociali e dalla sperimentazione di nuovi stili di vita.


Il modello di Bohannan (1970-73) divorzio
In una prospettiva psicosociale, oltre che legale, Bohannan vede il divorzio come un processo multidimensionale che attraversa 6 dimensioni - ove il mancato superamento di una di queste potrebbe comportare per gli individui gravi disagi e mettere in crisi l’intero percorso - :
1.    emozionale: è il deterioramento della coppia quando non si accettano i cambiamenti del partner e  l’alternarsi di momenti di aggressività e di riavvicinamento portano alla cronicizzazione del conflitto;
2.    legale: i due coniugi ricorrono ad un giudice per regolamentare le questioni inerenti il patrimonio e l’affido dei figli, il divorzio legale va affrontato dopo quello emotivo perché quando i due partner si sono adattati all’idea della separazione si può affrontare il divorzio consensualmente ed in un ottica costruttiva;
3.    Economico: questa è una fase molto delicata che riguarda sia la divisione dei beni, sia l’assegno familiare al coniuge più debole, se il divorzio emotivo è stato superato non ci dovrebbero essere rivendicazioni;
4.    genitoriale: l’assunzione di responsabilità di fronte ai figli. Infatti, il divorzio riguarda i genitori, non i figli e se si sono superate le fasi precedenti non dovrebbero sorgere conflittualità a carattere emotivo, legale ed economico. A tal riguardo, Dahan e De Schonen-Desanauts (2000) danno una buona soluzione per evitare di darsi colpe tra coniugi e generare colpe nei figli: sarebbe ottimo dare la notizia di separazione insieme in un clima possibilmente tranquillo.
5.    Comunitario: questo riguarda il mutamento delle relazioni sociali, l’allontanamento di amicizie di entrambi i partner preferendo nuove conoscenze. Se la persona torna nella casa genitoriale con i propri figli perderà quasi automaticamente il ruolo genitoriale affidandolo ai nonni, che diventa patogeno. In tali casi i nonni si sostituiscono ai genitori, i quali devono metabolizzare il divorzio assumendo un ruolo fraterno nei confronti dei propri figli. Questo scambio di ruoli genera nei figli la convinzione che i genitori sono immaturi e incapaci di svolgere il proprio ruolo e che i nonni sono intrusivi e poco capaci di rendere i figli autonomi. Ferenzi[9] parla di complesso del nonno: il nonno, essendo il padre del padre, ha potere sul figlio e riduce l’immagine onnipotente che il nipote ha di suo padre. I nonni diventano iperprotettivi e producono nei nipoti diverse forme di disadattamento, come ad esempio la patologia descritta da K. Lorenz “sindrome di re Salomone”;
6.    psichico: superare il momento in cui si prende atto, da un lato, della propria vita, autonomia e indipendenza e, dall’altro, delle proprie colpe e delle cause  che hanno portato al fallimento della propria unione. Il partner che viene lasciato è quello che ha bisogno di un sostegno psicologico in quanto ha un senso di smarrimento e perdita, chi lascia, invece, ha un senso di colpa.

3.4.4. Dall’affido congiunto all’affido condiviso
Poniamoci la domanda: Perché inseriamo in questo paragrafo l’affidamento? Per capire, dopo la separazione o il divorzio, con chi vivono i figli. La Legge 74/87 parla di affidamento congiunto o alternato[10]. Tale affidamento, mentre, funziona in alcuni paesi dell’Unione Europea, più sviluppati dell’Italia, nel nostro paese non ha funzionato. L'affido congiunto si verifica quando il figlio, in caso di separazione o divorzio dei coniugi, vive nella casa coniugale, di solito con la madre, se non per gravi problemi, ma viene affidato ad entrambi i genitori ai quali è richiesto di cooperare nella gestione dei minori ed è strutturato in modo da condividere sia le responsabilità specifiche che la genitorialità, con questo termine intendiamo la cura e protezione della prole.  L’affidamento alternato, anche in questo caso il bambino vive in casa con la madre, nel caso in cui i genitori, con eguale potestà, alternativamente ovvero in tempi e luoghi diversi curano e gestiscono in modo indipendente tra di loro i rapporti con i figli.
Queste due modalità causano diversi problemi.
Nell’affido congiunto il “mobbing genitoriale”, secondo Gaetano Giordano (2004)[11], “consta dell’adozione da parte di un genitore, separato o in via di separazione dall’altro genitore, di comportamenti aggressivi preordinati e/o comunque finalizzati ad impedire all’altro genitore, attraverso il terrore psicologico, l’umiliazione e il discredito familiare, sociale, legale, l’esercizio della propria genitorialità, svilendo e/o distruggendo la sua relazione con i figli, impedendogli di esprimerla socialmente e legalmente, intromettendosi nella sua vita privata”. Ciò crea problemi al bambino a livello scolastico, familiare e sensi di colpa, andando contro la Convenzione Europea sui Diritti del Fanciullo di cui l’Italia ha aderito dal 1996 che riconosce il bambino come soggetto di diritto in quanto persona e di essere curato, amato e rispettato. Nell’affidamento alternato il genitore affidatario impedisce al genitore non affidatario di vedere il figlio, questo comportamento crea sofferenza al bambino che mette in atto strategie per non far soffrire i genitori e per riuscire a vederli entrambi.  Bowlby parla in questo caso di Modelli Operativi Interni (MOI)[12], essi formano nel bambino schemi di eventi (copioni script) che si organizzano in tracce di memoria e che permetteranno al bambino, in futuro, di mettere in atto strategie per ottenere cura e protezione in caso di bisogno. i MOI sono operativi per tutta la vita, ciò vuol dire che anche da adulto, quando diventerà genitore, egli a sua volta sarà un mobber.                                                            Alcuni movimenti di protesta promossi dalle organizzazioni a tutela dei diritti dei padri separati, hanno ragionato sulla precedente normativa che  portava in via quasi esclusiva all'affidamento della prole alla madre (circa 90% dei casi, contro il 10% tra affidi condivisi ed esclusivi ai padri). Questa condizione era operata perché si riteneva che i padri non fossero in grado di prendersi cura dei figli. M. Ravenna, invece, sostiene che “i padri sono perfetti sostituti delle madri”. L’affidamento giuridico solo alla madre dei figli ha portato alle situazioni di madri che abusavano della loro posizione privilegiata nei confronti dei figli ed arrivavano letteralmente a ricattare i mariti separati chiedendo aumenti nel mantenimento dietro minaccia di negare le visite ai figli. Un altro caso gravissimo registrato è quello di madri separate che usavano il proprio ascendente sui figli per metterli contro il padre e le sue eventuali nuove compagne. Con l'andare del tempo il numero di questi casi è aumentato a dismisura raggiungendo vette altissime, e questo ha portato i legislatori a meditare sulla possibilità di cambiare la legge vigente per garantire i diritti dei padri, consentendo loro una maggiore presenza nella vita dei figli. Con l'entrata in vigore della nuova Legge n. 54/’06, (cd. legge sull'"affido condiviso") si è operata una rivoluzione copernicana sancendo il principio di bigenitorialità[13], esso è il principio ideologico in base al quale un bambino ha una legittima aspirazione, ovvero una sorta di diritto naturale a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche nel caso questi siano separati, divorziati, o conviventi, ogni qual volta non esistano impedimenti che giustifichino l'allontanamento di un genitore dal proprio figlio. Tale diritto si baserebbe, in questa impostazione, sul fatto che essere genitori è un impegno che si prende nei confronti dei figli e non dell'altro genitore, per cui esso non può e non deve essere influenzato da un'eventuale separazione.  Questo principio promuove dunque la pratica dell'affido condiviso come tutela del benessere dei minori a continuare a ricevere cure, educazione ed affetto da entrambi i genitori. Le novità più importanti sono rappresentate dal riconoscimento di pari diritti e doveri a entrambi i genitori nei confronti dei figli (siano essi naturali o legittimi). Si parla in proposito di "parigenitorialità". Vengono riconosciuti anche diritti, di contatto continuativo con i nipoti, ai nonni e ai parenti più stretti (art. 155). Si è così compiuto un passo fondamentale per un cambiamento del Diritto di Famiglia, alla luce del mutare della mentalità e della società. L'affido condiviso è dunque oggi la forma di affidamento dei figli. Non viene esclusa, tuttavia, l'eccezione dell'affido a un solo genitore quando il comportamento dell'altro genitore nei confronti del figlio sia contrario all'interesse del minore stesso.  L'affido condiviso consente l'esercizio della potestà anche in modo disgiunto[14], cosicché ciascun genitore è responsabile in toto quando i figli sono con lui/lei. Contrariamente all’affido congiunto, che richiede sempre la completa cooperazione fra i genitori, l'affido condiviso disgiunto è applicabile e utile soprattutto in caso di conflitto (di solito col divorzio giudiziale), poiché suddivide in modo equilibrato le responsabilità specifiche e la permanenza presso ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi, ma disaccoppiandoli nel tempo e nello spazio.
ciascun genitore è tenuto a provvedere autonomamente e direttamente al loro mantenimento (Cass. 18/87/2006). Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996"   la nuova legge istituisce con la 154/13 la tutela del minore che ia naturale o legittimo.  Per prevenire eventuali problemi di educazione contraddittoria sono consigliate consulenze pedagogiche di impostazione e monitoraggio periodico. Il progetto educativo individualizzato (PEI) prevede il calendario genitoriale, di come viene ripartito il periodo di permanenza del figlio da ciascun genitore: a giorni alterni, un w.e. da uno e uno dall’altro, una settimana ciascuno, un mese ciascuno; un proposta, che non è stata attuata, era, per non far cambiare casa al figlio, di conservare la casa coniugale e per sei mesi a turno il padre e la madre si alternavano ma ciò comportava avere tre case e risultava essere molto oneroso per la coppia separata. Non è semplice passare dalla coppia all’essere genitore single. Per gestire bene il conflitto di coppia e la triangolazione genitoriale sarebbe utile come complemento la terapia di coppia e individuale, unita alla consulenza pedagogica, che possono mettere i genitori in condizione di affrontare il problema genitoriale in modo più efficace, per riportarli a svolgere con profitto e con soddisfazione personale la loro funzione di genitori.

3.5. Famiglie ricomposte e ricostituite (semplici e complesse)
Accanto alle famiglie nucleari classiche, composte da madre, padre e figli biologici, in Europa Occidentale sta crescendo il numero delle famiglie in cui almeno uno dei due coniugi, se non entrambe, hanno già vissuto un'esperienza di famiglia nucleare e se ne costruiscono un’altra. Queste sono state definite famiglie binucleari: parliamo delle famiglie ricomposte e ricostituite. In questo paragrafo parleremo delle famiglie ricostituite e ricomposte e dell’introduzione di nuove figure familiari: genitori sociali, fratria e nonni sociali.

3.5.1. L’introduzione dei genitori sociali
Per famiglie ricomposte intendiamo riferirci a quelle famiglie che vengono a comporsi dopo la separazione e il divorzio, quando più nuclei familiari vengono costituiti dai genitori separati. Questa è una delle forme più moderne, ove, l’insieme dei 2 genitori biologici e i 2 sociali (compagni dei genitori) condividono formalmente la responsabilità verso i figli di precedenti unioni. Essi si dividono in due tipi:
-      ricomposte semplici, sono quelle in cui un partner che forma il nuovo nucleo familiare porta con sé i figli nati da unioni precedenti e condivide con la nuova partner funzioni e responsabilità;
-      ricomposte complesse, ove entrambi i partner formano i nuovi nuclei familiari portando con loro i figli nati da unioni precedenti e condividendo con i nuovi partner funzioni e responsabilità.
Con il termine ricostituita, invece, intendiamo riferirci a quella famiglia che viene a comporsi dopo la separazione e il divorzio, quando due nuclei familiari vengono costituiti dai genitori separati. A differenza delle famiglie ricomposte, in queste ultime, i genitori biologici non condividono con i genitori sociali le responsabilità verso i figli di precedenti unioni, bensì, solo relazioni amichevoli.
Le famiglie ricostituite possono essere di due tipi:
-      famiglie ricostituite semplici, quelle in cui un  partner che forma il nuovo nucleo familiare porta con sé i figli nati da un unione precedente;
-      Famiglie ricostituite complesse, ove entrambi i partner formano i nuovi nuclei familiari portando con loro i figli nati da un’unione precedente.

I tratti caratteristici della famiglia ricomposta sono le incertezze: dei confini, nei termini da utilizzare, nei ruoli assunti. Per i figli, un tempo, le seconde nozze di un genitore significavano sostituire un nuovo genitore a quello scomparso; adesso, la ricomposizione della famiglia vuol dire aggiungere ai genitori biologici, che rimangono, uno o due nuovi genitori “sociali” o “acquisiti”, oltre ad eventuali “quasi fratelli” o “quasi sorelle” e una nuova parentela. Le conseguenze di una situazione di questo tipo si esplicano comunque sui diversi soggetti implicati: figli, adulti e parentela estesa, e sono anche di diverso tipo, rendendo molto più complesso il versante relazionale - comportamentale ed anche economico, giuridico, oltre che demografico.
La famiglia ricomposta può essere anche vista come una risorsa affettiva e relazionale; quando ci sono figli del precedente matrimonio, la seconda unione di uno dei genitori può allargare molto la rete delle relazioni familiari intorno ad essi Se i rapporti col genitore non convivente si sono allentati, il loro indebolimento può essere almeno in parte compensato da una nuova rete di parentela. E quando i figli mantengono i rapporti con ambedue i  genitori biologici e accettano i genitori sociali e i fratelli acquisiti, consanguinei e/o uterini, il complesso delle relazioni familiari si allarga ancora di più creando una rete di solidarietà familiare molto densa ed estesa.
Ma l’introduzione di queste nuove relazioni può causare non pochi problemi e rendere molto difficile la vita dei genitori e dei figli. Innanzitutto, la stessa definizione di famiglia e dei suoi confini diventano molto più incerti ed ambigui; anche se moralmente i quattro genitori hanno buoni rapporti tra di loro, purtroppo, la legge non ha legalizzato e regolarizzato il genitore sociale quindi il bambino/a si chiederà ad es.: “come lo chiamo? Mamma Angela e papà Francesco? Solo per nome?” quella/o lì?. In passato l’influenza delle favole sul nome matrigna o patrigno ha cristallizzato questo paradosso tanto da vederla come “la strega cattiva”. Il genitore sociale non nasce in seno a quella famiglia, lo diventa. Il suo ruolo deve espletarlo anche se non è legalizzato, e questo crea confusione ad esempio, in alcuni momenti di incertezza,  quando il genitore sociale non sa come comportarsi e il tutto si complica ancor di più quando il bambino/a dice ”tu non sei mio padre/madre”, lasciando il genitore sociale in piena crisi. Watlawick rappresenta tale livello di relazione di rifiuto con la frase “esisti non penso come te”. I primi anni di vita di una famiglia ricomposta richiedono, di solito, molti sforzi da parte degli adulti per negoziare e creare un sistema equilibrato e coerente di molteplici relazioni all’interno e all’esterno del nucleo o dei nuclei coinvolti. La maggior parte di figli supera con successo, ma faticosamente, il trauma dell’uscita del padre dalla famiglia; l’arrivo del nuovo compagno della madre richiede un periodo più o meno lungo di ulteriore adattamento caratterizzato, a volte, da sofferenza. Ancora più problematica della relazione con il padre sociale sembra essere quella con la madre sociale. Può svilupparsi tra le “due donne madri” una forte competizione che crea nei figli una maggior paura ad avere relazioni con i genitori sociali derivante dall’idea di “tradire” l’altro genitore biologico[15].
Alla mancanza di norme sociali cui fare riferimento per definire il ruolo del genitore acquisito corrisponde, in tutti i paesi occidentali, Italia compresa, una mancanza di norme giuridiche che ne stabiliscano diritti e doveri e, più in generale, che regolino in modo organico la vita di queste famiglie.
Anche le famiglie ricostituite presentano non pochi problemi in forme più attenuate, rispetto alla famiglia ricomposta, in quanto il ruolo educativo del genitore sociale è demandato ai soli genitori biologici, in tali casi il genitore sociale rimane una figura affettiva ma marginale.

3.5.2. Il sistema della fratria
Le famiglie (patriarcali allargate) di un tempo erano formate da una tribù di zii, cugini, fratelli, etc. Oggi, invece, generalmente sono composte da due genitori biologici con massimo due figli (famiglie nucleari) dalle quali derivano le famiglie ricostituite e ricomposte, semplici e complesse, che riportano il concetto di famiglia allargata in senso moderno.
In queste tipologie di famiglie troviamo genitori biologici e genitori sociali, e figli. Quest’ultimi sono tra loro fratelli non solo in senso biologico e giuridico ma anche sociale.
La fratria è composta da:
-      fratelli o sorelle gemelli/e omozigoti. I fratelli omozigoti  sono strettamente uniti perché già durante la gravidanza condividono la stessa placenta e nascono a pochi minuti l’uno dall’altro. Alcune ricerche hanno dimostrato che essi sentono le stesse cose anche a distanza l’uno dall’altro.
-      fratelli o sorelle gemelli/e eterozigoti. Essi, invece, nascono da due placente diverse per questo hanno un rapporto  semplicemente da fratelli.
-      Fratelli o sorelle germani. Sono due fratelli nati dalla stessa madre e stesso padre, anche a distanza di diversi anni l’uno dall’altro.
-      fratelli o sorelle consanguinei. Sono figli dello stesso padre ma di madri diverse.
-      fratelli o sorelle uterini. Sono figli della stessa madre ma di padri diversi.
-      fratelli o sorelle acquisiti. Non sono fratelli di sangue in quanto figli della sola madre sociale o padre sociale.
-      fratelli o sorelle adottivi: non sono fratelli di sangue. Si verifica quando una coppia ha già un figlio e ne prende uno in adozione.

I fratelli consanguinei, uterini e acquisiti sono volgarmente detti fratellastri o sorellastre, questa visione fiabesca ha dato un’immagine distorta della realtà. Ultimamente queste due definizioni, oltre che inesatte, stanno scomparendo per lasciare il posto a termini come consanguinei, uterini e acquisiti. Questo tipo di fratria la troviamo nelle famiglie ricomposte o ricostituite. I rapporti in questa tipologia di famiglie non sono semplici in quanto  non hanno avuto una storia comune e condivisa. Vicher Vicher[16] “Un legame acquisito lega questi fratelli, affinché ciascuno si senta parte di questo gruppo è necessario che gli adulti lavorino alla costruzione di un senso di appartenenza forte e ben tangibile”. La prima cosa importante è considerare i figli come derivanti da una famiglia nucleare, ossia ciascun figlio, all'interno della fratria, deve ricoprire una posizione ed un ruolo ben preciso, può essere il primogenito, il secondogenito (o comunque avere un ruolo intermedio), oppure essere l'ultimogenito.
Tali posizioni possono cambiare in ambedue le famiglie ricomposte complesse, ad esempio, se nella famiglia paterna è il terzogenito e nella famiglia materna è il primogenito egli deve imparare a giostrare queste relazioni. Tali posizioni generano nelle relazioni familiari dei vissuti e delle aspettative. La posizione nella fratria e il genere (femmina o maschio) possono influenzare anche il carattere e la personalità dei singoli individui, quindi i genitori sociali devono cercare di non far differenze di genere tra i figli biologici e sociali. Ciascun figlio percepisce disparità nei comportamenti dei genitori nei confronti dei figli; fratelli e sorelle notano anche delle differenze fra di loro riguardo la personalità e del modo con cui ciascuno si relaziona con i genitori.
Gli album di famiglia dove sono inseriti tutti i figli sono un ottimo strumento per creare i miti e le tradizioni di famiglia. Se in tali famiglie ci sono figli adolescenti o adulti, magari, che vivono da soli, è importante coinvolgerli in occasioni importanti che favoriscono l'incontro fra tutti i componenti; feste religiose o nazionali, vacanze, feste di compleanno e celebrazioni familiari, questi momenti fermano nella memoria di ciascuno dei ricordi. La condivisione di memorie e sentimenti facilita il senso di appartenenza al gruppo familiare. La fratria viene considerata il primo laboratorio sociale dove i fratelli imparano a relazionarsi con individui della stessa generazione; nella fratria i bambini apprendono la negoziazione, la competizione e l'alleanza. L'ambiente familiare influenza implicitamente il comportamento e quindi le relazioni tra fratelli; i figli nella fratria vivono sentimenti di rivalità e di gelosia ma riescono, senza alcun particolare insegnamento dei genitori, a condividere gli spazi, i giochi e una certa intimità; il senso di appartenenza al nucleo familiare stabilisce delle norme di comportamento implicite e determina l'equilibrio familiare. Nella fratria ricomposta, dove il numero dei figli varia poiché alcuni di essi trascorrono il tempo in due diversi nuclei familiari, le regole delle relazioni vengono esplicitate il più possibile, l'accordo tra i figli è importante, poiché da questo dipende l'atmosfera che caratterizza i momenti che l'intera famiglia vive assieme. Un buon metodo è di far vivere esperienze comuni ai figli, iscrivendoli, ad esempio, alle stesse scuole e facendoli frequentare gli stessi ambienti ricreativi, in questo modo sarà più facile farli sentire gruppo e creare dei legami più forti. I figli adolescenti avranno difficoltà a integrarsi e a sentirsi parte della nuova famiglia. Essi sono concentrati sulla propria individuazione e separazione, spesso esitano a impegnarsi nelle nuove relazioni, criticano gli adulti schierandosi a volte per un genitore, altre volte per l'altro. La loro presenza all'interno della nuova famiglia è imprevedibile, di frequente passano da un nucleo familiare all'altro, genitori naturali e nuovi partner si trovano obbligati ad uno scambio continuo di informazioni e ad un confronto sulle regole di vita che i figli adolescenti possono comprendere e rispettare. Questo non è negativo in quanto aiuta i genitori biologici e sociali ad avere un buon rapporto e ad essere d’esempio per tutti i figli. La decisione della nuova coppia di generare un figlio, comporta un ulteriore fattore di cambiamento, tutti i membri del sistema sono coinvolti emotivamente e sul piano delle relazioni. I figli si sentiranno rassicurati al riguardo della stabilità della nuova famiglia e nello stesso tempo metteranno in gioco nuovi sentimenti e posizioni all'interno della fratria e avranno l'opportunità di apprendere una flessibilità relazionale che permetterà loro un adattamento migliore alle diverse situazioni che incontreranno nella vita. Il figlio della nuova unione ha un compito importante, egli è l'anello biologico di unione tra i diversi figli, occupa una posizione centrale e non si schiera con nessuno, riceve affetto da tutti e appartiene ad entrambi i gruppi che costituiscono la fratria ricomposta. Da ricerche e interviste a famiglie ricomposte si rileva che la nascita di un figlio determina un miglioramento nelle relazioni tra tutti i componenti e una maggiore coesione dell'unità familiare. Vivere dunque un’esperienza di fratria ricomposta significa imparare a cogliere una ricchezza di informazioni che permette ai singoli di crescere nella relazione con gli altri.

3.5.3. L’introduzione dei nonni sociali
Il legame tra nonni biologici e nipoti biologici è un legame che Ada Fonzi definisce come “un amore senza Edipo”, ovvero un amore libero sia dalle conflittualità generazionali sia nella funzionalità educativa. Per i nonni biologici i nipoti rappresentano la continuità biologica, essi attivano nei nonni una sorta di rivitalizzazione e di proiezione verso il futuro. Il compito dei nonni è prendersi cura di loro, di coccolarli senza eccessi. Nelle famiglie allargate in senso moderno, ovvero ricostituite o ricomposte, si allargano gli orizzonti sia in senso verticale, quindi avremo una moltiplicazioni di nonni - bisnonni e a volte anche trisnonni, che a quelli biologici si aggiungono quelli acquisiti o sociali - sia in senso orizzontale: zii, prozii, cugini, pro cugini, biologici e sociali. I nonni sociali[17] sono i genitori del genitore sociale, sono i nonni del fratello consanguineo, o uterino, e i nonni del fratello acquisito. I bambini si domandano: “come lo chiamo, nonno Francesco e nonna Anna, o solo per nome?” Non tutti i nonni apprezzano l’appellativo di “Nonno/a” perché è un appellativo, di solito, dato alla persona anziana; molti nonni, soprattutto se biologici, vogliono essere chiamati con il nome di battesimo, togliendo ai nipoti anche l’emozione e l’affetto del termine “nonno/a”. Diverso è per i nipoti sociali dove, per dare senso di appartenenza, i nonni preferiscono essere chiamati “nonno/a”; mentre, sono i nipoti (sociali) ad essere riluttanti a tale appellativo. I primi tempi i nonni sociali condividono con i nipoti la non accettazione della situazione di famiglia allargata: vergogna, rabbia, delusione - frutto di un retaggio culturale vecchio e obsoleto - e questo paradossalmente li avvicina. Nell’arco di due/tre anni, di solito, le cose cambiano e la famiglia ricomposta/ricostituita viene accettata. I nonni sociali, affezionandosi a questi “nuovi nipoti” cercano di mantenere buoni rapporti con loro tentando di non fare differenze, a volte, tale rapporto dettato da sensi di colpa, per non averli accettati prima, può diventare morboso a tal punto da generare gelosie, soprattutto, tra nonne biologiche e sociali. In definitiva il punto di vista di tali ragazzi/e spazia divenendo naturale.























Capitolo 4- La genitorialità in generale, biologica (o genetica) e sociale

4.1. Definizione di genitorialità
Un tempo la genitorialità era definita solo dal fattore biologico e impronta sul bambino, come proprietà e come oggetto. La moderna evoluzione del sistema familiare, nella cultura occidentale, ha modificato il concetto di genitorialità. Il bambino non è un oggetto bensì un soggetto di diritto e, in quanto persona, ha bisogno di essere curato amato e rispettato[18].
Non si deve credere che le capacità genitoriali vengano acquisite spontaneamente fin dalla nascita del figlio, secondo gli studi di Stern sulle madri in gravidanza, durante la gestazione la donna affronta tre discorsi diversi: con sua madre, con se stessa in quanto figlia e con se stessa in quanto futura madre.  Carli ne dà l’esito di tali discorsi sarà collegato alle future cure che la madre offrirà al proprio bambino. Il significato che la madre darà agli eventi del suo passato, al suo essere stata figlia, influenzerà il suo rapporto con il bambino[19].
Per Bowlby, negli anni 50 era valido il concetto di monotropismo, quindi, solo la madre biologica poteva rivestire un ruolo di attaccamento di base (base sicura); oggi, invece, tale concetto è superato e con il termine “caregiver” si indica qualunque adulto capace di prendersi cura del bambino. Si ritiene, infatti, che il bambino è capace di costruire più legami d’attaccamento con gli adulti significativi, che si prendono cura di lui; M. Ravenna  considera il padre il perfetto sostituto materno. K. Lorenz parla di imprinting; pensiamo a quando un cucciolo viene alla luce e la madre biologica muore dopo il parto, nell’arco di 36 ore, il bambino al solo primo sguardo svilupperà un forte legame d’attaccamento all’adulto più vicino nonno/a, padre o un altro adulto. Un’altro effetto che si ha più tardi nel bambino è il bonding (Harlow); oltre la semplice nutrizione i bambini seguono l’adulto che gli dà più protezione. Kennel e Klaus parlano di indici di attaccamento attraverso i sensi: bacio, carezze, sguardo, e contatto. La competenza genitoriale alla prima esperienza, anche nel caso di genitori sociali, è data dalla capacità dell’adulto di immedesimarsi  nelle emozioni del piccolo. Le nuove scoperte della neurofisiologia sostengono che i neuroni specchio si sviluppano nel bambino piccolo proprio attraverso la relazione empatica con la madre o il caregiver. Più i neuroni sono sviluppati, maggiore sarà la relazione empatica che svilupperà l’intelligenza sociale; in tal modo il bambino riuscirà a percepire e sentire l’altro, ad amare e farsi amare e, tramite l’imitazione, egli interiorizzerà la funzione genitoriale come dimensione di cura dell’altro (ad es. il bambino che imbocca l’adulto o una bambola).
Eccles e Greco Maniglio[20]  Prendersi cura di un figlio è dunque un compito complesso, poiché richiede un buon adattamento tra stadio evolutivo del minore e ambiente, tra esigenze del bambino e opportunità offerte dal contesto sociale La disponibilità a fornire cure genitoriali adeguate è legata, più che all’istinto, alle capacità cognitive, affettive e relazionali dell’individuo e richiede una riorganizzazione e rinegoziazione sia del rapporto di coppia che del ruolo parentale.
Facendo riferimento al modello cibernetico di finalismo comportamentale, Castelfranchi e Miceli propongono una definizione “ideale” e “normativa” di genitore, secondo la quale il genitore è: “quella persona che ha internalizzato lo scopo (posto da natura e società) di “prendersi cura” e lo persegua in maniera autonoma attraverso la formulazione autonoma e personale di sottoscopi interni contingenti [21]
Boorn- Stein,  inoltre dicono che: “L’internalizzazione è il risultato di una relazione sempre, perlomeno, triadica ed è condizionata dai modelli culturali dalla personalità del genitore che egli stesso ha avuto come figlio, dalla coniugalità e coogenitorialità della specifica coppia, nonché, dal temperamento e da eventuali e specifiche problematiche riguardanti i minori e relative alle diverse fasi evolutive[22]”.
In definitiva, il genitore, non è solo chi risponde alla dimensione biologica ma soprattutto a quella culturale. La genitorialità, quindi, è la capacità interiorizzata da una relazione triadica, di espletare il ruolo di genitore, attraverso l’adozione di un assetto comportamentale finalizzato a nutrire, accudire, proteggere, dare affetto e sostegno, educare, promuovere l’autonomia e l’indipendenza della prole.
Anche la psicologia sostiene che “non è solo la madre o il padre biologico a potersi prendere cura del bambino ma, anche un genitore  “acquisito o sociale”. Mentre, tale concetto è perfettamente in linea con i principi sanciti nella Carta dei Diritti dell’Unione Europea, lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica riconoscono solo la genitorialità biologica intesa come triade.
I vari modelli di “procreazione responsabile” e “procreazione scelta”, tipici della nostra cultura, combinandosi tra loro possono realizzare diversi tipi di genitorialità, ciascuna con i propri rischi.
Esistono 6 tipi di genitorialità: in differita, interrotta, adottiva, omogenitorialità, biologica (o genetica) e sociale.

4.1.1. In differita
Nella genitorialità in differita l’elemento discriminante è l’età; nella donna, sui 30 anni, la preoccupazione maggiore è di non poter concepire un figlio, in quanto l’orologio biologico è prossimo ad indicare la menopausa. Oggi, in realtà, grazie alle nuove tecnologie mediche, la fase della menopausa non è più una causa di stress e le coppie possono procrastinare il momento di concepire un figlio.
Alcune delle cause che determinano questo “spostamento temporale”[23], secondo Baldoni sono: riparare precedenti ferite narcisistiche, sterilità di coppia, malattie, figli malati o morti, precedenti esperienze genitoriali fallite, difficoltà di coppia, conflitti con la famiglia di origine. Come possiamo notare le motivazioni del ritardo sono basate più sui bisogni della coppia che su quelli del figlio. La coppia acquisisce la consapevolezza di responsabilità genitoriale più tardi rispetto al passato.
Oggi, l’incertezza economica, la precarietà del lavoro, l’enorme impegno richiesto per affermarsi professionalmente sono tutti fattori che non agevolano l’attività genitoriale, anzi, la scoraggiano perchè non si è sicuri di poter offrire al bambino la disponibilità temporale e le cure opportune e delegare la responsabilità genitoriale ai nonni sarebbe sbagliato.
Lo spostamento temporale può essere causato anche dalla scelta “sbagliata” del partner - ad esempio una convivenza con un partner, con un matrimonio fallito alle spalle, che non ha alcuna voglia di assumere la responsabilità genitoriale, o dall’infertilità diffusa.
Tutte queste cause collimano dunque con il desiderio forte di avere un figlio. Questo forte desiderio (piacere) porta la donna ad intraprendere una delle due strade possibili: quella della fecondazione eterologa, in cui non necessita la presenza di un partner, oppure, quella della fecondazione omologa, specialmente nei casi di infertilità femminile – dovuta all’età matura o al danneggiamento delle tube di falloppio -  e di infertilità maschile - scarsa produzione di pochi spermatozoi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa l’8-10% delle coppie in età fertile soffra di problemi di infertilità e l'infertilità dell'uomo rappresenta la prima causa del ricorso alla procreazione assistita. “A fronte di un crescente ricorso alle tecniche di procreazione assistita, l'infertilità di tipo maschile interessa circa una coppia ogni due”, spiega Cesare Taccani[24].
I dati contenuti nella relazione sulla procreazione medico assistita, che il Ministro della Salute ha presentato in Parlamento, lo confermano: il fattore di infertilità di tipo maschile costituisce la prima causa di infertilità tra le coppie di pazienti con il 32,7 per cento. Se a questo si aggiungono le coppie che soffrono di            un’ infertilità mista, sia di tipo maschile che femminile, la relazione arriva ad affermare che “le coppie in cui è presente una patologia maschile ammontano al 50,7 per cento del totale”. Quindi, tra quanti si rivolgono ai centri di medicina della riproduzione, in una coppia su due il "problema" è rappresentato dall'uomo.
La fertilità maschile, pur essendo più longeva rispetto a quella femminile, è però influenzata negativamente da fattori endogeni ed esogeni. “Infezioni trascurate, iperestrogenismo alimentare e ambientale e stress sono tra le principali cause che provocano infertilità nell'uomo - ricorda Taccani -. Occorre però tenere presente anche il fattore tempo: la fertilità di un venticinquenne, infatti, non è uguale a quella di un uomo di 50 anni. L'età media del partner maschile che si rivolge al nostro centro è ormai superiore ai 40 anni: anche gli uomini tendono a posticipare sempre più la decisione di diventare padri”[25].  Continua Taccani: “Nella maggior parte dei casi parliamo di situazioni di infertilità dettate da un basso numero di spermatozoi sani o da problemi con la funzionalità spermatica tali da rendere difficile la fertilizzazione dell'ovocita in condizioni normali, in molti casi i problemi di infertilità possono essere curati o comunque superati”, precisa lo specialista. “Solamente nel 3% delle coppie infertili vi è una condizione di azoospermia, per cui è necessario ricorrere alla fecondazione eterologa mediante donazione di spermatozoi”.
Tra le cause di infertilità femminili troviamo, invece, l’infertilità endocrina-ovulatoria (nel 16 per cento dei casi), l’endometriosi (4,5%) e i fattori tubarici parziali, ovvero funzionalità delle tube alterata (3,5%).


4.1.2. Interrotta

Con la legge 194/78 sull’aborto o interruzione volontaria di gravidanza (IVG)[26], ogni donna in Italia può richiedere l’IVG  entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali, familiari etc., o dopo i 90 per gravi motivi: malformazione del feto, pericolo di vita della donna, etc. la si effettua presso le strutture del SSN in modo totalmente gratuito. L’art. 12 della legge 194, permette anche al minorenne di esercitare l’IVG con l’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e in mancanza di questi dal giudice tutelare. La donna ha diritto anche di lasciare il bambino in affido in ospedale per una successiva adozione e di rimanere nell’anonimato. Prima di effettuare l’IVG viene chiesto alla donna di firmare il diritto alla privacy 196/03. Il ginecologo - in base all’art.9, comma 5 della legge 194/78 può astenersi dall’IVG per obiezione di coscienza. In tal caso si demanda ad un collega.
Le forme di aborto sono diverse, esiste la pillola del giorno dopo: Levonelle o Norlevo una da 1,5 mg o due da 750 mg. Da assumere entro 72 ore dal rapporto.
L’aborto di tipo naturale, tubarico, pre-termine o tardivo, nei casi in cui il feto è morto o ha qualche malformazione. Due sono i metodi usati: il metodo chirurgico (per aspirazione) effettuato sia in day surgery sia con ricovero e la pillola abortiva.
l'intervento operatorio
L’intervento operatorio avviene sotto narcosi (anestesia generale). Il collo dell'utero viene dilatato cautamente con dilatatori metallici fino ad un diametro da 6 a 12 mm. Viene in seguito inserita una canula fine per l'aspirazione che rimuove i tessuti embrionali dalla cavità uterina. L'operazione dura circa 20 minuti. Generalmente, una visita di controllo viene effettuata nelle due settimane seguenti l'intervento. Nella cartella clinica si trova un consenso informato che spiega come avviene l’intervento chirurgico.

La pillola abortiva RU 486
Da qualche tempo in Italia è arrivata la pillola abortiva: Mifegyne con prostaglandina RU 486. Questa pillola puo' essere prescritta entro la 7ª settimana, o 49 giorni a partire dal primo giorno dell'ultima mestruazione. L'interruzione della gravidanza viene effettuata in clinica con due farmaci: la Mifegyne (RU 486) e la prostaglandina. La Mifegyne blocca gli effetti dell'ormone progesterone interrompendo lo sviluppo della gravidanza; mentre, la prostaglandina induce contrazioni uterine e provoca l'espulsione dei tessuti embrionali. In presenza di personale medico, la donna assume tre compresse di Mifegyne e, due giorni dopo, due compresse di prostaglandina. Dopo l’assunzione dei farmaci, la donna rimane in osservazione per alcune ore, durante le quali avviene l’espulsione dei tessuti embrionali. Circa due settimane dopo tale operazione, la donna deve sottoporsi ad una visita di controllo.

Dal punto di vista psicologico la genitorialità interrotta, rappresenta, al contrario della fecondazione assistita, secondo Scabini il tentativo di controllare la procreazione seguendo il desiderio della coppia di non avere figli. Dal punto di vista delle relazioni familiari è possibile osservare che “il ricorso all’aborto identifica una sorta di famiglia interrotta, in cui il mandato generazionale perde temporaneamente o definitivamente la sua forza e la relazione di coppia appare estremamente debole e problematica”[27].
Avere un figlio è una scelta in cui, paradossalmente, all’interno dello stesso approccio culturale possono convivere due posizioni opposte; se la prima può motivare coppie sterili ad avere un figlio “a tutti i costi”, al contrario, la seconda può giustificare un’altra coppia a non avere figli, a farsi sterile per scelta. Entrambi i casi trovano la loro collocazione nell’attuale modello che vede nei figli stessi una forma di realizzazione personale: nel primo caso non averne è vissuto come una forma di repressione della propria espressione, nel secondo, invece, avere dei figli è percepito come un limite alla propria libertà. La donna si trova in questi casi tra due posizioni opposte: la realizzazione della propria identità femminile e la limitazione della propria libertà. Per la maggior parte delle donne l’aborto legale, come soluzione ad una gravidanza non desiderata, è seguito da una miscela di emozioni tra cui prevalgono sentimenti positivi di sollievo. Il tema della scelta abortiva, per quanto riconosciuta come dolorosa, è comunque considerata espressione di autodeterminazione, dunque catalogata fra i gesti positivi dell’autonomia della persona.
Molte volte sono le minorenni, non per scelta personale bensì dei propri genitori, a dover rinunciare ad avere un figlio, in tal caso il supporto psicologico nella fase decisionale della donna si attua quando le conflittualità psicologiche ostacolano la donna rispetto alla responsabilità ed autonomia nel suo processo decisionale.
Altre volte alcune donne fanno ricorso all’aborto, mostrando una coazione a ripetere, scegliendo l’IVG come mezzo contraccettivo.
La letteratura psicologica evidenzia che i sentimenti negativi dopo l’interruzione di gravidanza sono frequenti, ma del tutto transitori. Si stima che la percentuale di donne che sperimenta una depressione post aborto vada dal 6 al 20 %, mentre il 17% delle donne sperimenterebbe uno stato mentale caratterizzato da senso di colpa, disistima, dispiacere, rabbia e sentimenti di perdita.

4.1.3. Adottiva

La Legge n. 184/83 (sulle adozioni), che ha disciplinato la materia per un arco di vent’anni, ha visto di recente un ampliamento normativo con l’emanazione di due nuove Leggi:
- la Legge n. 476/98, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione   per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993 e modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri.”;
- la Legge n. 149/2001, “Modifiche alla Legge  n. 184/83, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile.”, che hanno portato alcune significative modifiche.

La genitorialità adottiva[28] comincia a farsi luce nella coppia, spesso, in armonia con le prime difficoltà incontrate a fronte del desiderio mancato di concepire un proprio figlio. In tal caso il danno biologico della coppia è vissuto con colpa e vergogna nonché rabbia e delusione. Tali vissuti portano all’intenzione di presa in carico di un bambino.
Il progetto adottivo, rispetto alle altre scelte genitoriali, ha una maggiore forza di coinvolgimento della comunità sociale. Infatti, richiede di essere accolto non solo dalla coppia, ma anche dalla famiglia allargata, dal vicinato, dalla scuola ecc.
I rischi sottesi a questa forma di genitorialità, oltre a quelli relativi al faticoso iter che la coppia deve affrontare per raggiungere l’idoneità all’adozione, sono legati allo sviluppo di un senso di appartenenza comune tra il bambino e la nuova famiglia e, quindi, alle capacità di confrontare culture e storie diverse. Problemi possono riguardare anche le famiglie di origine. Un evento così complesso come quello dell’adozione può scoraggiare, per esempio, i nonni portandoli a tirarsi fuori dal progetto e ad accusare i figli di aver fatto una scelta difficile e a essersi imbarcati in un’esperienza troppo audace.



4.1.4. Omogenitorialità
L’omogenitorialità non è egualmente accettata dai paesi della Comunità Europea, ogni Paese, con la propria cultura, ha il suo modo di rispondere.
·  L’Olanda dal 1° aprile 2001 riconosce il matrimonio omosessuale e per queste coppie anche l’adozione di un bambino. Ciononostante, per le coppie italiane è inutile pensare di andare in Olanda per un matrimonio in stile Las Vegas. Il diritto al matrimonio e all’adozione è riconosciuto alle coppie omosessuali di nazionalità olandese o ai residenti.  
·  In Belgio il matrimonio omosessuale è legale, ma non l’omogenitorialità. Ciononostante, i single che desiderino adottare possono farlo.
·  La Spagna ha raggiunto da due anni il circolo chiuso dei Paesi che non oppongono resistenza al matrimonio né all’adozione in seno alla comunità omosessuale sul suo territorio.
·  La Danimarca autorizza l’unione delle coppie dello stesso sesso, ma queste ultime non hanno né il diritto di adottare dei figli, né quello alla procreazione assistita. Ciononostante, la legge danese autorizza gli omosessuali ad adottare i figli del proprio compagno.
·  Ahimè in Italia, invece, la legge rifiuta agli omosessuali il matrimonio, il diritto di adottare un bambino e la procreazione medicalmente assistita ( fecondazione eterologa), ma non la convivenza.
La materia delle convivenze omosessuali presenta, generalmente, una notevole varietà nelle forme di protezione giuridica ad esse accordate, e ciò di Stato in Stato; in alcuni casi, infatti, si è preferito scegliere la strada dell’equiparazione delle coppie di persone dello stesso sesso alle convivenze more uxorio (Italia, Francia, Belgio), mentre in altri, invece, si è sancita la piena equiparazione alle coppie unite in matrimonio (i casi della Spagna, Norvegia, Svezia, Islanda, Olanda, Germania). Il presupposto della tutela giuridica delle relazioni di convivenza instaurate tra persone dello stesso sesso è duplice: da un lato, si sottolinea, infatti, la possibilità che in una coppia omosessuale possa sorgere quella comunione di vita basata sull’esistenza di un rapporto affettivo, di assistenza e solidarietà, identico a quello fra persone di sesso opposto e, quindi, suscettibile di porre problemi analoghi a quelli che comunemente affrontano i conviventi eterosessuali; d’altro canto, è da evidenziare che la mancata tutela di una simile situazione sarebbe suscettibile di tradursi in una illegittima discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, oggi vietata all’articolo 21 della vigente e vincolante Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. La coppia omosessuale con figli si fonda, infatti, su un legame spontaneo, nato in conformità a un desiderio che tutti hanno — quello di diventare genitori — e che, per quanto la riguarda, si realizza attraverso un percorso nel quale i figli sono desiderati, cercati e voluti.  Nei Paesi dove è pienamente accettata la coppia omosessuale (gay o lesbiche) la giurisdizione è di gran lunga migliore di quella delle [29]coppie italiane: esse sono espressamente riconosciute dalla legge, hanno dei diritti e doveri reciproci sui quali possono contare e, soprattutto, i loro figli sono considerati a tutti gli effetti figli dell’unione e non solamente del genitore che ha contribuito (biologicamente o geneticamente) a metterli al mondo, ma anche dal compagno/a. Questo tutela il minore e influisce positivamente sulla qualità dell’unione, sulla solidità della famiglia e sulla capacità di ciascuno di essere un buon genitore. L’esistenza delle famiglie omosessuali dimostra esattamente che la filiazione, prima che dato biologico, è un atto di assunzione di responsabilità.  Le famiglie omogenitoriali italiane che, recatesi all’estero per accedere a procedimenti di procreazione assistita illegali in Italia, rientrano nel nostro Paese perché è qui che vogliono continuare a vivere. Appena varcano il confine, il nostro diritto smette di riconoscere il legame del bambino col genitore non biologico. Così, se al bambino capitasse malauguratamente di ammalarsi, quest’ultimo genitore non avrebbe la possibilità di assisterlo; inoltre, se il genitore biologico venisse a mancare, il bambino diverrebbe automaticamente orfano. Il modo più corretto di guardare all’omogenitorialità, pertanto, dovrebbe essere scevro da pregiudizi. Soprattutto, dovrebbe pensare a tale realtà come una vera e propria famiglia, perché tipici di queste, come di altre famiglie, sono l’amore e l’impegno che esse danno ai loro figli, in linea con quanto rilevato dalla Corte europea.  Molti pensano, al riguardo, che l’omogenitorialità sia qualcosa di sbagliato per due ragioni. La prima riguarda la natura stessa delle famiglie omogenitoriali ed evidenzia nelle stesse l’assenza di un genitore di sesso opposto. La seconda, più perniciosa, ritiene che il bambino subirebbe discriminazioni in una società che non è pronta ad accogliere gli omosessuali, figuriamoci i loro figli. Nessuna di queste obiezioni è convincente. La prima trascura ricerche condotte in campo psichiatrico che, nell’arco di vent’anni, hanno dimostrato che i bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali hanno esattamente le stesse capacità affettive e la medesima condizione psichica di quelli cresciuti in famiglie eterosessuali. La seconda è invece insostenibile in quanto puramente ideologica, e anziché rimuovere le discriminazioni, le legittima. Lo Stato così va contro la forma di genitorialità che protegge i bambini.

4.1.5. Biologica 
Eccoci dunque al modello di genitorialità tipico, la genitorialità biologica. Una coppia di persone che concepisce un figlio naturale. Esso riguarda la coppia fidanzata, sposata, convivente, separata o divorziata, con famiglia ricostituita o ricomposta o che ha concepito un figlio durante una relazione occasionale e al quale viene riconosciuta la paternità (anche tramite test del DNA) e quindi la patria potestà[30];


4.1.6. Genetica

Essa è di due tipi ( la fecondazione omologa ed eterologa è anche detta genitorialità genetica):
1.     la fecondazione omologa (detta anche genetica). E’ un tipo di fecondazione medicalmente assistita che si attua con il seme e l'ovulo di una coppia di genitori biologici del nascituro, il quale presenterà quindi un patrimonio genetico ereditato dai genitori naturali. Tale tipo di genitorialità, detta anche genitorialità genetica, a molti punti in comune con altri tipi di genitorialità presentati prima, ad es. la genitorialità in differita. Questa tecnica, finalizzata ad ottenere una gravidanza, comporta specifiche problematiche psicologiche in relazione alla peculiarità del trattamento, al tipo di procedure da utilizzare, ai tempi del trattamento e al coinvolgimento di terze persone, i medici, in una sfera tanto intima. Come è stato sottolineato da Link[31], l'infertilità va a toccare l'essenza della femminilità e della mascolinità e l'intrusività fisica e psicologica, che accompagna il trattamento, che può mettere in discussione l'immagine di sé e dar luogo a squilibri emozionali e psicosessuali, alle probabilità di successo, che a volte sono esigue e quindi alla prospettiva di un eventuale fallimento. Quindi questa tecnica poco conosciuta può produrre stress, ansia dell’attesa[32], paura dell’esito negativo e il timore dei pregiudizi sull’infertilità. Questo tipo di PMA però è tutelato sia dalla Legge che dalla Chiesa Cattolica, nella funzione genitoriale. Ovvero, i figli nati dalla fecondazione omologa sono considerati come i figli legittimi e naturali perché provenienti da una coppia di genitori biologici;
2.     la fecondazione eterologa (detta genitorialità genetica). Essa si verifica quando il seme oppure l'ovulo (ovodonazione) provengono da un soggetto esterno alla coppia. Ci troviamo di fronte ad un caso ampiamente discusso: perché una donna/uomo sceglie di avere “un figlio a tutti i costi?” E, soprattutto, l’assunzione di genitorialità come si profila da un punto di vista psicologico? Riuscirà un padre sociale ad essere un buon padre? Riuscirà una madre sola ad essere una buona madre? Queste domande saranno trattate nel paragrafo successivo, interamente dedicato alla fecondazione eterologa.  La medicina ha fatto passi da gigante ed ha permesso di realizzare il sogno naturale di tutti gli esseri umani, concepire un figlio, da soli o in coppia anche in tarda età e anche in casi di infertilità[33]. L’uomo è felice di lasciare qualcosa di sé pur disinteressandosi della paternità, può, quindi decidere di ricorrere alla crioconservazione[34]. Difatti, si recano alle varie banche del seme presenti in Europa per donare il proprio seme, il loro frutto biologico. La donna, invece, che tiene alla maternità ricorre alle suddette banche e sarà, quindi, futura madre biologica.
La costituzione di nuclei familiari (anche monogenitoriali) attraverso l’utilizzo di tecnologie riproduttive può porre dei quesiti in questo senso, nella misura in cui i rapporti tra fecondità e concepimento vengono ad assumere caratteristiche diverse rispetto a quelle naturali. Il ricorso alle tecnologie, infatti, prevede che altri e nuovi elementi entrino in gioco nel processo di procreazione e che questo evento non sia più un fatto di esclusiva “proprietà riservata”. La genitorialità rimanda ad una serie di temi complessi che vanno dalla rappresentazione di sé in relazione con le immagini interne di padre e di madre, alla costruzione della rappresentazione del proprio figlio e della relazione con lui. Essa può essere considerata come la realizzazione della propria identità di genere come l’opportunità per una sorta di rinascita indiretta attraverso il figlio, come una seconda chance nella vita, come occasione per capovolgere, sfidare, modificare ruoli sperimentati con i propri genitori.  La psicologia è d’accordo che: non è solo la madre biologica o il padre biologico a potersi prendere cura del bambino ma anche un genitore di qualunque sesso “acquisito o sociale”. Nella fecondazione eterologa, la donna è possibile che abbia già un compagno o è possibile che lo abbia in seguito. Viene a costituirsi, dunque, il padre sociale ovvero non biologico, tale padre deve fare i conti con i modi con cui il bambino è venuto al mondo e la provenienza (il padre biologico), con le questioni di etica morale, religiosa o politica, che potrebbero essere motivo di pregiudizio. Il più delle volte è il padre sociale che decide di adottare il bambino oppure fargli da padre senza alcun diritto; il gesto più nobile di un uomo che offre la sua “base sicura” in quanto gli viene naturale amare la propria donna e il figlio di questa, come se fosse suo.

4.1.6. Sociale
Abbiamo detto che la funzione genitoriale può esplicarla qualunque adulto. Il compagno della madre e/o la compagna del padre in una famiglia ricomposta o ricostituita dopo un divorzio è detto genitore sociale. Tali genitori sociali non sono tutelati dalla Legge Italiana mentre, la psicologia si chiede se il padre/madre sociale possono essere una risorsa per i figli della compagna.  Chantal Van Cutsem[35] dà uno schema esauriente sulle funzioni e il ruolo di genitorialità sociale, per lei si devono realizzare diverse condizioni affinchè egli possa assumere una “funzione paterna parziale”:
- la nuova figura maschile deve accettare di adempiere a questa funzione, con la consapevolezza che con essa introdurrà un insieme di regole, di leggi che necessiteranno della ristrutturazione dell’intera famiglia. Dovrà, quindi, anche lui essere disposto ad investire in una relazione duratura;
- la durata dell’investimento, in questa funzione quasi genitoriale, dipende anche dalla qualità della relazione tra i partner. Infatti, l’investimento nella coppia coniugale sarà tanto più solido quanto più la funzione genitoriale sarà assunta in maniera soddisfacente e, contemporaneamente, la madre che ha fiducia nella durata del legame coniugale, tenderà molto più facilmente a incoraggiare e a sostenere il partner nel compito di assolvere a questa carica genitoriale;
- il padre dei figli deve accettare di condividere la responsabilità paterna con un altro uomo, il quale, a sua volta, deve riconoscere che il primo mantiene nei confronti dei bambini un ruolo unico. Perché si realizzi questo riconoscimento reciproco c’è bisogno che i diversi sistemi familiari stabiliscano delle relazioni centrate sull’interesse dei figli, mettendo in secondo piano i conflitti e i rancori presenti tra i membri della prima coppia;
- i figli, inoltre, devono poter investire in una relazione, con il compagno della madre come con la compagna del padre, che non sia competitiva o soggetta a incessanti paragoni. Gli adulti sono chiamati a raggiungere almeno un accordo minimo, sufficiente a consentire la condivisione delle funzioni genitoriali;
- per ultimo, è necessario che anche le famiglie allargate, la rete sociale e le amicizie si adattino alla definizione che le nuove famiglie danno di sé.
Quindi si può dire che la condivisione della funzione paterna è un processo che non riguarda solo i singoli individui, ma richiede la collaborazione dell’insieme del sistema ricomposto. Il ruolo di madre sociale invece non è facile, anche se molte donne si trovano a doverlo assumere. Nelle famiglie ricomposte, spesso la madre acquisita si troverà in competizione con quella biologica in quanto la ripartizione della funzione materna è molto difficile, soprattutto se i figli sono molto piccoli. Ripartirsi le responsabilità tra due donne che si occupano di un bambino è più difficile che suddividersi la funzione genitoriale tra due uomini. Un compito della partner del padre è quello di facilitare la relazione con i figli. E’ bene, dunque, che la coppia chiarisca in anticipo i ruoli e le incombenze che la “vicemadre” deve svolgere nei primi tempi, che sono i più delicati. Secondo Anna Oliverio Ferraris[36], varie possono essere le reazioni dei figli all’inserimento nel nucleo familiare della nuova partner del padre: alcuni si adattano facilmente senza mostrare grossi segni di disagio o sofferenza; altri, invece, vedono in essa un’intrusa che ha portato alla dissoluzione della propria famiglia, una rivale della mamma o una diretta antagonista in quanto concentra su di se tutte le attenzioni del padre. In quest’ultimo caso i figli, come risposta a questi sentimenti ostili, possono ignorare completamente la madre sociale facendola sentire superflua, o inesistente, o negandole qualsiasi tipo di autorità e di diritto.  In definitiva, se i quattro genitori riescono per il bene dei propri figli ad avere dei rapporti adulti e maturi, a non prevaricare l’altro/a, ad essere d’accordo e ad istaurare un buon rapporto di stima e rispetto reciproco, i figli cresceranno in armonia tra loro.


[1]  G. CASSANO, Separazione, divorzio, invalidità del matrimonio, Cedam,  Padova 2009, p. 420.
[2] Ivi, p. 392.
[3] Ivi p. 1188.
[4] Ivi, p. 845.
[5] Ivi, p. 599.
[6] G. CASSANO, op cit., p. 338.
[7]http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070307_00/03_matrimoni.pdf
[8] M. MALAGOLI TOGLIATTI, G. MONTINARI, op cit., p. 233-235.

[9] A. Farneti Elementi di psicologia dello sviluppo. Dalle teorie ai problemi quotidiani, Carrocci, Roma 1998, p. 144.
[10] M. MALAGOLI TOGLIATTI, Affido congiunto e condivisione della genitorialità un contributo alla discussione in ambito psicogiuridico, Franco Angeli, Milano 2002, p. 36.
[12]    1. MOI rappresentazionale di sé in relazione: l’idea che ognuno ha di sé stesso all’interno delle relazioni da adulto di quanto sia degno e meritevole di cure amore e protezione;
       2. MOI l’idea dell’altro all’interno della relazione con se stessi di quanto sia possibile aspettarsi e ottenere amore cura e protezione;
       3. MOI delle relazioni interpersonali l’idea generale di quanto sia possibile aspettarsi e ottenere amore, cura e protezione all’interno delle relazioni con le altre persone.
[13] E. GIANNELLA, M. PALUMBO, G. VIGLIAR, Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, Sovera, Milano 2007, p.63.

[14] G. Cassano, op cit., p. 555.

 


[15] A. GIGLI, Famiglie mutanti. Pedagogia e famiglie nella società globalizzata ETS, Pisa 2007, p. 224.


[16] P. GAMBINI, op. cit., p. 227.
[17] C. A. DONFUT,  M. SEGALEN, Il secolo dei nonni, Armando, Roma 2005, p. 120.

[18] Convenzione Europea sui Diritti del Fanciullo a cui l’Italia ha aderito nel 1996.
[19] http://ssis.unitn.it/bacheca/comuni/3309_0.doc
[20] C. PATRIZI, L. RIGANTE, E.  DE MATTEIS, L. ISOLA, V. GIAMUNDO, Caratteristiche genitoriali e stili di parenting associati ai disturbi internalizzanti in età evolutiva, G. Fioriti editore, Roma 2010, Psichiatria e Psicoterapia Google.it p. 64.
[21] Ibidem.
[22] M. T. PEDROCCO BIANCARDI , A. TALEVI,  La voce dei bambini nel percorso di tutela. Aspetti psicologici, sociali e giuridici, Franco Angeli Milano, 2011. p. 45.

[23] A. M. Di Vita, P. Brustia, Psicologia della genitorialità. Modelli, ricerche, interventi, Antigone, Venaria (To) 2009, p. 17.
[24] Specialista in medicina della riproduzione del centro di sterilità Pro Crea di Lugano, dove ogni anno si rivolgono più di mille coppie italiane.
[25] Centro Sterilità e Fecondazione Assistita, Università degli Studi di Perugia
http://www.centrosterilita.it.
[26] tesina di specializzanda tirocinante pedagogista dott.ssa V. Salice, Corso di Laurea Magistrale in Scienze Pedagogiche LM 85, dal 01/02/10 al 15/03/10 C/o OO.RR. Ospedali Riuniti di Foggia, Azienda AUSL FG/3, Dipartimento di Maternità, 1° U.O. Ginecologia e Ostetricia Universitaria, Dir. e Tutor Aziendale Prof. P. Greco, Tutor Università Prof. G. D’Anna (teoria e storia della conoscenza), p.21-23.
[27] P. Gambini, op cit., p. 137.
[28] P. Gambini, op. cit.,  p. 310.
[29] P. DONADI, Generi: differenze nelle identità, Franco Angeli, Milano 2000, p. 136.
[30] Nel diritto italiano il passaggio dalla patria potestà attribuita solo al padre alla potestà genitoriale è avvenuto con riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha equiparato in doveri e dignità le figure del padre e della madre e abolito la potestà maritale.
La potestà genitoriale riguarda le responsabilità dei genitori nei confronti del minore, i suoi bisogni e le sue inclinazioni.

[31] D. BRAMANTI, La Famiglia tra le generazioni, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 179.
[32] J. GALLI, A. MORO, Miracoli, cicogne, provette. Riflessioni cliniche: dalla procreazione medicalmente assistita all’ adozione, Armando, Roma 2007, p. 62.
[33] V. Franco, Bioetica e procreazione assistita. Le politiche della vita tra libertà e responsabilità, Donzelli, Roma 2005, p. 56.
[34] L'ibernazione in azoto liquido (meglio detta crioconservazione) è utilizzata per la conservazione di spermatozoi ed embrioni umani. Gli embrioni umani, nelle fasi iniziali dello sviluppo umano, hanno cellule staminali e vengono utilizzate da ricercatori allo scopo di curare vari tipi di malattie, per esempio, il morbo di Parkinson e l'Alzheimer. In alcuni paesi è vietato, in altri, come la Gran Bretagna, si può utilizzare l’estrazione di cellule staminali da embrioni umani ai fini della ricerca fino a quattordici giorni dopo la fecondazione dell'ovulo. In questo momento, l'embrione è un insieme di cellule, grande più o meno come un quarto della testa di uno spillo (0,2 mm). Un secondo scopo dell’uso delle cellule staminali sta nella clonazione. Questa tecnica consiste nella creazione di un embrione umano contenente la composizione genetica completa di una persona in vita. Se fosse trapiantato nell'utero di una donna, l'embrione potrebbe tecnicamente trasformarsi in un clone (cioè una copia geneticamente uguale) di quella persona. Anche gli ovociti femminili possono essere congelati con il metodo della vitrificazione; alcuni Giapponesi hanno provato a non usare sostanza chimiche con il metodo cryotop.

[35] C.Van Cutsem, Le famiglie ricomposte presa in carico e consulenza, Cortina Raffaello, Milano 1999, p. 187.
[36] A. Olliviero Ferraris, La ricerca dell’identità. Come nasce come cresce come cambia l’idea di sé, Giunti, Milano 2010, p. 104.








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3.4.2. Separazioni e divorzi e annullamenti
La fine di un rapporto inizia con la separazione e termina con il divorzio.
Esistono tre tipi di separazioni:
1.            la separazione di fatto (naturale);
2.            la separazione consensuale (legale);
3.            la separazione giudiziale (legale);

La separazione di fatto, ove i coniugi decidono di interrompere la convivenza senza formalità (senza, quindi, fare ricorso ad un giudice), ponendo in essere la cosiddetta separazione di fatto, (marito e moglie vivono insieme (separati in casa) o in dimore diverse, in ogni caso, ognuno si occupa del proprio destino, disinteressandosi dell'altro). La separazione di fatto non produce alcun effetto sul piano giuridico, né è sufficiente a far decorrere il termine di tre anni per addivenire al divorzio. Inoltre, sebbene la separazione di fatto non sia sanzionata da alcun provvedimento dell'autorità giudiziaria, l'allontanamento di uno dei due coniugi dall'abitazione familiare o l'instaurazione di relazioni extra-coniugali potrebbero essere motivo di addebito solo nel caso si decida di passare alla separazione giudiziale[1]. ll coniuge può chiedere alla forza pubblica di constatare il fatto con un verbale per abbandono del tetto coniugale, reato penalmente peseguibile dietro querela della persona offesa (art. 570 c.p.). Raramente perseguito con il carcere, l'abbandono del domicilio domestico pregiudica tuttavia qualsiasi diritto e interesse legittimo dell'altra parte a percepire un assegno di mantenimento in caso di necessità economica (art. 143 del codice civile), in quanto la violazione dell'obbligo di coabitazione fa decadere anche l'obbligo di mantenimento e assistenza.

Con la separazione legale regolamentata dal codice civile (artt. 150 e ss), dal codice di procedura civile e da una serie di norme speciali, i coniugi non pongono fine al rapporto matrimoniale, né allo stato giuridico di coniuge. Essa incide solo su alcuni effetti propri del matrimonio: si scioglie la comunione legale dei beni (molte persone ora tendono a fare la divisione dei beni), cessano gli obblighi di fedeltà e coabitazione; mentre, altri effetti rimangono, come: il dovere di contribuire nell’interesse della famiglia, il dovere di mantenere il coniuge più debole e di mantenere, educare ed istruire la prole. La separazione legale sospende gli effetti nell'attesa o di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio.

La separazione legale è di due tipi: (consensuale o giudiziale).

la separazione consensuale[2] art. 158 c.c. si attua con il consenso di ambedue i coniugi su alcune questioni: diritti patrimoniali, mantenimento del coniuge più debole, diritto di visita e mantenimento della prole, assegnazione della casa coniugale. Dalla data del provvedimento di separazione decorre il termine di tre anni per poter richiedere il divorzio, con la nuova legge deve decorrere un anno.

Alla separazione giudiziale[3]contenziosa si fa ricorso nel caso in cui non vi sia accordo tra i coniugi. In tali casi si può richiedere l’addebito della separazione, ovvero l’accertamento che vi sia stata la violazione degli obblighi che discendono dal matrimonio (fedeltà, coabitazione, cura della prole, etc.) da parte di uno dei coniugi e che questa violazione abbia determinato la cessazione del rapporto. In tal caso se la violazione è stata accettata questi perde l’assegno di mantenimento e i diritti successori. L'art. 143 c.c. stabilisce i diritti e doveri reciproci dei coniugi e precisamente: "[...] Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia".
La Cassazione ha ribadito, con sentenza n. 16270/2013, che l'infedeltà comporta l'addebito della separazione solo quando è causa della rottura del rapporto coniugale (affectio coniugalis) e non quando il tradimento avviene perché il rapporto di coppia era già compromesso e, pertanto, la relazione extraconiugale costituisce una mera conseguenza.
Il giudice può affidare il godimento della casa coniugale ad uno dei due coniugi, soltanto se questi è affidatario di figli minorenni, o di figli maggiorenni incolpevolmente non autosufficienti, non in ragione della condizione economica dei coniugi [3] (art. 155 c.c. comma quater, e art. 6 comma 6 l. 898/1970).
Gli obblighi di mantenimento non sussistono se le parti hanno sottoscritto un contratto prematrimoniale, che dispone diversamente (art. 155 c.c.). Non è necessario l'atto notarile, può essere formulato come scrittura privata con autentica di firma e autocertificazione che le parti sono in grado di intendere e di volere.
 La separazione giudiziale può essere trasformata in separazione consensuale, anche in corso di causa, ma non può succedere il contrario.

Con il divorzio, introdotto e disciplinato dal codice civile all’art. 149 che consente (oggi) anche lo scioglimento di matrimonio, dalla legge 898/70 e dalla legge n.74/’87[4] (che ha apportato delle modifiche significative alla precedente), viene, invece, pronunciato lo scioglimento del matrimonio con rito civile o la cessazione degli effetti civili (se è stato celebrato il matrimonio civile o concordatario con: rito religioso, cattolico o di altra religione riconosciuta dalla Stato italiano). Le cause del divorzio sono elencate nell'art. 3 della legge 1970/898. Col divorzio vengono a cessare definitivamente gli effetti del matrimonio, sia sul piano personale (uso del cognome del marito, presunzione di concepimento, etc.), sia sul piano patrimoniale. La cessazione del matrimonio produce effetti dal momento della sentenza di divorzio, senza che essa determini il venir meno dei rapporti stabiliti in costanza del vincolo matrimoniale. Solo a seguito di divorzio il coniuge può pervenire a nuove nozze.

Anche il divorzio segue due vie: il divorzio congiunto e il divorzio giudiziale.

Il divorzio congiunto o consensuale[5] si ha quando c’è accordo tra le parti e tutti i criteri conformi alla legge sono rispondenti all’interesse dei figli l' art. 4 della legge n. 898/1970 indica espressamente gli elementi essenziali ai fini della validità del ricorso stesso; devono essere specificate, in particolare, le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici tra i coniugi con la nuova legge deve decorrere un anno (divorzio breve).

Il divorzio giudiziale[6] si ha quando non c’è accordo tra le parti, in tal caso il ricorso può essere presentato anche da un solo coniuge e con questo ha inizio un procedimento giudiziale. A seguito di divorzio, vengono meno i diritti e gli obblighi discendenti dal matrimonio (artt. 51, 143, 149 c.c.), viene meno la comunione legale dei beni ai sensi dell'art. 191 c.c. (se già non è accaduto in sede di separazione), cessa la destinazione del fondo patrimoniale (art. 171 c.c.) e viene meno la partecipazione dell'ex coniuge all'impresa familiare (art. 230 bis c.c.).

L'annullamento di matrimonio: Nell'ambito del diritto canonico cattolico, peraltro, il sacramento del matrimonio, non può essere sciolto ma può essere riconosciuto nullo, ed in tal caso pertanto non si parla di "divorzio" ma di "dichiarazione di nullità del sacramento del matrimonio". In Italia (in forza del concordato) e nelle altre legislazioni concordatarie dove la cerimonia religiosa può anche avere effetti civili, la nullità del matrimonio stabilita da un tribunale ecclesiastico, seguito da una doppia sentenza di conformità da parte del tribunale di II° grado o dal Tribunale della Rota Romana (se unita alla successiva delibazione della Corte d'appello competente a riconoscere la sentenza rotale) ha anche effetto di annullamento del matrimonio civile. La dichiarazione di nullità non modifica gli obblighi di mantenimento e di versare gli alimenti ai figli. L'ex-coniuge beneficia di un assegno per un periodo massimo di tre anni.
Cause possibili: Nel ricevere la richiesta di celebrazione del matrimonio canonico con effetti civili il parroco tenga presente che il matrimonio canonico non può ottenere gli effetti civili qualora al momento della celebrazione sussista una delle seguenti circostanze:
         a)       che uno dei contraenti non abbia compiuto gli anni diciotto e non sia stato ammesso al matrimonio a norma delle leggi civili;
         b)      che uno dei contraenti sia stato dichiarato interdetto per infermità di mente;
         c)       che i contraenti tra loro o anche uno solo di essi siano già legati da matrimonio valido agli effetti civili;
         d)      che sussista tra i contraenti uno degli impedimenti previsti dalla legge civile e non sia possibile ottenere l’autorizzazione al matrimonio[7].
         Il divieto richiamato al comma precedente cessa peraltro nei casi in cui, a norma degli articoli 68, terzo comma, 117, secondo comma e 119, secondo comma, del codice civile, non sarebbe possibile pronunziare la nullità del matrimonio o il suo annullamento.

Divorzio breve 2014, le nuove norme permettono di lasciarsi in pochissimo tempo e con una spesa davvero minima: ecco tutti i dettagli. Il divorzio breve 2014 ha preso sempre più piede e anche i Comuni si stanno attrezzando per permettere ai cittadini di usufruire del D. L. 132 del 12/09/14 in G.U. del 10/11/14 capo II art. 6 e capo III,recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”   convertito nella L.  162 art. 6 e 12 del 10/11/14 , già pubblicata in Gazzetta Ufficiale e in vigore dall’11 novembre 2014.
 che istituisce la “Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio” (art. 6) nonché la “Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile” (art. 12). Le nuove norme, però, si possono utilizzare solo in caso di separazione consensuale, di divorzio in forma congiunta e di modifica concordata delle condizioni di separazione e di divorzio. In questi casi si ricorre a due nuove procedure: quella di negoziazione assistita da avvocati (art. 6); quella davanti al Sindaco (Ufficiale di Stato Civile) (art.12).
È chiaro che, spesso e volentieri, le coppie che vorranno lasciarsi faranno in modo di trovare un accordo e poter così usufruire della procedura di divorzio breve 2014.  Anche alcuni comuni si erano organizzando per favorire i cittadini che vogliano approfittare della nuova legge: Roma, Brescia, Carbonia, Sassari, Bari, Bergamo e tanti altri hanno già attivato uno speciale sportello comunale dove trovare tutte le informazioni e le procedure da seguire per il divorzio breve 2014. Gli appuntamenti possono essere presi via telefono e il costo burocratico da sostenere è di soli 16 €.
Ovviamente questa procedura semplificata si applica solo qualora non ci siano di mezzo figli minori o portatori di handicap grave art 3 co. 3 L.104 del 05/02/1992 o economicamente non autosufficienti, e a condizione che l’accordo non contenga patti di trasferimento patrimoniale.
Stralciata la norma sul divorzio “lampo”, grazia alla quale poteva essere chiesto, anche in assenza di un periodo di separazione, da entrambi i coniugi con ricorso congiunto all'autorità giudiziaria competente in assenza di figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o figli con meno di 26 anni economicamente non autosufficienti. La norma è stata stralciata in Senato per evitare ostacoli all'approvazione del divorzio breve.
Dopo oltre 40 anni dibattaglie, ostracismi, rinvii, si accorciano i tempi, per chi vorrà porre fine al proprio matrimonio. L'Italia, grazie al voto alla Camera nel quale si è registrato un forte consenso (398 sì, 28 no e 6 astenuti) il 21/04/15   ha il suo divorzio brevissimo. Il che significa che non saranno più necessari 3 anni per dirsi addio, come previsto dalla riforma della ex legge Fortuna-Baslini, ma solo 6 mesi, se la separazione è consensuale, che permette di proporre la domanda di divorzio,   tale nuovo termine di sei mesi si applica anche alle separazioni che, inizialmente contenziose, si trasformano in consensuali;  12 mesi, invece se la separazione è giudiziale in tal caso si ricorrere al giudice, indipendentemente dalla presenza o meno di figli, il termine per calcolare la durata della separazione decorre dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale che legittima la domanda di divorzio. 
 Fin ora, l'articolo 191 del Codice civile prevedeva la separazione personale come uno dei motivi di scioglimento della comunione, il cui momento effettivo si verifica solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
La nuova legge aggiunge un nuovo comma all'articolo 191 c.c. attraverso il quale la comunione dei beni che si scioglie quando il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione consensuale; In caso di comunione dei beni - l'ordinanza che autorizza i coniugi a vivere separati deve essere comunicata all'ufficio di stato civile per l'annotazione dello scioglimento della comunione (sull'atto di matrimonio). Infine c'è l'applicazione immediata: il divorzio brevissimo sarà operativo anche per i procedimenti in corso. La nuova legge prevede una disposizione transitoria secondo la quale la nuova disciplina sulla riduzione dei tempi di proposizione della domanda di divorzio e quella che anticipa lo scioglimento della comunione legale si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della riforma. Vale anche quando sia pendente a tale data il procedimento di separazione personale che ne costituisce il presupposto.



[1]  G. CASSANO, Separazione, divorzio, invalidità del matrimonio, Cedam,  Padova 2009, p. 420.
[2] Ivi, p. 392.
[3] Ivi p. 1188.
[4] Ivi, p. 845.
[5] Ivi, p. 599.
[6] G. CASSANO, op cit., p. 338.
[7] Cfr artt. 87 e 88 del codice civile.
Da un punto di vista statistico l’Italia, rispetto alle tematiche familiari: bassa natalità, riduzione della nuzialità, frammentazione della coppia, ha tendenze comuni agli altri paesi dell’Unione Europea.
Nel nostro Paese è penetrata la mentalità divorzista. Il divorzio appare statisticamente ed esistenzialmente perdente ma culturalmente vincente, in quanto la maggior parte degli italiani sembra accettarlo, sia pure come extrema ratio in presenza di insanabili crisi del rapporto di coppia.

Nonostante dal 1970 nel nostro Paese sia prevista, dalla legge, la possibilità di divorzio e nonostante l’andamento crescente di separazioni e divorzi, l’Italia presenta il tasso di divorzialità più basso tra i paesi dell’Unione Europea (Fig.2). Le differenze tra l’Italia e i paesi dell’Europa settentrionale sono davvero molto ampie: si registrano valori del tasso di divorzialità intorno al 3 per mille nei paesi del Nord e dell’Est Europa e minori all’1 per mille in Italia. In generale sono i paesi mediterranei e/o di religione a maggioranza cattolica a presentare i tassi di divorzialità più bassi.

Da un punto di vista psicologico la separazione ed il divorzio non sono eventi che si realizzano in tempi brevi. Essi comportano un vero e proprio percorso, una successione di fasi, che permette alle persone implicate di elaborare interiormente quanto accaduto, di ristrutturare le proprie relazioni e di raggiungere una nuova organizzazione familiare. Tra i vari studiosi che si sono interessati a questo processo, i due autori per me di maggior interesse, sono: Kaslow (separazione) e Bohannan (divorzio)[38].

Il modello di F. W. Kaslow (1987)
F. W. Kaslow, individua tre fasi in cui suddivide il processo di separazione - secondo il quale occorrono in media dai due ai quattro anni per portarle a termine -:
1.    fase della alienazione, precedente alla separazione, caratterizzata da delusione, senso di vuoto, ritiro emotivo e controversie tra i due partner;
2.    fase conflittuale, caratterizzata da depressione, disperazione, collera e dalla separazione fisica e legale;
3.    fase riequilibratrice, successiva alla separazione, contraddistinta da un senso di rassegnazione, ma anche da ottimismo e fiducia in sé, dal completamento del «divorzio psichico», dalla riorganizzazione della rete di relazioni sociali e dalla sperimentazione di nuovi stili di vita.


Il modello di Bohannan (1970-73)
In una prospettiva psicosociale, oltre che legale, Bohannan vede il divorzio come un processo multidimensionale che attraversa 6 dimensioni - ove il mancato superamento di una di queste potrebbe comportare per gli individui gravi disagi e mettere in crisi l’intero percorso - :
1.    emozionale: è il deterioramento della coppia quando non si accettano i cambiamenti del partner e  l’alternarsi di momenti di aggressività e di riavvicinamento portano alla cronicizzazione del conflitto;
2.    legale: i due coniugi ricorrono ad un giudice per regolamentare le questioni inerenti il patrimonio e l’affido dei figli, il divorzio legale va affrontato dopo quello emotivo perché quando i due partner si sono adattati all’idea della separazione si può affrontare il divorzio consensualmente ed in un ottica costruttiva;
3.    Economico: questa è una fase molto delicata che riguarda sia la divisione dei beni, sia l’assegno familiare al coniuge più debole, se il divorzio emotivo è stato superato non ci dovrebbero essere rivendicazioni;
4.    genitoriale: l’assunzione di responsabilità di fronte ai figli. Infatti, il divorzio riguarda i genitori, non i figli e se si sono superate le fasi precedenti non dovrebbero sorgere conflittualità a carattere emotivo, legale ed economico. A tal riguardo, Dahan e De Schonen-Desanauts (2000) danno una buona soluzione per evitare di darsi colpe tra coniugi e generare colpe nei figli: sarebbe ottimo dare la notizia di separazione insieme in un clima possibilmente tranquillo.
5.    Comunitario: questo riguarda il mutamento delle relazioni sociali, l’allontanamento di amicizie di entrambi i partner preferendo nuove conoscenze. Se la persona torna nella casa genitoriale con i propri figli perderà quasi automaticamente il ruolo genitoriale affidandolo ai nonni, che diventa patogeno. In tali casi i nonni si sostituiscono ai genitori, i quali devono metabolizzare il divorzio assumendo un ruolo fraterno nei confronti dei propri figli. Questo scambio di ruoli genera nei figli la convinzione che i genitori sono immaturi e incapaci di svolgere il proprio ruolo e che i nonni sono intrusivi e poco capaci di rendere i figli autonomi. Ferenzi[39] parla di complesso del nonno: il nonno, essendo il padre del padre, ha potere sul figlio e riduce l’immagine onnipotente che il nipote ha di suo padre. I nonni diventano iperprotettivi e producono nei nipoti diverse forme di disadattamento, come ad esempio la patologia descritta da K. Lorenz “sindrome di re Salomone”;
6.    psichico: superare il momento in cui si prende atto, da un lato, della propria vita, autonomia e indipendenza e, dall’altro, delle proprie colpe e delle cause che hanno portato al fallimento della propria unione. Il partner che viene lasciato è quello che ha bisogno di un sostegno psicologico in quanto ha un senso di smarrimento e perdita, chi lascia, invece, ha un senso di colpa.


3.4.4. Dall’affido congiunto all’affido condiviso
Poniamoci la domanda: Perché inseriamo in questo paragrafo l’affidamento? Per capire, dopo la separazione o il divorzio, con chi vivono i figli. La Legge 74/87 parla di affidamento congiunto o alternato[40]. Tale affidamento, mentre, funziona in alcuni paesi dell’Unione Europea, più sviluppati dell’Italia, nel nostro paese non ha funzionato. L'affido congiunto si verifica quando il figlio, in caso di separazione o divorzio dei coniugi, vive nella casa coniugale, di solito con la madre, se non per gravi problemi, ma viene affidato ad entrambi i genitori ai quali è richiesto di cooperare nella gestione dei minori ed è strutturato in modo da condividere sia le responsabilità specifiche che la genitorialità, con questo termine intendiamo la cura e protezione della prole.  L’affidamento alternato, anche in questo caso il bambino vive in casa con la madre, nel caso in cui i genitori, con eguale potestà, alternativamente ovvero in tempi e luoghi diversi curano e gestiscono in modo indipendente tra di loro i rapporti con i figli.
Queste due modalità causano diversi problemi.
Nell’affido congiunto il “mobbing genitoriale”, secondo Gaetano Giordano (2004)[41], “consta dell’adozione da parte di un genitore, separato o in via di separazione dall’altro genitore, di comportamenti aggressivi preordinati e/o comunque finalizzati ad impedire all’altro genitore, attraverso il terrore psicologico, l’umiliazione e il discredito familiare, sociale, legale, l’esercizio della propria genitorialità, svilendo e/o distruggendo la sua relazione con i figli, impedendogli di esprimerla socialmente e legalmente, intromettendosi nella sua vita privata”. Ciò crea problemi al bambino a livello scolastico, familiare e sensi di colpa, andando contro la Convenzione Europea sui Diritti del Fanciullo di cui l’Italia ha aderito dal 1996 che riconosce il bambino come soggetto di diritto in quanto persona e di essere curato, amato e rispettato.Nell’affidamento alternato il genitore affidatario impedisce al genitore non affidatario di vedere il figlio, questo comportamento crea sofferenza al bambino che mette in atto strategie per non far soffrire i genitori e per riuscire a vederli entrambi.  Bowlby parla in questo caso di Modelli Operativi Interni (MOI)[42], essi formano nel bambino schemi di eventi (copioni script) che si organizzano in tracce di memoria e che permetteranno al bambino, in futuro, di mettere in atto strategie per ottenere cura e protezione in caso di bisogno. i MOI sono operativi per tutta la vita, ciò vuol dire che anche da adulto, quando diventerà genitore, egli a sua volta sarà un mobber.                                                            Alcuni movimenti di protesta promossi dalle organizzazioni a tutela dei diritti dei padri separati, hanno ragionato sulla precedente normativa che  portava in via quasi esclusiva all'affidamento della prole alla madre (circa 90% dei casi, contro il 10% tra affidi condivisi ed esclusivi ai padri). Questa condizione era operata perché si riteneva che i padri non fossero in grado di prendersi cura dei figli. M. Ravenna, invece, sostiene che “i padri sono perfetti sostituti delle madri”. L’affidamento giuridico solo alla madre dei figli ha portato alle situazioni di madri che abusavano della loro posizione privilegiata nei confronti dei figli ed arrivavano letteralmente a ricattare i mariti separati chiedendo aumenti nel mantenimento dietro minaccia di negare le visite ai figli. Un altro caso gravissimo registrato è quello di madri separate che usavano il proprio ascendente sui figli per metterli contro il padre e le sue eventuali nuove compagne. Con l'andare del tempo il numero di questi casi è aumentato a dismisura raggiungendo vette altissime, e questo ha portato i legislatori a meditare sulla possibilità di cambiare la legge vigente per garantire i diritti dei padri, consentendo loro una maggiore presenza nella vita dei figli. Con l'entrata in vigore della nuova Legge n. 54/’06, (cd. legge sull'"affido condiviso")si è operata una rivoluzione copernicana sancendo il principio di bigenitorialità[43], esso è il principio ideologico in base al quale un bambino ha una legittima aspirazione, ovvero una sorta di diritto naturale a mantenere un rapporto stabile con entrambi igenitori, anche nel caso questi siano separati, divorziati, o conviventi, ogni qual volta non esistano impedimenti che giustifichino l'allontanamento di un genitore dal proprio figlio. Tale diritto si baserebbe, in questa impostazione, sul fatto che essere genitori è un impegno che si prende nei confronti dei figli e non dell'altro genitore, per cui esso non può e non deve essere influenzato da un'eventuale separazione.  Questo principio promuove dunque la pratica dell'affido condiviso come tutela del benessere dei minori a continuare a ricevere cure, educazione ed affetto da entrambi i genitori. Le novità più importanti sono rappresentate dal riconoscimento di pari diritti e doveri a entrambi i genitori nei confronti dei figli (siano essi naturali o legittimi). Si parla in proposito di "parigenitorialità". Vengono riconosciuti anche diritti, di contatto continuativo con i nipoti, ai nonni e ai parenti più stretti (art. 155). Si è così compiuto un passo fondamentale per un cambiamento del Diritto di Famiglia, alla luce del mutare della mentalità e della società. L'affido condiviso è dunque oggi la forma di affidamento dei figli. Non viene esclusa, tuttavia, l'eccezione dell'affido a un solo genitore quando il comportamento dell'altro genitore nei confronti del figlio sia contrario all'interesse del minore stesso.  L'affido condiviso consente l'esercizio della potestà anche in modo disgiunto[44], cosicché ciascun genitore è responsabile in toto quando i figli sono con lui/lei. Contrariamente all’affido congiunto, che richiede sempre la completa cooperazione fra i genitori, l'affido condiviso disgiunto è applicabile e utile soprattutto in caso di conflitto (di solito col divorzio giudiziale), poiché suddivide in modo equilibrato le responsabilità specifiche e la permanenza presso ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi, ma disaccoppiandoli nel tempo e nello spazio.  Per prevenire eventuali problemi di educazione contraddittoria sono consigliate consulenze pedagogiche di impostazione e monitoraggio periodico. Il progetto educativo individualizzato (PEI) prevede il calendario genitoriale, di come viene ripartito il periodo di permanenza del figlio da ciascun genitore: a giorni alterni, un w.e. da uno e uno dall’altro, una settimana ciascuno, un mese ciascuno; un proposta, che non è stata attuata, era, per non far cambiare casa al figlio, di conservare la casa coniugale e per sei mesi a turno il padre e la madre si alternavano ma ciò comportava avere tre case e risultava essere molto oneroso per la coppia separata. Non è semplice passare dalla coppia all’essere genitore single. Per gestire bene il conflitto di coppia e la triangolazione genitoriale sarebbe utile come complemento la terapia di coppia e individuale, unita alla consulenza pedagogica, che possono mettere i genitori in condizione di affrontare il problema genitoriale in modo più efficace, per riportarli a svolgere con profitto e con soddisfazione personale la loro funzione di genitori.

3.5. Famiglie ricomposte e ricostituite (semplici e complesse)
Accanto alle famiglie nucleari classiche, composte da madre, padre e figli biologici, in Europa Occidentale sta crescendo il numero delle famiglie in cui almeno uno dei due coniugi, se non entrambe, hanno già vissuto un'esperienza di famiglia nucleare e se ne costruiscono un’altra. Queste sono state definite famiglie binucleari: parliamo dellefamiglie ricomposte e ricostituite. In questo paragrafo parleremo delle famiglie ricostituite e ricomposte e dell’introduzione di nuove figure familiari: genitori sociali, fratria e nonni sociali.



3.5.1. L’introduzione dei genitori sociali

Per famiglia ricostituita, invece, intendiamo riferirci a quella famiglia che viene a comporsi dopo la separazione e il divorzio, quando due nuclei familiari vengono costituiti dai genitori separati. A differenza delle famiglie ricomposte, in queste ultime,i genitori biologici non condividono con i genitori sociali le responsabilità verso i figli di precedenti unioni, bensì, solo relazioni amichevoli e si hanno pochi rapporti con i fratelli sociali.

Le famiglie ricostituite possono essere di due tipi:
-      famiglie ricostituite semplici, quelle in cui un  partner che forma il nuovo nucleo familiare porta con sé i figli nati da un unione precedente ma i due nuovi coniugi o conviventi non condividono il ruolo educativo rispetto ai figli di precedenti unioni, quindi, avremo rapporti solo tra fratelli germani, consanguinei o uterini;
-      Famiglie ricostituite complesse, ove entrambi i partner formano i nuovi nuclei familiari portando con loro i figli nati da un’unione precedente ma i due nuovi coniugi o conviventi non condividono il ruolo educativo rispetto ai figli di precedenti unioni, quindi avremo rapporti solo tra fratelli germani, consanguinei e uterini, contando solo la presenza di fratelli sociali anche se non sono considerati tali.

Per famiglie ricomposte intendiamo riferirci a quelle famiglie che vengono a comporsi dopo la separazione e il divorzio, quando più nuclei familiari vengono costituiti dai genitori separati. Questa è una delle forme più moderne, ove, l’insieme dei 2 genitori biologici e i 2 sociali (compagni dei genitori) condividono formalmente la responsabilità verso i figli di precedenti unioni, quindi, avremo rapporti, anche, tra fratelli: germani, consanguinei, uterini e sociali.

 Le famiglie ricomposte si dividono in due tipi:
-      ricomposte semplici, sono quelle in cui un partner che forma il nuovo nucleo familiare porta con sé i figli nati da unioni precedenti e condivide con il/la nuova/o partner funzioni e responsabilità, in tali tipi di famiglie quindi oltre al padre o madre sociale avremo rapporti anche tra fratelli germani, consanguinei o uterini;
-      ricomposte complesse, ove entrambi i partner formano i nuovi nuclei familiari portando con loro i figli nati da unioni precedenti e condividendo con i nuovi partner funzioni e responsabilità, in tali tipi di famiglie quindi oltre al padre o madre sociale avremo rapporti anche tra fratelli germani, consanguinei, uterini e sociali

I tratti caratteristici della famiglia ricomposta sono le incertezze: dei confini, nei termini da utilizzare, nei ruoli assunti. Per i figli, un tempo, le seconde nozze di un genitore significavano sostituire un nuovo genitore a quello scomparso; adesso, la ricomposizione della famiglia vuol dire aggiungere ai genitori biologici, che rimangono, uno o due nuovi genitori “sociali” oltre ad eventuali fratelli e sorelle consanguinei, uterini e sociali e una nuova parentela. Le conseguenze di una situazione di questo tipo si esplicano comunque sui diversi soggetti implicati: figli, adulti e parentela estesa, e sono anche di diverso tipo, rendendo molto più complesso il versante relazionale - comportamentale ed anche economico, giuridico, oltre che demografico.
La famiglia ricomposta può essere anche vista come una risorsa affettiva e relazionale; quando ci sono figli del precedente matrimonio, la seconda unione di uno dei genitori può allargare molto la rete delle relazioni familiari intorno ad essi se i rapporti col genitore non convivente si sono allentati, il loro indebolimento può essere almeno in parte compensato da una nuova rete di parentela. E quando i figli mantengono i rapporti con ambedue i  genitori biologici e accettano i genitori sociali e i fratelli sociali, consanguinei e/o uterini, il complesso delle relazioni familiari si allarga ancora di più creando una rete di solidarietà familiare molto densa ed estesa.
Ma l’introduzione di queste nuove relazioni può causare non pochi problemi e rendere molto difficile la vita dei genitori e dei figli. Innanzitutto, la stessa definizione di famiglia e dei suoi confini diventano molto più incerti ed ambigui; anche se moralmente i quattro genitori hanno buoni rapporti tra di loro, purtroppo, la legge non ha legalizzato e regolarizzato il genitore sociale quindi il bambino/a si chiederà ad es.: “come lo chiamo? Mamma Angela e papà Francesco? Solo per nome?” quella/o lì?. In passato l’influenza delle favole sul nome matrigna o patrigno come anche genitore acquisito hanno cristallizzato questo paradosso tanto da vederla come “la strega cattiva” o "il malvagio". Il genitore sociale non nasce in seno a quella famiglia, lo diventa. Il suo ruolo deve espletarlo anche se non è legalizzato, e questo crea confusione ad esempio, in alcuni momenti di incertezza,  quando il genitore sociale non sa come comportarsi e il tutto si complica ancor di più quando il bambino/a dice”tu non sei mio padre/madre”, lasciando il genitore sociale in piena crisi. Watlawick rappresenta tale livello di relazione di rifiuto con la frase “esisti non penso come te”. I primi anni di vita di una famiglia ricomposta richiedono, di solito, molti sforzi da parte degli adulti per negoziare e creare un sistema equilibrato e coerente di molteplici relazioni all’interno e all’esterno del nucleo o dei nuclei coinvolti. La maggior parte di figli supera con successo, ma faticosamente, il trauma dell’uscita del padre dalla famiglia; l’arrivo del nuovo compagno della madre richiede un periodo più o meno lungo di ulteriore adattamento caratterizzato, a volte, da sofferenza. Ancora più problematica della relazione con il padre sociale sembra essere quella con la madre sociale. Può svilupparsi tra le “due donne madri” una forte competizione che crea nei figli una maggior paura ad avere relazioni con i genitori sociali derivante dall’idea di “tradire” l’altro genitore biologico[1].
Alla mancanza di norme sociali cui fare riferimento per definire il ruolo del genitore sociale corrisponde, in tutti i paesi occidentali, Italia compresa, una mancanza di norme giuridiche che ne stabiliscano diritti e doveri e, più in generale, che regolino in modo organico la vita di queste famiglie.
Anche le famiglie ricostituite presentano non pochi problemi in forme più attenuate, rispetto alla famiglia ricomposta, in quanto il ruolo educativo del genitore sociale è demandato ai soli genitori biologici, in tali casi il genitore sociale rimane una figura affettiva ma marginale.

3.5.2. Il sistema della fratria
Le famiglie (patriarcali allargate) di un tempo erano formate da una tribù di zii, cugini, fratelli, etc. Oggi, invece, generalmente sono composte da due genitori biologici con massimo due figli (famiglie nucleari) dalle quali derivano le famiglie ricostituite e ricomposte, semplici e complesse, che riportano il concetto di famiglia allargata in senso moderno.
In queste tipologie di famiglie troviamo genitori biologici e genitori sociali, e figli. Quest’ultimi sono tra loro fratelli non solo in senso biologico e giuridico ma anche sociale.

La fratria è composta da 7 tipi:
-      fratelli o sorelle gemelli/e omozigoti. I fratelli omozigoti  sono strettamente uniti perché già durante la gravidanza condividono la stessa placenta e nascono a pochi minuti l’uno dall’altro. Alcune ricerche hanno dimostrato che essi sentono le stesse cose anche a distanza l’uno dall’altro.
-      fratelli o sorelle gemelli/e eterozigoti. Essi, invece, nascono da due placente diverse per questo hanno un rapporto  semplicemente da fratelli.
-      Fratelli o sorelle germani. Sono due fratelli nati dalla stessa madre e stesso padre, anche a distanza di diversi anni l’uno dall’altro.
-      fratelli o sorelle consanguinei. Sono figli dello stesso padre ma di madri diverse.
-      fratelli o sorelle uterini. Sono figli della stessa madre ma di padri diversi.
-      fratelli o sorelle sociali. Non sono fratelli di sangue in quanto figli della sola madre sociale o padre sociale.
-      fratelli o sorelle adottivi: non sono fratelli di sangue. Si verifica quando una coppia ha già un figlio e ne prende uno in adozione.

I fratelli consanguinei, uterini e sociali sono volgarmente detti fratellastri o sorellastre, oppure “quasi fratelli” o “quasi sorelle”, oppure fratelli/sorelle acquisite, questa visione fiabesca ha dato un’immagine distorta della realtà. Ultimamente queste tre definizioni, oltre che inesatte, stanno scomparendo per lasciare il posto a termini come fratelli/sorelle: consanguinei, uterini e sociali. Questo tipo di fratria la troviamo nelle famiglie ricomposte o ricostituite. I rapporti in questa tipologia di famiglie non sono semplici in quanto  non hanno avuto una storia comune e condivisa. Vicher Vicher[2]“Un legame sociale lega questi fratelli, affinché ciascuno si senta parte di questo gruppo è necessario che gli adulti lavorino alla costruzione di un senso di appartenenza forte e ben tangibile”. La prima cosa importante è considerare i figli come derivanti da una famiglia nucleare, ossia ciascun figlio, all'interno della fratria, deve ricoprire una posizione ed un ruolo ben preciso, può essere il primogenito, il secondogenito (o comunque avere un ruolo intermedio), oppure essere l'ultimogenito.
Tali posizioni possono cambiare in ambedue le famiglie ricomposte complesse, ad esempio, se nella famiglia paterna è il terzogenito e nella famiglia materna è il primogenito egli deve imparare a giostrare queste relazioni. Tali posizioni generano nelle relazioni familiari dei vissuti e delle aspettative. La posizione nella fratria e il genere (femmina o maschio) possono influenzare anche il carattere e la personalità dei singoli individui, quindi i genitori sociali devono cercare di non far differenze di genere tra i figli biologici e sociali. Ciascun figlio percepisce disparità nei comportamenti dei genitori nei confronti dei figli; fratelli e sorelle notano anche delle differenze fra di loro riguardo la personalità e del modo con cui ciascuno si relaziona con i genitori.
Gli album di famiglia dove sono inseriti tutti i figli sono un ottimo strumento per creare i miti e le tradizioni di famiglia. Se in tali famiglie ci sono figli adolescenti o adulti, magari, che vivono da soli, è importante coinvolgerli in occasioni importanti che favoriscono l'incontro fra tutti i componenti; feste religiose o nazionali, vacanze, feste di compleanno e celebrazioni familiari, questi momenti fermano nella memoria di ciascuno dei ricordi. La condivisione di memorie e sentimenti facilita il senso di appartenenza al gruppo familiare. La fratria viene considerata il primo laboratorio sociale dove i fratelli imparano a relazionarsi con individui della stessa generazione; nella fratria i bambini apprendono la negoziazione, la competizione e l'alleanza. L'ambiente familiare influenza implicitamente il comportamento e quindi le relazioni tra fratelli; i figli nella fratria vivono sentimenti di rivalità e di gelosia ma riescono, senza alcun particolare insegnamento dei genitori, a condividere gli spazi, i giochi e una certa intimità; il senso di appartenenza al nucleo familiare stabilisce delle norme di comportamento implicite e determina l'equilibrio familiare. Nella fratria ricomposta, dove il numero dei figli varia poiché alcuni di essi trascorrono il tempo in due diversi nuclei familiari, le regole delle relazioni vengono esplicitate il più possibile, l'accordo tra i figli è importante, poiché da questo dipende l'atmosfera che caratterizza i momenti che l'intera famiglia vive assieme. Un buon metodo è di far vivere esperienze comuni ai figli, iscrivendoli, ad esempio, alle stesse scuole e facendoli frequentare gli stessi ambienti ricreativi, in questo modo sarà più facile farli sentire gruppo e creare dei legami più forti. I figli adolescenti avranno difficoltà a integrarsi e a sentirsi parte della nuova famiglia. Essi sono concentrati sulla propria individuazione e separazione, spesso esitano a impegnarsi nelle nuove relazioni, criticano gli adulti schierandosi a volte per un genitore, altre volte per l'altro. La loro presenza all'interno della nuova famiglia è imprevedibile, di frequente passano da un nucleo familiare all'altro, genitori naturali e nuovi partner si trovano obbligati ad uno scambio continuo di informazioni e ad un confronto sulle regole di vita che i figli adolescenti possono comprendere e rispettare. Questo non è negativo in quanto aiuta i genitori biologici e sociali ad avere un buon rapporto e ad essere d’esempio per tutti i figli. La decisione della nuova coppia di generare un figlio, comporta un ulteriore fattore di cambiamento, tutti i membri del sistema sono coinvolti emotivamente e sul piano delle relazioni. I figli si sentiranno rassicurati al riguardo della stabilità della nuova famiglia e nello stesso tempo metteranno in gioco nuovi sentimenti e posizioni all'interno della fratria e avranno l'opportunità di apprendere una flessibilità relazionale che permetterà loro un adattamento migliore alle diverse situazioni che incontreranno nella vita. Il figlio della nuova unione ha un compito importante, egli è l'anello biologico di unione tra i diversi figli, occupa una posizione centrale e non si schiera con nessuno, riceve affetto da tutti e appartiene ad entrambi i gruppi che costituiscono la fratria ricomposta. Da ricerche e interviste a famiglie ricomposte si rileva che la nascita di un figlio determina un miglioramento nelle relazioni tra tutti i componenti e una maggiore coesione dell'unità familiare. Vivere dunque un’esperienza di fratria ricomposta significa imparare a cogliere una ricchezza di informazioni che permette ai singoli di crescere nella relazione con gli altri.

3.5.3. L’introduzione dei nonni sociali
Il legame tra nonni biologici e nipoti biologici è un legame che Ada Fonzi definisce come “un amore senza Edipo”, ovvero un amore libero sia dalle conflittualità generazionali sia nella funzionalità educativa. Per i nonni biologici i nipoti rappresentano la continuità biologica, essi attivano nei nonni una sorta di rivitalizzazione e di proiezione verso il futuro. Il compito dei nonni è prendersi cura di loro, di coccolarli senza eccessi. Nelle famiglie allargate in senso moderno, ovvero ricostituite o ricomposte, si allargano gli orizzonti sia in senso verticale, quindi avremo una moltiplicazioni di nonni - bisnonni e a volte anche trisnonni, che a quelli biologici si aggiungono quelli sociali - sia in senso orizzontale: zii, prozii, cugini, pro cugini, biologici e sociali. I nonni sociali[3] sono i genitori del genitore sociale, sono i nonni del fratello consanguineo, o uterino, e i nonni del fratello sociale. I bambini si domandano: “come lo chiamo, nonno Francesco e nonna Anna, o solo per nome?” Non tutti i nonni apprezzano l’appellativo di “Nonno/a” perché è un appellativo, di solito, dato alla persona anziana; molti nonni, soprattutto se biologici, vogliono essere chiamati con il nome di battesimo, togliendo ai nipoti anche l’emozione e l’affetto del termine “nonno/a”. Diverso è per i nipoti sociali dove, per dare senso di appartenenza, i nonni preferiscono essere chiamati “nonno/a”; mentre, sono i nipoti (sociali) ad essere riluttanti a tale appellativo. I primi tempi i nonni sociali condividono con i nipoti la non accettazione della situazione di famiglia allargata: vergogna, rabbia, delusione - frutto di un retaggio culturale vecchio e obsoleto - e questo paradossalmente li avvicina. Nell’arco di due/tre anni, di solito, le cose cambiano e la famiglia ricomposta/ricostituita viene accettata. I nonni sociali, affezionandosi a questi “nuovi nipoti” cercano di mantenere buoni rapporti con loro tentando di non fare differenze, a volte, tale rapporto dettato da sensi di colpa, per non averli accettati prima, può diventare morboso a tal punto da generare gelosie, soprattutto, tra nonne biologiche e sociali. In definitiva il punto di vista di tali ragazzi/e spazia divenendo naturale.

[1] A. GIGLI, Famiglie mutanti. Pedagogia e famiglie nella società globalizzata ETS, Pisa 2007, p. 224.

[2] P. GAMBINI, op. cit., p. 227.
[3] C. A. DONFUT,  M. SEGALEN, Il secolo dei nonni, Armando, Roma 2005, p. 120.



[1] P. Scabini, E. Donati, 12 studi interdisciplinari sulla famigliaLa famiglia in una società multietnica, Vita e Pensiero, Milano 1997, p. 11.
[2] ID, Nuovo lessico familiare, Vita e pensiero, Milano 2002 - Pagina 16
[3] A. BALDASSARI, P. CENDON, Codice Civile. Annotato con la giurisprudenza, Utet giuridica, Milano 2007, p. 668.
[4] E., BIANCHI, E. GIUSTI, Evolvere rimanendo insieme. Ricerche sulla longevità dei rapporti di coppia per consolidare l’amore e recuperare l’intimità, Sovera, Roma 2012, p. 96.

[6] P. GAMBINI, op. cit., p. 97.
[7] P. GAMBINI, op. cit.,  p.99.

[8] A. GIGLI, Famiglie mutanti: pedagogia e famiglie nella società globalizzata, ETS, Pisa 2007, p. 113.

[11] P. BERTOLINI, Dizionario di pedagogia e scienze dell’educazione, Zanichelli, Bologna 2008, p. 199. 
[12] Il processo d’inculturazione avviene nella prima infanzia in modo inconscio ed è il processo attraverso il quale il bambino apprende dalle generazioni più anziane (genitori, nonni, zii) il vivere nella cultura in cui è nato: 1. il repertorio di valori atteggiamenti; 2. gli strumenti per premiare /punire il bambino; 3. i modelli di comportamento corrispondenti alla propria stratificazione sociale per mantenere la reciproca dipendenza degli strati sociali su cui si fonda il sistema di produzione.
[13] P. BERTOLINI, op. cit., p. 407.
[14] E. GIACOBBE, Le persone e la famiglia,  Utet Giuridica, Milano 2011, p. 48.
[15] Ivi, p. 227.
[16] C. SARACENO, M. NALDINI, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna 2001, p. 62-63.
[17] Ivi, p. 67.
[18] Ivi, p. 64.
[19] Esso è designato sul gruppo culturale in cui è stato individuato per la prima volta.
[20] La tipologia più semplice di famiglia è quella nucleare, costituita da un uomo, una donna e i loro figli. La famiglia estesa, invece, è caratterizzata dalla presenza di più famiglie nucleari legate tra loro o per via materna o per via paterna che risiedono in uno stesso luogo.
La regola che determina la residenza caratterizza anche la stessa configurazione della famiglia. Nel caso di regola patrilocale o virilocale quando il figlio maschio si sposa continua a vivere nella casa paterna, portando con sé la moglie e figli; nel caso, invece, di regola matrilocale o uxorilocale  è la figlia femmina a rimanere in casa delle madre con il marito e la prole.
[21] Nelle società primitive, il matriarcato, rappresentava l'opportunità sociale che la filiazione facesse riferimento almeno ad un genitore certo, affinché si potesse costituire una linea ereditaria altrettanto certa.
[22] P. BERTOLINI, op cit., p. 340.
[23] C. SARACENO, M. NALDINI, op. ci., p. 97.
[24] Al contrario nel matrimonio morganatico ci si sposava con  diverso status economico e per questo erano matrimoni segreti.  Esso impedisce il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito.
[25] Ivi, p. 86.
[26] Matrimonio fra persone dello stesso sesso.
[27] C. SARACENO, M. NALDINI, op. cit. p.90.

[28] M. BARBAGLI C. SARACENO, Lo stato delle famiglie in Italia, Il Mulino, Bologna 1997, p.38-39.
[29] Successivamente alla L. 898 del 1° dicembre 1970, il divorzio è stato confermato, a larga maggioranza, dal referendum del 1974. Nel corso degli anni la legge istitutiva del divorzio è stata ritoccata dalla L. 436/1978 e poi ampiamente modificata dalla L. 74/1987; quest’ultima, in particolare, ha ridotto da 5 a 3 anni il periodo di separazione personale dei coniugi necessario per ottenere il divorzio. B. DE FILIPPIS, L. LANDI, A. L. LETTIERI, S. LUCCARIELLO,R. MAURANO, P. MAZZEI, A. MUTALIPASSI, C. PENNA, G. PIERRO, M. QUILICI, C. SAPIA,Affidamento dei figli nella separazione e nel divorzio,  Cedam, Padova 2009, p. 11.
[30] Le famiglie nucleari sono anche le coppie legalmente sposate con prole.
[31]  G. CASSANO, Separazione, divorzio, invalidità del matrimonio, Cedam, Padova 2009, p. 420.
[32] Ivi, p. 392.
[33] Ivi p. 1188.
[34] Ivi, p. 845.
[35] Ivi, p. 599.
[36] G. CASSANO, op cit., p. 338.
[38] M. MALAGOLI TOGLIATTI, G. MONTINARI, op cit., p. 233-235.

[39] A. Farneti Elementi di psicologia dello sviluppo. Dalle teorie ai problemi quotidiani, Carrocci, Roma 1998, p. 144.
[40] M. MALAGOLI TOGLIATTI, Affido congiunto e condivisione della genitorialità un contributo alla discussione in ambito psicogiuridico, Franco Angeli, Milano 2002, p. 36.
[41] G. CONTRI, Minori in giudizio. La convenzione di Strasburgo, Franco Angeli, Milano 2012,  p. 173.


[42]    1. MOI rappresentazionale di sé in relazione: l’idea che ognuno ha di sé stesso all’interno delle relazioni da adulto di quanto sia degno e meritevole di cure amore e protezione;
       2. MOI l’idea dell’altro all’interno della relazione con se stessi di quanto sia possibile aspettarsi e ottenere amore cura e protezione;
       3. MOI delle relazioni interpersonali l’idea generale di quanto sia possibile aspettarsi e ottenere amore, cura e protezione all’interno delle relazioni con le altre persone.
[43] E. GIANNELLA, M. PALUMBO, G. VIGLIAR, Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, Sovera, Milano 2007, p.63.

[44] G. Cassano, op cit., p. 555.


[45] A. GIGLI, Famiglie mutanti. Pedagogia e famiglie nella società globalizzata ETS, Pisa 2007, p. 224

[46] P. GAMBINI, op. cit., p. 227.
[47] C. A. DONFUT,  M. SEGALEN, Il secolo dei nonni, Armando, Roma 2005, p. 120.


Capitolo 4- La genitorialità in generale,  genetica e sociale 

4.1. Definizione di genitorialità
Un tempo la genitorialità era definita solo dal fattore biologico e impronta sul bambino, come proprietà e come oggetto. La moderna evoluzione del sistema familiare, nella cultura occidentale, ha modificato il concetto di genitorialità. Il bambino non è un oggetto bensì un soggetto di diritto e, in quanto persona, ha bisogno di essere curato amato e rispettato[1].
Non si deve credere che le capacità genitoriali vengano acquisite spontaneamente fin dalla nascita del figlio, secondo gli studi di Stern sulle madri in gravidanza, durante la gestazione la donna affronta tre discorsi diversi: con sua madre, con se stessa in quanto figlia e con se stessa in quanto futura madre.  Carli ne dà l’esito di tali discorsi sarà collegato alle future cure che la madre offrirà al proprio bambino. Il significato che la madre darà agli eventi del suo passato, al suo essere stata figlia, influenzerà il suo rapporto con il bambino[2].
Per Bowlby, negli anni 50 era valido il concetto di monotropismo, quindi, solo la madre biologica poteva rivestire un ruolo di attaccamento di base (base sicura); oggi, invece, tale concetto è superato e con il termine “caregiver” si indica qualunque adulto capace di prendersi cura del bambino. Si ritiene, infatti, che il bambino è capace di costruire più legami d’attaccamento con gli adulti significativi, che si prendono cura di lui; M. Ravenna  considera il padre il perfetto sostituto materno. K. Lorenz parla di imprinting; pensiamo a quando un cucciolo viene alla luce e la madre biologica muore dopo il parto, nell’arco di 36 ore, il bambino al solo primo sguardo svilupperà un forte legame d’attaccamento all’adulto più vicino nonno/a, padre o un altro adulto. Un’altro effetto che si ha più tardi nel bambino è il bonding (Harlow); oltre la semplice nutrizione i bambini seguono l’adulto che gli dà più protezione. Kennel e Klaus parlano di indici di attaccamento attraverso i sensi: bacio, carezze, sguardo, e contatto. La competenza genitoriale alla prima esperienza, anche nel caso di genitori sociali, è data dalla capacità dell’adulto di immedesimarsi  nelle emozioni del piccolo. Le nuove scoperte della neurofisiologia sostengono che i neuroni specchio si sviluppano nel bambino piccolo proprio attraverso la relazione empatica con la madre o il caregiver. Più i neuroni sono sviluppati, maggiore sarà la relazione empatica che svilupperà l’intelligenza sociale; in tal modo il bambino riuscirà a percepire e sentire l’altro, ad amare e farsi amare e, tramite l’imitazione, egli interiorizzerà la funzione genitoriale come dimensione di cura dell’altro (ad es. il bambino che imbocca l’adulto o una bambola).
Eccles e Greco Maniglio[3]  Prendersi cura di un figlio è dunque un compito complesso, poiché richiede un buon adattamento tra stadio evolutivo del minore e ambiente, tra esigenze del bambino e opportunità offerte dal contesto sociale La disponibilità a fornire cure genitoriali adeguate è legata, più che all’istinto, alle capacità cognitive, affettive e relazionali dell’individuo e richiede una riorganizzazione e rinegoziazione sia del rapporto di coppia che del ruolo parentale.
Facendo riferimento al modello cibernetico di finalismo comportamentale,Castelfranchi e Miceli propongono una definizione “ideale” e “normativa” di genitore, secondo la quale il genitore è: “quella persona che ha internalizzato lo scopo (posto da natura e società) di “prendersi cura” e lo persegua in maniera autonoma attraverso la formulazione autonoma e personale di sottoscopi interni contingenti” [4]
Boorn- Stein,  inoltre dicono che: “L’internalizzazione è il risultato di una relazione sempre, perlomeno, triadica ed è condizionata dai modelli culturali dalla personalità del genitore che egli stesso ha avuto come figlio, dalla coniugalità e coogenitorialità della specifica coppia, nonché, dal temperamento e da eventuali e specifiche problematiche riguardanti i minori e relative alle diverse fasi evolutive[5]”.
In definitiva, il genitore, non è solo chi risponde alla dimensione biologica ma soprattutto a quella culturale. La genitorialità, quindi, è la capacità interiorizzata da una relazione triadica, di espletare il ruolo di genitore, attraverso l’adozione di un assetto comportamentale finalizzato a nutrire, accudire, proteggere, dare affetto e sostegno, educare, promuovere l’autonomia e l’indipendenza della prole.
Anche la psicologia sostiene che “non è solo la madre o il padre biologico a potersi prendere cura del bambino ma, anche un genitore  “acquisito o sociale”. Mentre, tale concetto è perfettamente in linea con i principi sanciti nella Carta dei Diritti dell’Unione Europea, lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica riconoscono solo la genitorialità biologica intesa come triade.
I vari modelli di “procreazione responsabile” e “procreazione scelta”, tipici della nostra cultura, combinandosi tra loro possono realizzare diversi tipi di genitorialità, ciascuna con i propri rischi.
Esistono 6 tipi di genitorialità: in differita, interrotta, adottiva, omogenitorialità, biologica (o genetica) e sociale.

4.1.1. In differita
Nella genitorialità in differita l’elemento discriminante è l’età; nella donna, sui 30 anni, la preoccupazione maggiore è di non poter concepire un figlio, in quanto l’orologio biologico è prossimo ad indicare la menopausa. Oggi, in realtà, grazie alle nuove tecnologie mediche, la fase della menopausa non è più una causa di stress e le coppie possono procrastinare il momento di concepire un figlio.
Alcune delle cause che determinano questo “spostamento temporale”[6], secondo Baldoni sono: riparare precedenti ferite narcisistiche, sterilità di coppia, malattie, figli malati o morti, precedenti esperienze genitoriali fallite, difficoltà di coppia, conflitti con la famiglia di origine. Come possiamo notare le motivazioni del ritardo sono basate più sui bisogni della coppia che su quelli del figlio. La coppia acquisisce la consapevolezza di responsabilità genitoriale più tardi rispetto al passato.
Oggi, l’incertezza economica, la precarietà del lavoro, l’enorme impegno richiesto per affermarsi professionalmente sono tutti fattori che non agevolano l’attività genitoriale, anzi, la scoraggiano perchè non si è sicuri di poter offrire al bambino la disponibilità temporale e le cure opportune e delegare la responsabilità genitoriale ai nonni sarebbe sbagliato.
Lo spostamento temporale può essere causato anche dalla scelta “sbagliata” del partner - ad esempio una convivenza con un partner, con un matrimonio fallito alle spalle, che non ha alcuna voglia di assumere la responsabilità genitoriale, o dall’infertilità diffusa.
Tutte queste cause collimano dunque con il desiderio forte di avere un figlio. Questo forte desiderio (piacere) porta la donna ad intraprendere una delle due strade possibili: quella della fecondazione eterologa, in cui non necessita la presenza di un partner, oppure, quella della fecondazione omologa, specialmente nei casi di infertilità femminile – dovuta all’età matura o al danneggiamento delle tube di falloppio -  e di infertilità maschile - scarsa produzione di pochi spermatozoi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa l’8-10% delle coppie in età fertile soffra di problemi di infertilità e l'infertilità dell'uomo rappresenta la prima causa del ricorso alla procreazione assistita. “A fronte di un crescente ricorso alle tecniche di procreazione assistita, l'infertilità di tipo maschile interessa circa una coppia ogni due”, spiega Cesare Taccani[7].
I dati contenuti nella relazione sulla procreazione medico assistita, che il Ministro della Salute ha presentato in Parlamento, lo confermano: il fattore di infertilità di tipo maschile costituisce la prima causa di infertilità tra le coppie di pazienti con il 32,7 per cento. Se a questo si aggiungono le coppie che soffrono di            un’ infertilità mista, sia di tipo maschile che femminile, la relazione arriva ad affermare che “le coppie in cui è presente una patologia maschile ammontano al 50,7 per cento del totale”. Quindi, tra quanti si rivolgono ai centri di medicina della riproduzione, in una coppia su due il "problema" è rappresentato dall'uomo.La fertilità maschile, pur essendo più longeva rispetto a quella femminile, è però influenzata negativamente da fattori endogeni ed esogeni. “Infezioni trascurate, iperestrogenismo alimentare e ambientale e stress sono tra le principali cause che provocano infertilità nell'uomo - ricorda Taccani -. Occorre però tenere presente anche il fattore tempo: la fertilità di un venticinquenne, infatti, non è uguale a quella di un uomo di 50 anni. L'età media del partner maschile che si rivolge al nostro centro è ormai superiore ai 40 anni: anche gli uomini tendono a posticipare sempre più la decisione di diventare padri”[8] Continua Taccani: “Nella maggior parte dei casi parliamo di situazioni di infertilità dettate da un basso numero di spermatozoi sani o da problemi con la funzionalità spermatica tali da rendere difficile la fertilizzazione dell'ovocita in condizioni normali, in molti casi i problemi di infertilità possono essere curati o comunque superati”, precisa lo specialista. “Solamente nel 3% delle coppie infertili vi è una condizione di azoospermia, per cui è necessario ricorrere alla fecondazione eterologa mediante donazione di spermatozoi”. Tra le cause di infertilità femminili troviamo, invece, l’infertilità endocrina-ovulatoria (nel 16 per cento dei casi), l’endometriosi (4,5%) e i fattori tubarici parziali, ovvero funzionalità delle tube alterata (3,5%).


4.1.2. Interrotta

Con la legge 194/78 sull’aborto o interruzione volontaria di gravidanza (IVG)[9], ogni donna in Italia può richiedere l’IVG  entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali, familiari etc., o dopo i 90 per gravi motivi: malformazione del feto, pericolo di vita della donna, etc. la si effettua presso le strutture del SSN in modo totalmente gratuito. L’art. 12 della legge 194, permette anche al minorenne di esercitare l’IVG con l’assenso di chi esercita la potestà o la tutela e in mancanza di questi dal giudice tutelare. La donna ha diritto anche di lasciare il bambino in affido in ospedale per una successiva adozione e di rimanere nell’anonimato. Prima di effettuare l’IVG viene chiesto alla donna di firmare il diritto alla privacy 196/03. Il ginecologo - in base all’art.9, comma 5 della legge 194/78 può astenersi dall’IVG per obiezione di coscienza. In tal caso si demanda ad un collega.
Le forme di aborto sono diverse, esiste la pillola del giorno dopo: Levonelle o Norlevouna da 1,5 mg o due da 750 mg. Da assumere entro 72 ore dal rapporto.
L’aborto di tipo naturale, tubarico, pre-termine o tardivo, nei casi in cui il feto è morto o ha qualche malformazione. Due sono i metodi usati: il metodo chirurgico (per aspirazione) effettuato sia in day surgery sia con ricovero e la pillola abortiva.
l'intervento operatorio
L’intervento operatorio avviene sotto narcosi (anestesia generale). Il collo dell'utero viene dilatato cautamente con dilatatori metallici fino ad un diametro da 6 a 12 mm. Viene in seguito inserita una canula fine per l'aspirazione che rimuove i tessuti embrionali dalla cavità uterina. L'operazione dura circa 20 minuti. Generalmente, una visita di controllo viene effettuata nelle due settimane seguenti l'intervento. Nella cartella clinica si trova un consenso informato che spiega come avviene l’intervento chirurgico.

La pillola abortiva RU 486
Da qualche tempo in Italia è arrivata la pillola abortiva: Mifegyne con prostaglandina RU 486. Questa pillola puo' essere prescritta entro la 7ª settimana, o 49 giorni a partire dal primo giorno dell'ultima mestruazione. L'interruzione della gravidanza viene effettuata in clinica con due farmaci: la Mifegyne (RU 486) e la prostaglandina. La Mifegyne blocca gli effetti dell'ormone progesterone interrompendo lo sviluppo della gravidanza; mentre, la prostaglandina induce contrazioni uterine e provoca l'espulsione dei tessuti embrionali. In presenza di personale medico, la donna assume tre compresse di Mifegyne e, due giorni dopo, due compresse di prostaglandina. Dopo l’assunzione dei farmaci, la donna rimane in osservazione per alcune ore, durante le quali avviene l’espulsione dei tessuti embrionali. Circa due settimane dopo tale operazione, la donna deve sottoporsi ad una visita di controllo.

Dal punto di vista psicologico la genitorialità interrotta, rappresenta, al contrario della fecondazione assistita, secondo Scabini il tentativo di controllare la procreazione seguendo il desiderio della coppia di non avere figli. Dal punto di vista delle relazioni familiari è possibile osservare che “il ricorso all’aborto identifica una sorta di famiglia interrotta, in cui il mandato generazionale perde temporaneamente o definitivamente la sua forza e la relazione di coppia appare estremamente debole e problematica”[10].
Avere un figlio è una scelta in cui, paradossalmente, all’interno dello stesso approccio culturale possono convivere due posizioni opposte; se la prima può motivare coppie sterili ad avere un figlio “a tutti i costi”, al contrario, la seconda può giustificare un’altra coppia a non avere figli, a farsi sterile per scelta. Entrambi i casi trovano la loro collocazione nell’attuale modello che vede nei figli stessi una forma di realizzazione personale: nel primo caso non averne è vissuto come una forma di repressione della propria espressione, nel secondo, invece, avere dei figli è percepito come un limite alla propria libertà. La donna si trova in questi casi tra due posizioni opposte: la realizzazione della propria identità femminile e la limitazione della propria libertà. Per la maggior parte delle donne l’aborto legale, come soluzione ad una gravidanza non desiderata, è seguito da una miscela di emozioni tra cui prevalgono sentimenti positivi di sollievo. Il tema della scelta abortiva, per quanto riconosciuta come dolorosa, è comunque considerata espressione di autodeterminazione, dunque catalogata fra i gesti positivi dell’autonomia della persona.
Molte volte sono le minorenni, non per scelta personale bensì dei propri genitori, a dover rinunciare ad avere un figlio, in tal caso il supporto psicologico nella fase decisionale della donna si attua quando le conflittualità psicologiche ostacolano la donna rispetto alla responsabilità ed autonomia nel suo processo decisionale.
Altre volte alcune donne fanno ricorso all’aborto, mostrando una coazione a ripetere, scegliendo l’IVG come mezzo contraccettivo.
La letteratura psicologica evidenzia che i sentimenti negativi dopo l’interruzione di gravidanza sono frequenti, ma del tutto transitori. Si stima che la percentuale di donne che sperimenta una depressione post aborto vada dal 6 al 20 %, mentre il 17% delle donne sperimenterebbe uno stato mentale caratterizzato da senso di colpa, disistima, dispiacere, rabbia e sentimenti di perdita.

4.1.3. Adottiva

La Legge n. 184/83 (sulle adozioni), che ha disciplinato la materia per un arco di vent’anni, ha visto di recente un ampliamento normativo con l’emanazione di due nuove Leggi:
- la Legge n. 476/98, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione   per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993 e modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri.”;
la Legge n. 149/2001, “Modifiche alla Legge  n. 184/83, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile.”, che hanno portato alcune significative modifiche.

La genitorialità adottiva[11] comincia a farsi luce nella coppia, spesso, in armonia con le prime difficoltà incontrate a fronte del desiderio mancato di concepire un proprio figlio. In tal caso il danno biologico della coppia è vissuto con colpa e vergogna nonché rabbia e delusione. Tali vissuti portano all’intenzione di presa in carico di un bambino.
Il progetto adottivo, rispetto alle altre scelte genitoriali, ha una maggiore forza di coinvolgimento della comunità sociale. Infatti, richiede di essere accolto non solo dalla coppia, ma anche dalla famiglia allargata, dal vicinato, dalla scuola ecc.
I rischi sottesi a questa forma di genitorialità, oltre a quelli relativi al faticoso iter che la coppia deve affrontare per raggiungere l’idoneità all’adozione, sono legati allo sviluppo di un senso di appartenenza comune tra il bambino e la nuova famiglia e, quindi, alle capacità di confrontare culture e storie diverse. Problemi possono riguardare anche le famiglie di origine. Un evento così complesso come quello dell’adozione può scoraggiare, per esempio, i nonni portandoli a tirarsi fuori dal progetto e ad accusare i figli di aver fatto una scelta difficile e a essersi imbarcati in un’esperienza troppo audace.



4.1.4. Omogenitorialità
L’omogenitorialità o famiglie arcobaleno non è egualmente accettata dai paesi della Comunità Europea, ogni Paese, con la propria cultura, ha il suo modo di rispondere.
  • L’Olanda dal 1° aprile 2001 riconosce il matrimonio omosessuale e per queste coppie anche l’adozione di un bambino. Ciononostante, per le coppie italiane è inutile pensare di andare in Olanda per un matrimonio in stile Las Vegas. Il diritto al matrimonio e all’adozione è riconosciuto alle coppie omosessuali di nazionalità olandese o ai residenti.  
  • In Belgio il matrimonio omosessuale è legale, ma non l’omogenitorialità. Ciononostante, i single che desiderino adottare possono farlo.
  • La Spagna ha raggiunto da due anni il circolo chiuso dei Paesi che non oppongono resistenza al matrimonio né all’adozione in seno alla comunità omosessuale sul suo territorio.
  • La Danimarca autorizza l’unione delle coppie dello stesso sesso, ma queste ultime non hanno né il diritto di adottare dei figli, né quello alla procreazione assistita. Ciononostante, la legge danese autorizza gli omosessuali ad adottare i figli del proprio compagno.
  • Ahimè in Italia, invece, la legge rifiuta agli omosessuali il matrimonio, il diritto di adottare un bambino e la procreazione medicalmente assistita ( fecondazione eterologa), ma non la convivenza.
La materia delle convivenze omosessuali presenta, generalmente, una notevole varietà nelle forme di protezione giuridica ad esse accordate, e ciò di Stato in Stato; in alcuni casi, infatti, si è preferito scegliere la strada dell’equiparazione delle coppie di persone dello stesso sesso alle convivenze more uxorio (Italia, Francia, Belgio), mentre in altri, invece, si è sancita la piena equiparazione alle coppie unite in matrimonio (i casi della Spagna, Norvegia, Svezia, Islanda, Olanda, Germania). Il presupposto della tutela giuridica delle relazioni di convivenza instaurate tra persone dello stesso sesso è duplice: da un lato, si sottolinea, infatti, la possibilità che in una coppia omosessuale possa sorgere quella comunione di vita basata sull’esistenza di un rapporto affettivo, di assistenza e solidarietà, identico a quello fra persone di sesso opposto e, quindi, suscettibile di porre problemi analoghi a quelli che comunemente affrontano i conviventi eterosessuali; d’altro canto, è da evidenziare che la mancata tutela di una simile situazione sarebbe suscettibile di tradursi in una illegittima discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, oggi vietata all’articolo 21 della vigente e vincolante Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. La coppia omosessuale con figli si fonda, infatti, su un legame spontaneo, nato in conformità a un desiderio che tutti hanno — quello di diventare genitori — e che, per quanto la riguarda, si realizza attraverso un percorso nel quale i figli sono desiderati, cercati e voluti.  Nei Paesi dove è pienamente accettata la coppia omosessuale (gay o lesbiche) la giurisdizione è di gran lunga migliore di quella delle [12]coppie italiane: esse sono espressamente riconosciute dalla legge, hanno dei diritti e doveri reciproci sui quali possono contare e, soprattutto, i loro figli sono considerati a tutti gli effetti figli dell’unione e non solamente del genitore che ha contribuito (biologicamente o geneticamente) a metterli al mondo, ma anche dal compagno/a. Questo tutela il minore e influisce positivamente sulla qualità dell’unione, sulla solidità della famiglia e sulla capacità di ciascuno di essere un buon genitore. L’esistenza delle famiglie omosessuali dimostra esattamente che la filiazione, prima che dato biologico, è un atto di assunzione di responsabilità.  Le famiglie omogenitoriali italiane che, recatesi all’estero per accedere a procedimenti di procreazione assistita illegali in Italia, rientrano nel nostro Paese perché è qui che vogliono continuare a vivere. Appena varcano il confine, il nostro diritto smette di riconoscere il legame del bambino col genitore non biologico. Così, se al bambino capitasse malauguratamente di ammalarsi, quest’ultimo genitore non avrebbe la possibilità di assisterlo; inoltre, se il genitore biologico venisse a mancare, il bambino diverrebbe automaticamente orfano. Il modo più corretto di guardare all’omogenitorialità, pertanto, dovrebbe essere scevro da pregiudizi. Soprattutto, dovrebbe pensare a tale realtà come una vera e propria famiglia, perché tipici di queste, come di altre famiglie, sono l’amore e l’impegno che esse danno ai loro figli, in linea con quanto rilevato dalla Corte europea.  Molti pensano, al riguardo, che l’omogenitorialità sia qualcosa di sbagliato per due ragioni. La prima riguarda la natura stessa delle famiglie omogenitoriali ed evidenzia nelle stesse l’assenza di un genitore di sesso opposto. La seconda, più perniciosa, ritiene che il bambino subirebbe discriminazioni in una società che non è pronta ad accogliere gli omosessuali, figuriamoci i loro figli. Nessuna di queste obiezioni è convincente. La prima trascura ricerche condotte in campo psichiatrico che, nell’arco di vent’anni, hanno dimostrato che i bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali hanno esattamente le stesse capacità affettive e la medesima condizione psichica di quelli cresciuti in famiglie eterosessuali. La seconda è invece insostenibile in quanto puramente ideologica, e anziché rimuovere le discriminazioni, le legittima. Lo Stato così va contro la forma di genitorialità che protegge i bambini.

4.1.5. Biologica  
Eccoci dunque al modello di genitorialità tipico, la genitorialità biologica.
una coppia di persone che concepisce un figlio naturale. Esso riguarda la coppia fidanzata, sposata, convivente, separata o divorziata, con famiglia ricostituita o ricomposta o che ha concepito un figlio durante una relazione occasionale e al quale viene riconosciuta la paternità (anche tramite test del DNA) e quindi la patria potestà[1];


4.1.6. Genetica
La genitorialità genetica è di due tipi: 1. con fecondazione omologa e 2. confecondazione eterologa:
1.     la fecondazione omologa (detta anche genetica). E’ un tipo di fecondazione medicalmente assistita che si attua con il seme e l'ovulo di una coppia digenitori biologici del nascituro, il quale presenterà quindi un patrimonio genetico ereditato dai genitori naturali. Tale tipo di genitorialità, detta anche genitorialità genetica, a molti punti in comune con altri tipi di genitorialità presentati prima, ad es. la genitorialità in differita. Questa tecnica, finalizzata ad ottenere una gravidanza, comporta specifiche problematiche psicologiche in relazione alla peculiarità del trattamento, al tipo di procedure da utilizzare, ai tempi del trattamento e al coinvolgimento di terze persone, i medici, in una sfera tanto intima. Come è stato sottolineato da Link[2], l'infertilità va a toccare l'essenza della femminilità e della mascolinità e l'intrusività fisica e psicologica, che accompagna il trattamento, che può mettere in discussione l'immagine di sé e dar luogo a squilibri emozionali e psicosessuali, alle probabilità di successo, che a volte sono esigue e quindi alla prospettiva di un eventuale fallimento. Quindi questa tecnica poco conosciuta può produrre stress, ansia dell’attesa[3], paura dell’esito negativo e il timore dei pregiudizi sull’infertilità. Questo tipo di PMA però è tutelato sia dalla Legge che dalla Chiesa Cattolica, nella funzione genitoriale. Ovvero, i figli nati dalla fecondazione omologa sono considerati come i figli legittimi e naturali perché provenienti da una coppia di genitori biologici;
2.     la fecondazione eterologa (detta genitorialità genetica). Essa si verifica quando il seme oppure l'ovulo (ovodonazione) provengono da un soggetto esterno alla coppia. Ci troviamo di fronte ad un caso ampiamente discusso: perché una donna/uomo sceglie di avere “un figlio a tutti i costi?” E, soprattutto, l’assunzione di genitorialità come si profila da un punto di vista psicologico? Riuscirà un padre sociale ad essere un buon padre? Riuscirà una madre sola ad essere una buona madre? Queste domande saranno trattate nel paragrafo successivo, interamente dedicato alla fecondazione eterologa.  La medicina ha fatto passi da gigante ed ha permesso di realizzare il sogno naturale di tutti gli esseri umani, concepire un figlio, da soli o in coppia anche in tarda età e anche in casi di infertilità[4]. L’uomo è felice di lasciare qualcosa di sé pur disinteressandosi della paternità, può, quindi decidere di ricorrere alla crioconservazione[5]. Difatti, si recano alle varie banche del seme presenti in Europa per donare il proprio seme, il loro frutto biologico. La donna, invece, che tiene alla maternità ricorre alle suddette banche e sarà, quindi, futura madre biologica.
La costituzione di nuclei familiari (anche monogenitoriali) attraverso l’utilizzo di tecnologie riproduttive può porre dei quesiti in questo senso, nella misura in cui i rapporti tra fecondità e concepimento vengono ad assumere caratteristiche diverse rispetto a quelle naturali. Il ricorso alle tecnologie, infatti, prevede che altri e nuovi elementi entrino in gioco nel processo di procreazione e che questo evento non sia più un fatto di esclusiva “proprietà riservata”. La genitorialità rimanda ad una serie di temi complessi che vanno dalla rappresentazione di sé in relazione con le immagini interne di padre e di madre, alla costruzione della rappresentazione del proprio figlio e della relazione con lui. Essa può essere considerata come la realizzazione della propria identità di genere come l’opportunità per una sorta di rinascita indiretta attraverso il figlio, come una seconda chance nella vita, come occasione per capovolgere, sfidare, modificare ruoli sperimentati con i propri genitori.  La psicologia è d’accordo che: non è solo la madre biologica o il padre biologico a potersi prendere cura del bambino ma anche un genitore di qualunque sesso “acquisito o sociale”. Nella fecondazione eterologa, la donna è possibile che abbia già un compagno o è possibile che lo abbia in seguito. Viene a costituirsi, dunque, il padre sociale ovvero non biologico, tale padre deve fare i conti con i modi con cui il bambino è venuto al mondo e la provenienza (il padre biologico), con le questioni di etica morale, religiosa o politica, che potrebbero essere motivo di pregiudizio. Il più delle volte è il padre sociale che decide di adottare il bambino oppure fargli da padre senza alcun diritto; il gesto più nobile di un uomo che offre la sua “base sicura” in quanto gli viene naturale amare la propria donna e il figlio di questa, come se fosse suo.

[1] Nel diritto italiano il passaggio dalla patria potestà attribuita solo al padre alla potestà genitoriale è avvenuto con riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha equiparato in doveri e dignità le figure del padre e della madre e abolito lapotestà maritale.
La potestà genitoriale riguarda le responsabilità dei genitori nei confronti del minore, i suoi bisogni e le sue inclinazioni.
[2] D. BRAMANTI, La Famiglia tra le generazioni, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 179.
[3] J. GALLI, A. MORO, Miracoli, cicogne, provette. Riflessioni cliniche: dalla procreazione medicalmente assistita all’ adozione, Armando, Roma 2007, p. 62.
[4] V. Franco, Bioetica e procreazione assistita. Le politiche della vita tra libertà e responsabilità, Donzelli, Roma 2005, p. 56.
[5] L'ibernazione in azoto liquido (meglio detta crioconservazione) è utilizzata per la conservazione di spermatozoi ed embrioni umani. Gli embrioni umani, nelle fasi iniziali dello sviluppo umano, hanno cellule staminali e vengono utilizzate da ricercatori allo scopo di curare vari tipi di malattie, per esempio, il morbo di Parkinson e l'Alzheimer. In alcuni paesi è vietato, in altri, come la Gran Bretagna, si può utilizzare l’estrazione di cellule staminali da embrioni umani ai fini della ricerca fino a quattordici giorni dopo la fecondazione dell'ovulo. In questo momento, l'embrione è un insieme di cellule, grande più o meno come un quarto della testa di uno spillo (0,2 mm). Un secondo scopo dell’uso delle cellule staminali sta nella clonazione. Questa tecnica consiste nella creazione di un embrione umano contenente la composizione genetica completa di una persona in vita. Se fosse trapiantato nell'utero di una donna, l'embrione potrebbe tecnicamente trasformarsi in un clone (cioè una copia geneticamente uguale) di quella persona. Anche gli ovociti femminili possono essere congelati con il metodo della vitrificazione; alcuni Giapponesi hanno provato a non usare sostanza chimiche con il metodo cryotop.



4.1.6. Sociale
Abbiamo detto che la funzione genitoriale può esplicarla qualunque adulto. Il compagno della madre e/o la compagna del padre in una famiglia ricomposta o ricostituita dopo un divorzio è detto genitore sociale. Tali genitori sociali non sono tutelati dalla Legge Italiana mentre, la psicologia si chiede se il padre/madre sociale possono essere una risorsa per i figli della compagna.  Chantal Van Cutsem[1] dà uno schema esauriente sulle funzioni e il ruolo di genitorialità sociale, per lei si devono realizzare diverse condizioni affinchè egli possa assumere una “funzione paterna parziale”:
- la nuova figura maschile deve accettare di adempiere a questa funzione, con la consapevolezza che con essa introdurrà un insieme di regole, di leggi che necessiteranno della ristrutturazione dell’intera famiglia. Dovrà, quindi, anche lui essere disposto ad investire in una relazione duratura;
- la durata dell’investimento, in questa funzione quasi genitoriale, dipende anche dalla qualità della relazione tra i partner. Infatti, l’investimento nella coppia coniugale sarà tanto più solido quanto più la funzione genitoriale sarà assunta in maniera soddisfacente e, contemporaneamente, la madre che ha fiducia nella durata del legame coniugale, tenderà molto più facilmente a incoraggiare e a sostenere il partner nel compito di assolvere a questa carica genitoriale;
- il padre dei figli deve accettare di condividere la responsabilità paterna con un altro uomo, il quale, a sua volta, deve riconoscere che il primo mantiene nei confronti dei bambini un ruolo unico. Perché si realizzi questo riconoscimento reciproco c’è bisogno che i diversi sistemi familiari stabiliscano delle relazioni centrate sull’interesse dei figli, mettendo in secondo piano i conflitti e i rancori presenti tra i membri della prima coppia;
- i figli, inoltre, devono poter investire in una relazione, con il compagno della madre come con la compagna del padre, che non sia competitiva o soggetta a incessanti paragoni. Gli adulti sono chiamati a raggiungere almeno un accordo minimo, sufficiente a consentire la condivisione delle funzioni genitoriali;
- per ultimo, è necessario che anche le famiglie allargate, la rete sociale e le amicizie si adattino alla definizione che le nuove famiglie danno di sé.
Quindi si può dire che la condivisione della funzione paterna è un processo che non riguarda solo i singoli individui, ma richiede la collaborazione dell’insieme del sistema ricomposto. Il ruolo di madre sociale invece non è facile, anche se molte donne si trovano a doverlo assumere. Nelle famiglie ricomposte, spesso la madre sociale si troverà in competizione con quella biologica in quanto la ripartizione della funzione materna è molto difficile, soprattutto se i figli sono molto piccoli. Ripartirsi le responsabilità tra due donne che si occupano di un bambino è più difficile che suddividersi la funzione genitoriale tra due uomini. Un compito della partner del padre è quello di facilitare la relazione con i figli. E’ bene, dunque, che la coppia chiarisca in anticipo i ruoli e le incombenze che la “vicemadre” deve svolgere nei primi tempi, che sono i più delicati. Secondo Anna Oliverio Ferraris[2], varie possono essere le reazioni dei figli all’inserimento nel nucleo familiare della nuova partner del padre: alcuni si adattano facilmente senza mostrare grossi segni di disagio o sofferenza; altri, invece, vedono in essa un’intrusa che ha portato alla dissoluzione della propria famiglia, una rivale della mamma o una diretta antagonista in quanto concentra su di se tutte le attenzioni del padre. In quest’ultimo caso i figli, come risposta a questi sentimenti ostili, possono ignorare completamente la madre sociale facendola sentire superflua, o inesistente, o negandole qualsiasi tipo di autorità e di diritto.  In definitiva, se i quattro genitori riescono per il bene dei propri figli ad avere dei rapporti adulti e maturi, a non prevaricare l’altro/a, ad essere d’accordo e ad istaurare un buon rapporto di stima e rispetto reciproco, i figli cresceranno in armonia tra loro.


[1] C.Van Cutsem, Le famiglie ricomposte presa in carico e consulenza, Cortina Raffaello, Milano 1999, p. 187.
[2] A. Olliviero Ferraris, La ricerca dell’identità. Come nasce come cresce come cambia l’idea di sé, Giunti, Milano 2010, p. 104.

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