Il cognome comune delle persone unite civilmente



Premessa. La facoltà di eleggere un cognome comune

La nuova legge che disciplina l’unione civile e le convivenze di fatto prevede al comma 10 dell’art. 1 che “mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale di stato civile

La perdita del cognome comune a causa della cessazione dell’unione civile

Un punto di notevole interesse è rappresentato dalla previsione per la quale la scelta del cognome comune produce effetto fintanto che dura l’unione, cosicché in caso di morte o di scioglimento dell’unione la parte che abbia acquisito il cognome dell’altra o che l’abbia aggiunto al proprio, dovrà cessare di utilizzarlo.

Con riguardo al profilo della forma, ci si domanda se in caso di scioglimento dell’unione per morte la cessazione dell’uso del cognome comune da parte del vedovo o della vedova consegua ad una dichiarazione da compiersi innanzi all’ufficiale dell’anagrafe o se invece ciò avvenga automaticamente ad impulso d’ufficio come conseguenza della registrazione del decesso dell’altra parte nei registri dello stato civile.

Diversamente, per quanto riguarda l’ipotesi dello scioglimento dell’unione per le cause di cui all’art. 1, 23 e 24, tanto nel caso in cui l’unione civile si sciolga per volontà, anche unilaterale, delle parti (art. 1, comma 24) trascorsi tre mesi dalla dichiarazione resa innanzi all’ufficiale dello stato civile, quanto nel caso in cui lo scioglimento si fondi su uno dei presupposti previsti dall’art. 3, n. 1) e n. 2), lett. a), c), d) ed e) della L. 1° dicembre 1970, n. 898 (secondo il richiamo espresso fattone dal comma 24 della L. n. 76/2016), la parte perde il diritto all’uso del cognome comune a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento dell’unione, in applicazione del richiamato art. 5, comma 1, L. n. 898/1970[4].

artt. 143 rapporto di coniugio
Per cio che concerne il cognome la moglie
in caso di divorzio non lo mantiene con il divorzio ( scioglimento in matrimonio in caso di morte del coniuge) o la nullità di matrimonio come stabilito  dalla Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3869.
e di scioglimento dell' unione civile comma 24 della L. n. 76/2016
cessazione degli effetti civili del matrimonio, che per la legge italiana cessa, mentre dal lato religioso i due sono ancora marito e moglie, venendo meno gli effetti civili, non quelli stabiliti dal diritto canonico.

Volendo effettuare una comparazione tra le regole che disciplinano il cognome delle parti dell’unione civile, da un lato, e dei coniugi, dall’altro, è possibile anzitutto constatare come mentre a seguito dello scioglimento dell’unione si verifichi tout court la cessazione dell’utilizzo del cognome comune, riacquisendo ciascuna il proprio, la moglie può usare il cognome del marito - che ha aggiunto al proprio col matrimonio - durante lo stato vedovile, fino all’eventuale passaggio a nuove nozze, e lo perde invece in caso di divorzio salva espressa autorizzazione da parte del giudice ad utilizzarlo, “qualora sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela” (ai sensi dell’art. 5, L. n. 898/1970).

In relazione alla vedovanza, il confronto tra la condizione della donna coniugata e quella della parte dell’unione civile lascia ipotizzare, in prima battuta, un profilo di incostituzionalità dell’art. 1, comma 10, L. n. 76/2016 in riferimento all’art. 3 Cost., nel senso che non si ravvede quale possa essere l’elemento di differenziazione tra l’unione civile e il matrimonio, con riguardo all’aspetto in discorso, tale da giustificare una siffatta diversità di trattamento delle due fattispecie. Ed, anzi, la tutela della identità personale dell’unito civilmente vedovo, che intenda conservare anche solo per ragioni morali il cognome dell’altro eletto a cognome comune, pare assumere autonoma e non trascurabile rilevanza.

Altre considerazioni debbono invece essere compiute con riguardo alla disciplina dell’utilizzo del cognome comune a seguito dello scioglimento dell’unione ai sensi dei commi 23 e 24 art. 1, L. n. 76/2016. Occorre anzitutto rilevare come il legislatore, coerentemente con quanto previsto dall’art. 1, comma 10, L. n. 76/2016, abbia all’art. 25 escluso expressis verbis l’applicabilità dei commi da 2 a 4 dell’art. 5, L. n. 898/1970, ove è disciplinato l’uso del cognome dell’ex marito da parte della donna divorziata. A ben vedere, il coordinamento non è preciso, laddove non si esclude l’applicazione anche del successivo comma 5 dell’art. 5, L. n. 898/1970, che disciplina l’impugnazione della sentenza di modifica della pronuncia che abbia autorizzato la donna divorziata a usare il cognome dell’ex marito.

Se si ha riguardo alla disciplina dell’utilizzo del cognome della donna coniugata a seguito del divorzio può osservarsi come l’art. 5, comma 2, L. n. 898/1970 preveda due distinti presupposti a fondamento della richiesta da parte della donna divorziata di utilizzare il cognome dell’ex marito, id est la corrispondenza di tale utilizzo ad un interesse suo personale, specialmente legato al prolungato uso di tale cognome nella vita sociale e lavorativa[5], ovvero la corrispondenza di tale utilizzo all’interesse dei figli, in ragione, dunque, della comune identificazione del nucleo familiare agli occhi dei terzi.

Nell’ambito della disciplina del cognome comune da parte dell’unito civilmente tale ultimo presupposto risulta assai marginale, tenuto conto che le parti dell’unione non possono avere figli comuni; non è questa la sede per affrontare dettagliatamente l’argomento, ma può in sintesi osservarsi come, ancorché la cassazione[6] abbia da ultimo ammesso l’adozione ex art. 44 l. ad. del figlio del convivente anche per coppie dello stesso sesso, ai sensi dell’u.c. dell’art. 20, L. n. 76/2016, è invece da escludere che le persone unite civilmente possano adottare, anche ai sensi dell’art. 44 l. ad. Ne consegue che all’apparenza non possano ravvisarsi ragioni di pregiudizio per la perdita del cognome fondato sulla lesione dell’interesse dei figli e dunque l’art. 5 l. div. a ragione non è in parte qua richiamata per le persone unite civilmente. Non può tuttavia escludersi il caso in cui una donna unita civilmente, la quale si ipotizza abbia acquisito il cognome comune dell’altra parte, abbia un figlio - o da un rapporto occasionale o ricorrendo all’estero alle pratiche procreazione assistita eterologa - e proceda al riconoscimento; tale figlio acquista il di lei cognome, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 262 c.c., e dunque si desume il cognome che ella ha al momento del riconoscimento, id est quello dell’altra parte. Nell’ipotesi in cui successivamente l’unione civile si sciolga e la madre perda il cognome comune, può venire in considerazione la valutazione del suo interesse al mantenimento del cognome dell’altra parte proprio in quanto la accomuna al figlio.


Doppio Cognome Paterno e materno ai figli