pedagogista

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Pedagogista e Pedagogista Giuridico ( CTU e CTP)

venerdì 5 settembre 2014

capitolo 5 e conclusioni della mia tesi di laurea magistrale LM 85 in scienze pedagogiche


Capitolo 5. Gli strumenti del pedagogista nelle famiglie ricomposte
Ci sono molti strumenti che il pedagogista usa per aiutare le coppie che vogliono separarsi e le famiglie ricomposte. La mediazione familiare, che può avvenire in diverse sedi quali: consultori, tribunali, scuole, ecc., è uno dei metodi migliori per entrare in contatto con esse. Tra gli strumenti adottati dal mediatore i più importanti sono: il colloquio, l’intervista, il genogramma e il disegno familiare. Nel colloquio potrebbero rientrare altre tecniche come: i test relazionali, la fotografia, la simulazione, etc.

5.1.1. Il colloquio
Il colloquio pedagogico[1] non è psicoterapia, cioè la cura delle sofferenze e delle diverse patologie con origini lontane nel tempo, ma un aiuto a superare le divergenze che, nelle varie tipologie di famiglie, si creano in molti casi e per svariate ragioni. Nel caso delle famiglie ricomposte, che sono parte di una costellazione familiare, di almeno tre generazioni e di cui i figli delle prime unioni sono parte integrante, si creano miti e mandati familiari differenti che generano le suddette divergenze. Il passaggio dalla famiglia nucleare a quella ricomposta crea uno sfasamento nei ruoli, negli spazi da condividere e nei tempi di aggregazione con le famiglie d’origine. Difatti, non parliamo più di un'unica famiglia ma di due o più famiglie con un sistema di fratria e di responsabilità condivise da diversi genitori, nonché di nonni, biologici e sociali. In tale contesto il colloquio vuole essere uno strumento di aggregazione e di riordine tra i vari componenti della famiglia.
La prima fase del colloquio si concentra sul setting.
La prima domanda che si pone a ciascuno degli utenti è: “chi l’ha mandata?” E’ importante, dunque, capire se la scelta del singolo soggetto presente è stata spontanea o condizionata da qualcuno, anche membro della famiglia.
Inoltre, si chiede: “sapete chi è il pedagogista?  cosa vi aspettate?” Difatti, il paziente prima di iniziare un percorso pedagogico deve conoscere la figura del pedagogista e le sue funzioni.
Il Pedagogista è un professionista esperto dei processi educativi e formativi che studia il comportamento dell’uomo e le sue problematiche quotidiane. I suoi utenti sono persone di ogni età (bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani). Il pedagogista è dotato di una formazione multidisciplinare che solitamente comprende, oltre alla pedagogia, anche la psicologia, la filosofia, la sociologia e l'antropologia. Ciò consente al pedagogista di avere un quadro completo della persona.
La pedagogia si fa carico dell'analisi di ogni problematica presentata, progettandone una possibile soluzione:
• Contestualità: deve riferirsi ad un contesto specifico e concreto su cui agire;
• Multidimensionalità: devono comparire fattori interni (sociali, etici, relazionali ecc...) che interagiscono costituendo un quadro problematico a più livelli di indagine;
• Risolvibilità: una problematica per poter essere definita pedagogica deve contenere una cosiddetta "Domanda educativa”.
In questo caso mi occupo delle problematiche relative alle famiglie ricomposte, alle difficoltà della gestione di tempi, spazi e gestione di vita quotidiana. Il pedagogista compare in questi casi come figura di mediatore familiare[2].
Nella fase del setting, le famiglie vanno informate sulla protezione  dei loro dati e informazioni personali, come previsto dalla legge sulla privacy (196/03).
Dopo la prima fase (setting) ha inizio il colloquio. La durata dei vari incontri è di un’ora, circa.
Lo scopo primario del pedagogista è capire lo stile di vita coniugale e familiare, le divergenze e i conflitti, dei componenti della famiglia, che ne derivano. Il primo conflitto che si riscontra tra i soggetti che appartengono ad una famiglia ricomposta deriva dalla difficoltà che ciascun membro ha nel riconoscere il proprio ruolo e quello degli altri. Da ciò deriva una difficoltà nel condividere la quotidianità. Compito del mediatore è, quindi, di facilitare la convivenza e favorire l’unione familiare, facendo in modo che essi si riconoscano a vicenda.
Alcune domande aperte, ad esempio: “ognuno di voi mi racconti la propria storia, e vorrei che voi altri prestiate attenzione”, rientrano nel metodo di ascolto partecipativo. Tale metodo serve a mettere in moto dei processi affettivi tra i vari componenti della famiglia e a far scoprire similitudini tra essi, in modo che si crei un effetto empatico, soprattutto tra i figli.
Emanuela Cocever, docente dell’Università di Bologna, insegna il metodo autobiografico in laboratorio. Tale metodo si serve di semplici strumenti: fogli e penne che, nelle varie sedute, vengono consegnate ai pazienti.
Ad essi si chiede di scrivere, “secondo le proprie impressioni, i cambiamenti intergenerazionali, pensando a 3 o 4 generazioni…(considerando i giochi, gli stili di vita, le abitudini, etc.)”, di rispondere a domande, quali: “chi sono io per me stesso”, “chi sono io per gli altri“, “chi sono gli altri per me”.
Altre volte, suddividendo il foglio in due parti, si chiede di scrivere “ricordi belli e ricordi brutti”, oppure, di “anagrammare un nome dei membri scrivendo in corrispondenza di ciascuna lettera un aggettivo che identifica se stesso”. Ancora, rispondere a domande, tipo: “cosa ti piace e non ti piace fare durante la giornata”, “ricorda la volta in cui hai messo in dubbio qualcosa e quella in cui ne hai avuto la certezza”, “descrivi un atteggiamento che ti è rimasto particolarmente impresso di qualcuno dei tuoi familiari: sguardo, carezza, bacio, sorriso, pianto, altro….)”,”cosa accetti e cosa non accetti del tuo corpo”, “ricorda e scrivi quella volta che hai evitato un conflitto, hai dominato l’altro, hai trovato un compromesso, hai ceduto, hai collaborato, hai negato un conflitto” etc. Queste consegne, una volta scritte, vengono commentate dai vari componenti della famiglia, compresi genitori sociali e fratelli sociali.
Il mediatore deve fungere solo da facilitatore e deve osservare i vari comportamenti dei membri familiari, nel momento in cui questi si raccontano, e prendere appunti.
In questa fase del colloquio si analizza la storia coniugale, valutando le aspettative, le motivazioni e i bisogni sottostanti la scelta affettiva, le caratteristiche e il funzionamento del nuovo legame coniugale.
In questo modo si crea una conoscenza della famiglia e del vissuto dei membri che la compongono, che consente di istaurare rapporti affettivi e di fiducia tra loro.
In una fase successiva si cerca di capire se le persone possono giungere da un “io” ad un “noi”, tramite un test grafico (l’ecomappa di Hartmann 1986)[3]; in questo modo riusciamo a capire  la qualità delle relazioni genitoriali,  una certa flessibilità delle relazioni educativo affettive e la qualità dei legami nella fratria. Inoltre la quantità delle relazioni significative[4].
L’ecomappa rivela i mondi relazionali. Esistono vari modelli di ecomappa, quello più semplice è composto da tre cerchi concentrici (vedi figura n.1), il cui centro rappresenta l’intervistato. Egli, attraverso alcune domande poste dall’intervistatore, colloca i componenti della famiglia all’interno dei tre cerchi, distinguendo gli uomini (simboleggiati da una x) dalle donne (simboleggiate da una o).
Questo test evidenzia le distanze relazionali tra il soggetto intervistato e i componenti della sua famiglia; tali distanze rivelano il grado di intimità dei rapporti con l’intera costellazione ed evidenziano vicinanze/distanze dei rapporti intergenerazionali e intragenerazionali.

Figura n.1

Il test deve essere ripetuto quattro, cinque volte a distanza di 15 giorni l’uno dall’altro e confrontato con quelli precedenti.
Ovviamente possono venir fuori altre situazioni che richiedono altre tecniche[5], ad es. chiedere di fare delle fotografie ed inserirle nell’album di famiglia con l’intera fratria e con i genitori sociali e biologici. Ciascuno, dei presenti, deve esprimere le proprie sensazioni nel vedere le suddette foto. Un’altra tecnica utile è riattivare i cinque sensi ovvero riattivare uno escludendo gli altri con giochi esercizi, tipo: riconoscere la voce di un componente della famiglia oppure immaginare i comportamenti di uno di loro, toccare parti del corpo di uno dei membri della famiglia e riconoscere la persona, o rivivere, ricordando, esperienze sensoriali passate.
Tali esercizi attivano tra le persone una conoscenza più profonda e, al contempo, impediscono alle persone in conflitto di immaginare situazioni non corrette, ad es. alla madre biologica quando la madre sociale è con suo figlio o viceversa.
Un’altra tecnica è quella del “teatro immagine”, dove ci si inventa una situazione e ciascun membro familiare ne sceglie un’altro da plasmare a proprio piacimento, dando le proprie spiegazioni.
Un'altra, ancora, è il “role playing” (gioco di ruolo), dove ogniuno deve scambiare il ruolo con un altro in modo verbale, non verbale o paraverbale; oppure, il “teatro forum”, dove alcuni componenti della famiglia mettono in scena una parte di vita quotidiana, mentre, agli altri viene chiesto di indicare la scena ritenuta da ciascuno più importante e il perchè.
Al termine del ciclo dei colloqui, attraverso un confronto incrociato tra i 4 genitori, in presenza di tutta la costellazione familiare, si cerca di giungere a una fase negoziale dove si stabiliscono gli spazi, i tempi, la libertà dei principi da rispettare. A questo punto si stila il progetto educativo di condivisione di cogenitorialità.
Alla fine del percorso, il risultato consiste nell’aver collegato tutti i membri della costellazione familiare in un clima sereno di fiducia e di rispetto reciproco.

5.1.2. L’intervista
Un altro strumento di cui si serve il pedagogista è l’intervista. Tratterò dell’intervista come una situazione di interazione tra il pedagogista e uno o più individui. Al contrario del colloquio, l’intervista è un’esplicita richiesta di collaborazione al soggetto intervistato. Per Galimberti è uno strumento di ricerca che consente di trarre informazioni sulle attitudini, le conoscenze, le aspirazioni e i conflitti di un individuo o di un gruppo.
Fare un’intervista[6] non è semplice, si tratta di raccogliere con professionalità informazioni precise-pertinenti, affidabili e valide, su un solo argomento in merito alle variabili oggetto di ricerca.
In questa sede, l’obiettivo è quello di rilevare attraverso il racconto degli intervistati gli “eventi critici” e le fasi che hanno caratterizzato il percorso evolutivo della ricomposizione familiare. Questa prospettiva narrativa permette di avvicinare le famiglie ricomposte lungo una dimensione diacronica, ripercorrendo, attraverso la loro narrazione, le decisioni più importanti, i dubbi, gli eventi principali che hanno accompagnato le transizioni, le aspettative iniziali, le difficoltà e le risorse utilizzate per superarle.  Tale ricerca è di tipo qualitativo (intervista d’elitè) applicata ai tipi d’interviste non strutturate o semistrutturate, poiché raccoglie dati estensivi e approfonditi su un campione di soggetti abbastanza ridotto, l’individuo o la famiglia.
Vi sono tre tipi di intervista:
l’intervista non strutturata: serve all’intervistatore ad approfondire alcuni argomenti di interesse durante l’utilizzo di altri strumenti, come il questionario o il colloquio. Essa avviene in forma libera (verbale o scritta);
l’intervista semistrutturata: viene utilizzata una griglia di riferimento in cui vengono inseriti e messi in ordine alcuni contenuti. Il vantaggio è di unire le caratteristiche di strutturazione e flessibilità. Compito dell’intervistatore è di raggiungere il suo obiettivo, ossia di ricavare i dati secondo l’argomento che più gli interessa, lasciando libero l’intervistato di rispondere ad alcune domande, di rettificare le stesse e di rispondere secondo l’ordine prescelto;
l’intervista strutturata: più simile a un questionario. Le domande sono ben strutturate e il rapporto tra intervistatore e intervistato è ridotto al minimo. In questa tipologia d’intervista rientra quella normativa, con l’unica differenza che è orale. Esse sono di tipo quantitativo.
Quella maggiormente utilizzata[7], in una consulenza individuale o familiare, è l’intervista semistrutturata, che rispetto ad altri metodi presenta dei vantaggi:
  • la persona intervistata tende a sentirsi più implicata che dinanzi al questionario;
  • l’intervistatore può controllare meglio la situazione ed intervenire per chiarire meglio alcune domande;
  • l’intervistatore può arricchire la quantità di informazioni raccolte secondo il comportamento verbale, e non, dell’intervistato.

Gli svantaggi dell’intervista, invece, sono:
  • la registrazione che costituisce spesso un compito gravoso e complesso;
  • l’atteggiamento dell’intervistatore che può influire sulla validità delle risposte;
  • Alcuni aspetti ambientali possono influire sulle risposte (interruzioni frequenti, fretta, etc).

Nell’intervista face to face, bisogna disporre del materiale, apprendere la tecnica e gli atteggiamenti personali, non tralasciare nessun particolare. Essa deve durare, secondo i tempi dell’intervistato, da un minimo di 20 a un massimo di 40 minuti. Il rispetto dell’intervistato è il fattore più importante per la buona riuscita dell’intervista, l’intervistatore, quindi, deve ascoltare con attenzione, avere un atteggiamento aperto ed empatico, parafrasare: ripetere alcune frasi e scandirne il ritmo per verificare se ha compreso la risposta dell’intervistato e per dare ad esso un segno di attenzione nei suoi confronti.
Inoltre, un compito importante dell’intervistatore è di elaborare il protocollo dell’intervista; dovrà cioè:
- precisare le questioni generali e specifiche, e formulare domande aperte all’inizio e via via sempre più chiuse;
- organizzare una sequenza di domande simili per temi e coerenti;
- adattare il processo dell’intervista agli obiettivi formulati: il passaggio da un argomento all’altro non deve provocare rotture, ma avere una certa fluidità;
- preparare l’introduzione e le conclusioni[8]: fare in modo che all’inizio sia chiaro l’obiettivo e su quali argomenti verte l’intervista; le conclusioni devono assumere l’aspetto non di rottura, ma di naturale chiusura - dove viene tracciata una breve sintesi;
- informare che verranno comunicati i risultati e ringraziare con cordialità per il tempo e l’attenzione;
- preparare il sistema di annotazione delle risposte: ad esempio, preparare schede semistrutturate, registrare l’intervista attraverso audio o video;
- testare preventivamente la funzionalità del protocollo d’intervista elaborato con una prova. In tal modo si verificano i tempi, le problematiche, gli eventuali punti di rottura, etc.
Il tipo di interazione che l’intervistatore ha con l’intervistato determina la qualità dell’intervista.
Se nell’intervista semistrutturata si decide di indagare sulle fasi e sugli eventi critici che scandiscono il processo di ricomposizione familiare, e sulle modalità di affrontare i compiti di sviluppo, l’obiettivo è rilevare, attraverso i figli delle precedenti unioni che hanno preso parte alla ricomposizione familiare, se effettivamente queste fasi e questi eventi sono vissuti come critici e necessari di profondi adattamenti, tenendo sempre in considerazione gli eventi principali, gli ostacoli incontrati nel superarli, le risorse e il clima emotivo.
Si fissano prima gli argomenti, ad es. coalizione parentale e nuove nascite e, successivamente si formulano le domande.
Un esempio di intervista semistrutturata potrebbe essere la seguente:

COALIZIONE PARENTALE
1) E’ avvenuta la presentazione dei nuovi partner agli ex-coniugi?
- SI
- NO
2) Chi è stato presentato a chi?
a) Come?
- In modo graduale lasciando tutto al presentarsi dell’occasione
- In base ad una decisione precisa
- Altro
3) Secondo lei si è costruita una relazione collaborativa fra adulti rispetto alla gestione dei figli?
- SI
- NO
- Altro
Chi è coinvolto nella relazione collaborativa?
4) Ci sono state occasioni in cui ha sentito che sarebbe stata necessaria la presenza di tutti gli adulti significativi?
- SI. Quali?
- Compleanni
- Comunioni o cresime
- Eventi che riguardano i figli
- Festività
-Altro
- NO
5) Chi decide le regole da dare ai figli nella famiglia in cui lei convive con suo padre biologico?
- Vengono decise dai genitori biologici insieme, e comunicate solo dai genitori biologici
- Vengono decise dal padre biologico e madre sociale, e comunicate dal solo padre biologico;
- Vengono decise e comunicate dal padre biologico e madre sociale
- Vengono decise da tutti e quattro i genitori biologici e sociali al momento opportuno
- Altro
6) Chi decide le regole da dare ai figli nella famiglia in cui lei convive con sua madre biologica?
- Vengono decise dai soli genitori biologici, e comunicate solo dai genitori biologici;
- Vengono decise dalla madre biologica e padre sociale, e comunicate dalla sola madre biologica
- Vengono decise e comunicate dalla madre biologica e padre sociale
- Vengono decise da tutti e quattro i genitori biologici e sociali al momento opportuno
- Altro
7) Ha difficoltà nel condividerle e rispettarle?
- SI. Da chi? E Perché?
- NO. Perché?

NUOVE NASCITE
8)Le famiglie ricostituite, formate dai tuoi genitori, hanno avuto figli propri?
  Famiglia ricostituita della madre:               
- SI. Perché?
- NO. Perché?
  Famiglia ricostituita del padre:
- SI. Perché?
- NO. Perché?
9)E’ stato informato dell’arrivo del nuovo fratello/sorella…
  all’interno della famiglia ricostituita della madre?
-  SI. In che modo?
-  NO.
  all’interno della famiglia ricostituita del padre?
-  SI. In che modo?
-  NO.
10) Quale è stata la sua reazione all’evento?
- Positiva. In che senso?
-  Negativa. In che senso?
11)Come è stata gestita questa sua reazione dalla nuova coppia?





























5.1.3. Il disegno familiare
Il Test del Disegno Della Famiglia (DdF) è una tecnica proiettiva ideata, nel 1967, da Louis Cormanallo scopo di indagare il tipo di relazioni che i bambini o gli adolescenti instaurano con gli altri membri della famiglia e le problematiche che essi vivono nei confronti di essa in generale e/o di alcune persone in particolare[9]. Tale test può essere applicato a bambini e adolescenti tra i 6 e i 15 anni. Il disegno viene utilizzato in quanto mezzo di libera espressione, disegnare la famiglia permette al bambino di proiettare all’esterno le tendenze rimosse nell’inconscio, rivelando, così, i reali sentimenti che prova nei confronti dei suoi familiari. In realtà, tale consegna può essere fatta in diversi modi: 1) disegna la tua famiglia; 2) disegna una famiglia a piacere; 3) disegna la famiglia che vorresti. I diversi tipi di consegna danno adito a diversi livelli di messa in atto del compito proiettivo: la consegna “disegna la tua famiglia” è maggiormente legata al livello di realtà, mentre, “disegna la famiglia che vorresti” consente al soggetto di lasciarsi andare più liberamente alle sue fantasie, e quindi di poter meglio indagare questi aspetti della sua personalità. Al disegno viene, di solito, fatta seguire un'inchiesta in cui in primo luogo si chiede al soggetto “Parlami della famiglia che hai disegnato”. Di ciascun personaggio si chiede: Chi è? Che ruolo ha? Cosa fa? Dove si trova? Il sesso e l’età? Chi è il più/meno simpatico? Chi il più antipatico? Chi il più/meno felice? Perché? Chi vorresti essere? Perché? Chi non vorresti essere? Perché? Chi manca? È importante annotare le varie reazioni affettive e i mutamenti di umore nel corso della prova. Per l'interpretazione[10] si tiene conto, come per tutti gli altri test grafici, del livello grafico, formale e di contenuto. Per i primi due vale quanto già detto in precedenza. Per quel che riguarda il livello di contenuto, il referente teorico è la teoria psicoanalitica. Corman propone di procedere secondo 3 dimensioni:
  1. composizione della famiglia reale;
  2. posizione in cui si colloca il soggetto in relazione agli altri familiari;
  3. valorizzazione/svalorizzazione dei personaggi.
La Composizione della famiglia fornisce informazioni su come il soggetto vive i rapporti con i diversi membri.
Nella rappresentazione della famiglia reale, tutti i membri dovrebbero essere rappresentati. L'eliminazione di un familiare rappresenta un caso estremo di svalorizzazione. Se il soggetto non si rappresenta all'interno della famiglia, questo può essere indice del fatto che non si sente ben adattato all'interno di essa.Il posto in cui si colloca il soggetto in rapporto ai familiari esprime come il soggetto vive i propri legami affettivi con gli altri componenti della famiglia. La valorizzazione è indice di rapporti e investimenti affettivi particolarmente significativi del soggetto con la persona valorizzata. Il personaggio valorizzato viene spesso disegnato per primo. La valorizzazione può tuttavia anche essere rilevata dall'accuratezza con cui la figura è disegnata, dalla ricchezza di particolari e/o accessori della figura, dal fatto che tutti gli sguardi siano rivolti verso tale figura. Se il personaggio più valorizzato è il soggetto stesso, questo può essere indice di un'impossibilità d'investire le immagini parentali. La svalorizzazione viene, invece, attuata verso il personaggio cui si nutrono sentimenti più ostili. Il personaggio svalorizzato può essere disegnato più piccolo, messo per ultimo, situato in disparte, al di sotto degli altri, disegnato meno bene, con particolari importanti mancanti, con cancellature, come caso estremo eliminato.Possono essere rilevati i problemi che più preoccupano il soggetto. Il più tipico è la rivalità fraterna. La rivalità fraterna si manifesta: 1) come reazione aggressiva con svalorizzazione del rivale o eliminazione;
2) come reazione aggressiva dove il bambino manifesta la volontà di regredire al tempo in cui il rivale non era ancora nato (identificazione col lattante);
3) come reazione depressiva, in casi estremi, a causa dei sensi di colpa provenienti dal Super-Io che possono portare all'autoesclusione.

5.1.4. Il genogramma
Il genogramma è la rappresentazione grafica delle diverse generazioni che costituiscono una famiglia. Le sue origini sono lontane nel tempo, difatti, prima di utilizzare il genogramma, la psicoterapia si serviva di uno strumento simile: l’albero genealogico. Il genogramma si differenzia dall’albero genealogico soprattutto perché quest’ultimo si riferisce alla consanguineità con gli antenati e mette in evidenza una situazione modificabile soltanto da eventi anagrafici, quali: nascite, morti e matrimoni dei membri della famiglia d’origine; eventi che intaccano il criterio fondamentale dell’appartenenza. Il genogramma, invece, appare, molto più dettagliato, ricco di informazioni e generalmente limitato alle ultime tre generazioni. Esso, pur partendo sempre dalla enunciazione dei dati anagrafici, accoglie la struttura familiare quale appare dal genogramma che non rispecchia soltanto i ruoli istituzionali dei componenti della famiglia, ma, oltrepassando il concetto dell’appartenenza attraverso i vincoli di sangue, può includere i membri parafamiliari, ad es. genitori sociali, fratelli sociali e nonni sociali, come parte integrante del sistema, cioè quelle persone che hanno rivestito o rivestono, nel ciclo vitale della famiglia, un’importanza affettiva e funzionale che può corrispondere ad un ruolo istituzionale, come nel caso, per esempio, del nuovo compagno della madre. A tal proposito, secondo Ollié-Dressayre J. e Merigot D. nel 2000[11]: il genogramma elaborato dall’individuo sarebbe: “una rappresentazione attualizzata della propria famiglia di appartenenza così come è da questo attualmente vissuta, comprendente anche le persone dell’entourage, che siano vive o morte, che parenti sociali o di membri della propria famiglia di origine”.
Le origini del genogramma vengono fatte risalire a Murray Bowen nel 1979. Egli nella sua pratica clinica, si serve del genogramma per individuare le strutture triangolari presenti in una famiglia, il loro modo di evolversi o di ripresentarsi da una generazione all’altra. La possibilità di rilevare le alleanze o distanze relazionali gli permette di valutare il grado di “fusione emozionale” o di “disintegrazione” esistente tra i membri di una famiglia e di programmare un appropriato intervento terapeutico. Attraverso lo studio di alberi genealogici di diverse famiglie, risalenti a periodi dai cento ai trecento anni, egli ha individuato la trasmissione di caratteristiche familiari, da una generazione all’altra, che lo hanno portato a considerare la malattia psichica come il risultato di un processo plurigenerazionale che trova la sua origine in una scarsa o manchevole differenziazione del Sé nell’ambito familiare.
Al contrario, Ellen Wachtel nel 1982,  si serve del genogramma come uno strumento per fare emergere i sentimenti delle persone e la loro interpretazione soggettiva della realtà.
McGoldrick e Gerson, tra il 1985 e il 1999, invece, non si riferiscono al concetto di differenziazione del Sé, ma, nella loro analisi dei genogrammi, si preoccupano soprattutto di identificare le “ridondanze”, per evidenziare le modalità di risposta agli eventi vissuti da almeno tre generazioni. Essi, mediante l’utilizzo di un questionario molto preciso e dettagliato, si sono posti l’obiettivo di schematizzare il genogramma e di mettere in evidenza gli elementi passibili di quantificazione.
Silvana Montàgano nel 1989, definisce il genogramma come: “una forma di rappresentazione dell’albero genealogico che registra informazioni sui membri di una famiglia e sulle loro relazioni nel corso di almeno tre generazioni. Esso mette in evidenza graficamente le informazioni della famiglia, in modo da offrire una rapida visione di insieme dei complessi patterns familiari.”
Il genogramma, focalizzando[12] l’attenzione sulle relazioni e sulla funzionalità del sistema familiare ne presenta un’immagine che è allo stesso tempo attuale, storica ed evolutiva. L’attualità permette di guardare, secondo una prospettiva che fa riferimento al presente, al significato che possono avere nel “qui ed ora” le vicende che hanno riguardato più generazioni. La sua storicità, dal fatto che nel momento in cui la memoria diviene attuale, ci permette di individuare le linee portanti che hanno guidato i comportamenti di un singolo individuo e/o del suo sistema familiare. Mentre, l’aspetto evolutivo del genogramma consiste nel fatto che la rilettura della propria storia familiare, che questo strumento consente al soggetto, porta a una riappropriazione di elementi significativi e al recupero di una più attenta memoria storica, che può permettergli, una volta divenuto cosciente, di elaborare per sé, sulla base di tutti gli elementi acquisiti, un migliore progetto di vita.
Il genogramma è uno strumento che viene utilizzato principalmente dalle professioni d’aiuto. Questa tecnica tende a visualizzare le rappresentazioni interne che della famiglia hanno i singoli individui; inoltre, è usata come momento di chiarificazione delle tematiche relazionali e come mezzo per sbloccare la comunicazione all’interno del gruppo familiare.
Anche il tempo trova spazio all’interno del genogramma. Esso e presente sia sull’asse verticale, che potremmo definire l’asse del tempo familiare - che sintetizza il percorso evolutivo della famiglia,  l’alternarsi generazionale e la sequenzialità degli eventi critici, che hanno scandito la storia di una costellazione familiare -, sia sull’asse orizzontale, che potremmo definire  l’asse del tempo generazionale, dove vengono riportati i fatti e gli avvenimenti riguardanti i membri di una stessa generazione.
La costruzione del genogramma procede attraverso la raccolta di informazioni e la loro codificazione in uno schema grafico, che ci fornisce un rapido quadro d’insieme della struttura familiare. Tuttavia, oltre ad avere una funzione descrittiva, il genogramma consente al soggetto di prendere consapevolezza delle proprie origini e dei percorsi attraversati nell’arco della vita, suoi e della famiglia, e individuarne gli elementi di ciclicità.
Nella costruzione del genogramma, il professionista può avere un quadro chiaro della costellazione familiare della famiglia intervistata, prestando particolare attenzione nel rilevare informazioni circa gli eventi critici, le modalità di riorganizzazione, gli equilibri o i disequilibri creatisi in questa costellazione, a partire dalla separazione abitativa dei genitori. In particolare, si chiede agli intervistati: “di aiutarci a costruire una specie di albero genealogico in cui vengono inseriti tutti i membri della famiglia, considerando tutti coloro che hanno un certo legame familiare”. Si parte dalla famiglia d’origine, quindi dai genitori biologici, inserendo poi i fratelli germani, gli attuali partner dei genitori con gli eventuali fratelli consanguinei, uterini e sociali. Successivamente, si passa dalla linea orizzontale a quella verticale, generazionale, rappresentando le famiglie di origine dei genitori e, per quanto possibile, dei loro nuovi partner. Dopo aver delineato l’architettura complessiva dell’intera costellazione familiare, si chiede all’intervistato di identificare i singoli membri specificando per ognuno il nome, l’età, il genere e la professione. Successivamente, gli si chiede di indicare il tipo di relazione esistente tra i vari membri: filiazione, convivenza, matrimonio, separazione, divorzio. Vengono inserite anche le date dei matrimoni, delle separazioni, dei divorzi, delle nuove unioni, distinguendo l’inizio della relazione/convivenza dai successivi matrimoni, quelle degli eventuali decessi e di altri eventi ritenuti critici e significativi dall’intervistato.
Il genogramma risulta essere il punto di partenza per la costruzione della rappresentazione del ciclo vitale delle famiglie dei soggetti intervistati.
Un esempio di genogramma[13] è il ciclo vitale della famiglia ricomposta (vedi figura n. 2), dove è raffigurata la famiglia d’origine dell’intervistato con una linea continua, verticale e di colore rosso, posizionata al centro del foglio. Alla sua base riporto i nomi e la data del matrimonio dei genitori, poi procedendo verso l’alto, le date e la descrizione dei principali eventi (nascite dei figli, cambiamenti abitativi, lutti, ecc.) che hanno scandito la storia di questo nucleo fino al momento della separazione abitativa dei coniugi. A questo livello la linea rossa si dirama in due linee continue colorate che si protraggono lateralmente e in una rossa tratteggiata che continua verso l’alto. Su quest’ultima, che è la linea che rappresenta la continuità del ruolo genitoriale anche dopo la separazione e il divorzio, vengono riportati tutti gli eventi, affiancati dalle relative date, inerenti ai figli del nucleo che si è sciolto. Le due linee, quella celeste per il padre e quella rosa per la madre, che si spingono ai lati opposti di quella centrale, rappresentano il percorso realizzato dalle figure adulte durante il processo di ricomposizione nel loro arco di vita.



[1] M.R. MANCINELLI, Il colloquio in orientamento, Vita e Pensiero, Milano 2000, p. 18.

[2] La mediazione familiare è un intervento professionale rivolto alle coppie e famiglie ricomposte o ricostituite, con l’obiettivo di raggiungere la cogenitorialità (obigenitorialità), ovvero la salvaguardia della responsabilità genitoriale (genitori biologici e sociali) nei confronti dei figli, in special modo se minori. Il requisito essenziale è l’assenza di separazione o divorzio giudiziale. Essa utilizza tecniche specifiche quali: quelle di mediazione e di negoziazione del conflitto. La famiglia ricomposta è incoraggiata dal mediatore a riorganizzare lo stile di vita quotidiano e le responsabilità cogenitoriali. Il mediatore familiare è un esperto nella gestione dei conflitti, è imparziale e non dà giudizi. Egli aiuta la famiglia a riaprire i canali di comunicazione interrotti dal conflitto. Ponendosi in una posizione neutrale, non giudica l’adeguatezza delle proposte dei genitori e non fornisce la soluzione ai problemi, ma si limita a favorire forme di cooperazione, stimolando i genitori nell’esplorazione di soluzioni innovative e personalizzate. La mediazione familiare richiede solitamente la sola figura dei genitori ma non tutti concordano. Io credo che la presenza dei figli aiuti maggiormente la famiglia ad unirsi. La mediazione familiare può essere esercitata all'interno di istituzioni pubbliche e private e attraverso l'attività libero professionale.
[3] A. CAGNAZZO, La mediazione familiare, Utet Giuridica, Milano 2011, p. 625.
[4] Tale modello è stato sviluppato sul modello ecologico dello sviluppo di Broffenbrenner.
[5] M. CONTINI, Il gruppo educativo, luogo di scontri e apprendimenti, Carrocci, Roma 2000, cap. IV, A. Zanchettin (a cura di): Il teatro dell’oppresso, p. 135-181.
[6] R. Viganò, Pedagogia e sperimentazione. Metodi e strumenti per la ricerca educativa, Vita e Pensiero, Milano 1999, p. 229-238.
[7] F. EMILIANI, B. ZANI, Elementi di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna  1998, p. 351-357.
[8] Ibidem.

[9] R. RICCIO, La prevenzione in ambito educativo. Nuovi itinerari di formazione, Armando, Roma 2009, p. 111.

[10] Ibid.

[11] F. BRUNI, G. VINCI, M. L. VITTORI, Lo sguardo riflesso. Psicoterapia e formazione, Armando, Roma 2010, p. 183. 



[12] MAZZONI S., TAFA’ M., L’intersoggettività nella famiglia. Procedure multi metodo per l’osservazione e la valutazione delle relazioni familiari, Franco Angeli, Milano 2007, p. 123.

[13] R. GIOMMI, La mediazione nei conflitti familiari, Giunti, Firenze 2002, p. 127.

Conclusioni

In questa tesi di laurea è stata analizzata la genitorialità valutando un sistema integrato, privilegiando, però, la prospettiva sistemico-relazionale. Tale prospettiva mi ha permesso di mettere in
luce le problematiche che insorgono all’interno di essa nei momenti critici della formazione della coppia e dell’assunzione della genitorialità.
Per quanto riguarda la coppia è emerso come risulti difficile distaccarsi dalle famiglie d’origine e quanto esse influenzino i rapporti interpersonali, specificatamente la scelta del partner; e, inoltre, quanto risulti difficile per la coppia creare la propria individualità e preservare i propri spazi nonché assumere la genitorialità. In ultimo, i cambiamenti che quest’ultima produce all’interno delle famiglie d’origine.
I cambiamenti culturali avvenuti nel corso degli anni hanno portato ad una fragilità del legame coniugale che costringe sempre più persone a tornare single oppure monogenitore. 
Conseguenza di tale fragilità sono gli innumerevoli divorzi che si registrano quotidianamente e che sono alla base di un altro fenomeno, ormai largamente diffuso, che riguarda le famiglie ricomposte.
A seguito della nuova legge sull’affidamento condiviso, nei suddetti casi, un ruolo importante è occupato dai sistemi intrecciati di fratria e dei genitori sociali, nonché dei nuovi sistemi di convivenza e buoni rapporti tra “famiglie”, in realtà, rivali.
La genitorialità sociale può derivare anche dalla monogenitorialità biologica (genetica), come, ad esempio, nel caso di donne single che hanno scelto di diventare genitori attraverso la fecondazione eterologa e, successivamente, decidono di aggiungere a tale diade il genitore sociale, diventando una triade.
Molta attenzione, in questa tesi, è stata dedicata al delicato ruolo del genitore sociale che si trova a essere un genitore affettivo, ma non biologico, e senza un riconoscimento giuridico che ne tuteli le responsabilità, con tutte le complicazioni che ne derivano.
Inoltre, si è evidenziata l’importanza degli strumenti utilizzati in campo umanistico per comprendere le dinamiche delle diverse tipologie di famiglia.
Analizzando con particolare interesse il tema della genitorialità ho potuto costatare come l’evoluzione culturale e sociale nel tempo abbia fatto emergere l’esigenza di studiare la figura del genitore sociale, e le complicazioni che ne derivano, in quanto riguarda una tipologia di famiglia, ormai, molto diffusa ma, che in realtà, è sempre esistita.
Ritengo che molto si debba ancora fare sul piano giuridico affinchè vengano riconosciute e tutelate tutte le figure che, oggi, rientrano in questo delicatissimo tema; a partire dal monogenitore biologico a finire al genitore sociale. E’ pur vero che, per poter ammodernare il quadro normativo, occorrerebbe svincolarsi dai condizionamenti della Chiesa Cattolica.
Come altri Paesi, anche l’Italia, dovrebbe consentire a chiunque di scegliere liberamente la modalità e la tecnica da adottare per realizzare il desiderio di maternità o paternità, e riconoscere al genitore sociale l’autorità genitoriale sul figlio minore; e non solo, la semplice autorevolezza che, oggi, in alcuni casi, gli viene riconosciuta dal figlio o dall’intera famiglia.
Nel campo della psicologia esistono vari approcci per studiare le relazioni familiari; la prospettiva, a mio avviso, migliore è quella sistemico-relazionale. Ritengo che questa prospettiva, più di ogni altra, permetta di cogliere la famiglia nella sua complessità, al di là di ogni semplificazione, sia come sistema relazionale in continuo interscambio con l’ambiente esterno, sia come spazio primario nel quale l’individuo, in modo attivo, costruisce la propria identità, cresce e cambia. Particolare rilevanza viene data al ciclo vitale della famiglia e agli eventi critici, che permettono di inquadrare lo sviluppo spazio-temporale della famiglia stessa attraverso l’individuazione di determinate fasi evolutive. Gli eventi critici rivestono una grande importanza in quanto modificano la struttura familiare e hanno effetti a livello delle relazioni; ad essi sono collegati il processo di costituzione del legame e la sua evoluzione nel tempo.
Anche il concetto di trigenerazionalità è di fondamentale importanza nell’approccio sistemico: l’asse verticale della vita di una famiglia assume pari importanza di quello orizzontale. Se è vero che ogni individuo è padrone della propria storia, è anche vero che esso, inevitabilmente, si trova sottoposto all’influenza della storia intergenerazionale, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Ovviamente queste considerazioni non vogliono essere esaustive, ma vogliono essere un punto di partenza per riflettere su come migliorare i nuovi sistemi familiari da un punto di vista psicologico, pedagogico, sociale e giuridico.
                                                                       Firma
                                    Pedagogista Dott.ssa Mag.le Vittoria Salice

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