ST UNIVERSITA’
DEGLI STUDI DI FOGGIA
FACOLTA DI SCIENZE
DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA
MAGISTRALE IN SCIENZE PEDAGOGICHE LM 85
Tesina di Tirocinio
di:
Salice Vittoria
Matricola n. 519322
150 ore dal 01/02/’10
al 15/03/’10
OO.RR. OSPEDALI
RIUNITI DI FOGGIA
AZIENDA AUSL FG/3
Via Luigi Pinto, 1
.DIPARTIMENTO
MATERNITA
1ª U.O. Ginecologia
ed Ostetricia Universitaria
Direttore: Prof.
Pantaleo Greco
Tutor Università
Prof. Giuseppe D’Anna
(Teoria e Storia della conoscenza)
Tirocinante
specializzanda
Dott.ssa Vittoria
Salice
Tutor Aziendale
Prof. Pantaleo Greco
(Ginecologo)
AMBIENTE FISICO IN GENERALE
La sede principale del servizio, gli
Ospedali Riuniti di Foggia A.U.S.L. Fg/3,
si trova in una zona centrale della città, precisamente in via Luigi Pinto n° 1;
mentre, altre sedi secondarie sono decentrate nelle zone periferiche e nella
provincia di Foggia.
Gli OO.RR. Ospedali Riuniti di
Foggia sono formati da diversi plessi dislocati su una vasta area che si
estende a destra di via Luigi Pinto, dove troviamo il P.S. (Pronto Soccorso o
118) e altri reparti, mentre, a sinistra sono ubicati due plessi adibiti a vari
reparti, di cui uno interamente dedicato al Dipartimento Maternità.
Questi due plessi sono circondati
da una vasta area di parcheggio con varie entrate riservate al personale.
Al plesso Maternità si accede
attraverso due entrate/uscite e un corridoio che lo collega al plesso
adiacente. Al centro del suddetto corridoio troviamo il bar, luogo di incontro tra
i vari professionisti dei reparti, degenti e famiglie dei degenti.
Il piano interrato, che congiunge tutti i plessi degli OO.RR.
Ospedali Riuniti, è adibito alla mensa, alla lavanderia e a vari laboratori.
Il Plesso presso il quale ho
svolto il mio tirocinio, ospita la
Maternità, o Dipartimento Materno infantile.
Il plesso Maternità si compone di 4 piani:
Piano terra
Al piano terra troviamo l’entrata
principale, l’accettazione e, sulla destra, un corridoio lungo il quale
troviamo: a sinistra i locali adibiti al parrucchiere per donna, gli ascensori
e le scale ai piani, il reparto di rianimazione, l’accesso al corridoio che
collega i due plessi adiacenti e il reparto di radiologia II ospedaliera;
mentre, sulla destra troviamo i laboratori di diagnosi prenatale, la chiesetta,
l’accesso alle scale per andare alla mensa. Al termine del corridoio si trova
l’entrata/uscita secondaria del plesso che accede al parcheggio posteriore.
I laboratori di diagnosi prenatale sono:
neonatologia neonatale,
psicologia infantile (dott. De Leonardis), neuropsichiatria infantile,
laboratorio analisi, chirurgia
pediatrica, ginecologia/ostetricia universitaria e ospedaliera, precisamente:
ginecologia 1 universitaria:
centro menopausa; diagnosi
prenatale centro fecondazione assistita, accettazione, sterilità di coppia;
ginecologia 2 ospedaliera:
accettazione, ambulatorio
fisiopatologia della riproduzione, tri-test e amniocentesi, ambulatorio
fisiopatologia della riproduzione.
1° piano
Al primo piano, sulla destra, si
trova il reparto di chirurgia toracica; sulla sinistra, invece, troviamo il reparto
di Ginecologia, suddiviso in: Ginecologia 1 universitaria del Primario
Prof. Greco e Ginecologia 2 ospedaliera del Dott. Salvatore Russo, e la sala
operatoria del day-surgery.
2° piano
Il secondo piano raccoglie vari
servizi, quali: Follow–up neonatale, Ecografia neonatale, Sala operatoria di
otorinolaringoiatria, Chirurgia pediatrica, Psicologia dell’età evolutiva, Struttura
complessa di neonatologia e terapia intensiva.
3° piano
Al terzo piano troviamo: a
destra, il reparto di Ostetricia 1 universitaria del prof. Pantaleo Greco; al
centro, l’area nido, struttura complessa di neonatologia e terapia intensiva; a
sinistra, una sala parto ove si eseguono parti naturali e due sale operatorie,
dove si eseguono isterectomie, miomi e parti cesarei.
A destra della sala operatoria si
trova l’Ostetricia 2 Ospedaliera del dott. Salvatore Russo.
4° piano
L’ultimo piano è adibito al
reparto di neuropsichiatria infantile.
AMBIENTE FISICO IN PARTICOLARE
I reparti, presso i quali ho svolto
il tirocinio, sono organizzati nel modo seguente:
- al piano terra, i laboratori di
diagnosi prenatale precisamente i laboratori di ginecologia 1 Universitaria,
dove si effettuano visite ginecologiche e consulenze;
- al 1° piano, il reparto di
ginecologia 1 e 2 ma, solo le camere afferenti alla ginecologia 1 Universitaria,
dove sono ricoverate pazienti con problematiche, come l’IVG e i tumori;
- al 3° piano, il reparto di
ostetricia 1 Universitaria, dove sono ricoverate le partorienti e le puerpere.
Differenza tra ginecologia e ostetricia
La ginecologia è una
branca della medicina
che si occupa della fisiologia e della patologie inerenti l'apparato genitale femminile. Essa si avvale
del medico
specializzato in ginecologia, il ginecologo, che si occupa della donna in
tutte le fasce d'età: la pubertà, il periodo fertile,
la menopausa
e la postmenopausa.
La ginecologia si occupa, anche,
delle problematiche legate alla sfera riproduttiva
e delle tecniche di fecondazione assistita.
L’ostetricia è una specializzazione in campo medico. L' ostetrica è
specializzata nell'assistenza alla donna durante la gravidanza, il parto ed il puerperio.
PERSONALE
Il personale dei reparti di
ginecologia e ostetricia è formato da:
- Direttori dei reparti: Prof. Pantaleo Greco per la Ginecologia 1 Universitaria
e
Dott. Salvatore Russo per la
Ginecologia 2 Ospedaliera;
- Dott. Strutturati di ruolo interni o Dirigenti medici:
Dott. Antelmi,
Dott. Arciuolo, Dott.ssa Basta, Dott. Capobianco, Dott. Ciccone (Universitaria),
Dott. Cocciardi, Dott. Conte (Universitaria), Dott. D’Aloia (Universitaria), Dott. D’Ambrosio, Dott. Del Bianco, Dott. Di Gioia (Universitaria), Dott.
De Mattheis, Dott. Giangrassi (Universitaria),
Dott. Giardina (Universitaria), Dott.
Lacerenza, Dott. Lo Muzio, Dott. Lops, Dott.
Maruotti (Universitaria), Dott.ssa
Matteo (Universitaria), Dott. ssa
Murino (Universitaria), Dott. Nappi
(Universitaria), Dott. Perna, Dott.
Petruccelli (Universitaria), Dott.
Scopelliti, Dott. Talia, Dott. Zingariello;
- Specializzandi ginecologi firmatari:
Barone
Giovanni, Barone Ida (Universitaria),
Cicerone Maria Gabriella (Universitaria),
Marochella Sonia, Noviello Alessandra (Universitaria),
Palumbo Donatella, Piro Virgilio, Santopietro
Xenia (Universitaria), Scutiero
Gennaro (Universitaria), Spada Alessandra (Universitaria).
In entrambi i reparti vi sono
altri specializzandi, alcuni in medicina, altri in ginecologia e, di questi
ultimi, solo quelli all’ultimo anno della specializzazione sono firmatari, stipendiati
dall’Università e fanno, anche, il turno di notte.
L’intera struttura è aperta 24
ore su 24 con cambi di turno tra specializzandi ginecologi e dirigenti medici.
Legenda:
G= guardia di sala parto 8-20
R= guardia di reparto 8-20
M= attività di reparto 8-18 (Lu,
Mart, Giov)
8-14 ( Merc, Ve)
D= Day Surgery
H= Ambulatorio Isteroscopia
Σ= Ecografia
OS= ambulatorio gravidanza a
rischio
S= Ambulatorio
Sterilità/ginecologia endocrinologia
Altre figure professionali
presenti nel reparto sono: le caposale, le ostetriche, le infermiere
professionali, gli strumentisti e gli anestesisti delle sale parto e
operatorie.
Compiti, funzioni e divisa
I primari si occupano dei pazienti, fanno il giro visite ed
eseguono gli interventi, fissano riunioni, danno le direttive, esaminano gli
specializzandi ginecologi e le laureande ostetriche. Essi indossano il camice
bianco e la tuta verde in sala operatoria.
I ginecologi e specializzandi ginecologi: diagnosticano le
patologie, compilano le cartelle ginecologiche, chiedono la firma per i diritti sulla privacy (Dlgs196/03) e la legge sulla trasparenza (Dlgs150/09),
prescrivono farmaci etc. Essi indossano camice bianco e tuta verde in sala
operatoria e sala parto.
Gli anestesisti eseguono anestesie di vario genere: anestesia
locale, loco-regionale, generale
e epidurale, l’anestesia indicata
per i parti cesarei; inoltre, effettuano l’esame che rileva eventuali
malformazioni del feto, l’amniocentesi. Essi indossano la tuta verde e la
cuffia di stoffa di vari colori. Gli anestesisti non non appartengono
all’organico di un unico reparto, essi intervengono nelle sale operatorie dei
reparti più disparati.
L’andrologo è lo specialista che si occupa della fisiologia e delle
disfunzioni dell'apparato riproduttore e urogenitale maschile. Egli afferisce al reparto di andrologia e viene
chiamato solo per le diagnosi nei laboratori prenatali e consulenze.
L’endocrinologo, lo specialista
che tratta pazienti affetti da malattie delle ghiandole endocrine, riconosce i
disordini ormonali e ripristina il loro normale bilancio. Egli provvede, anche,
allo studio e al trattamento della menopausa, dell'infertilità, del controllo
delle nascite, dello sviluppo dei tumori e sviluppa nuovi farmaci.
L’endocrinologo è chiamato solo in caso di necessità ed afferisce al reparto di
endocrinologia.
Il pediatra è lo specialista che si occupa dei bambini da zero a 14
anni ed afferisce al reparto di pediatria e neonatologia-area nido. Egli
indossa il camice bianco.
La psicologa studia il comportamento umano e i processi mentali dei
pazienti e viene chiamata solo in casi particolari o su richiesta degli stessi.
La psicologa indossa il camice bianco.
Le caposale accompagnano
i medici durante il giro visite, si occupano delle cartelle cliniche e di
sistemare le pz nelle stanze. Esse indossano il camice bianco con il bordino
rosso.
Le ostetriche e laureande ostetriche assistono i parti naturali,
diagnosticano tutto ciò che riguarda le gravidanze, eseguono piccole anestesie
loco-regionali, si occupano di compilare le cartelle ostetriche etc. Esse
indossano la tuta azzurra, bianca a strisce gialle nel caso delle laureande.
Le infermiere professionali
si occupano dei pre-ricoveri ed esami ematochimici, delle cartelle
infermieristiche, eseguono flebo e punture di vario genere. Esse indossano la
tuta bianca a fasce azzurre.
Gli strumentisti sono
addetti agli strumenti delle sale operatorie ed assistono ginecologi e
ostetriche durante gli interventi. Essi indossano la tuta verde.
Il tirocinio che ho svolto nei reparti di ginecologia e
ostetricia, come specializzanda
pedagogista, ha avuto una durata complessiva di 150 ore a partire dal 1
febbraio 2010 al 15 marzo 2010.
L’orario potevo gestirlo a mia
discrezione rispettando il limite massimo delle sette ore giornaliere, tra le
ore 08 am e le ore 20 pm.
Indossavo il camice bianco e la
tuta verde in sala operatoria o sala parto.
Alla domanda che tutte le degenti
e il personale mi ponevano, non essendo abituati ad avere questa figura
professionale all’interno dell’equipe, “chi
è il pedagogista?”, rispondevo: “il pedagogista
è un laureato in Scienze dell’Educazione
specializzato in Pedagogia. Egli studia e riflette sull’educazione e sui processi educativi (ricerca e
applicazione), è dotato di una
formazione multidisciplinare che comprende: la pedagogia, la psicologia,
l'antropologia,
la sociologia,
la filosofia
e le scienze dell’educazione”.
Altre domande che mi ponevano erano:
“Con che strumenti e in quali settori
opera?”
Il pedagogista, come libero professionista, opera grazie
agli strumenti propri della
pedagogia: pedagogia sperimentale, osservazione sistemica, colloqui, consulenza,
questionari, indagine statistica e analisi critica della letteratura
pedagogica.
Egli opera nel settore sanitario e nell’ambito del sociale, si
occupa dell'educazione sia dei minori sia degli adulti, della formazione
aziendale, della prevenzione, della ricerca e lavora come docente nelle scuole.
“Cosa ci fa una
pedagogista in ginecologia e ostetricia?”
“Mi occupo di pazienti con problematiche legate
all’educazione dei piccoli e ai rapporti tra bambini appena nati e i loro fratellini,
dando suggerimenti alle neo-mamme e alle loro famiglie; mi occupo delle donne
con traumi pre e post partum, aiuto le donne a superare i traumi derivanti
dalla scoperta di un tumore all’utero e a superare le implicazioni
psico-emotive delle degenti soggette all’IVG; inoltre, presto consulenza in
tema di sessualità agli adolescenti che ne fanno richiesta a seguito di una
visita nel reparto di ginecologia. La pedagogia si fa carico dell'analisi di ogni problematica presentata in tali
ambiti progettandone una possibile soluzione,
che deve essere:
- Contestuale: deve riferirsi ad un contesto specifico e concreto su cui agire;
- Multidimensionale: devono comparire fattori interni (psicologici, sociali, etici, relazionali ecc...) che interagiscono costituendo un quadro problematico a più livelli di indagine;
- Risolvibile: una problematica per poter essere definita pedagogica deve contenere una cosiddetta "Domanda educativa".
CENNI DI ANATOMIA
Il cervello
umano o encefalo e il suo funzionamento
Secondo Maclean[1] il cervello dell’uomo/donna (l’encefalo) è
costituito da tre cervelli che
comunicano tra loro. Questa distinzione è
funzionale e non anatomica:
·
il paleoencefalo o cervello rettiliano
presiede forme ripetitive di comportamento;
·
il cervello paleomammifero o sistema limbico,
ove si elaborano le emozioni
in particolare quelle che presiedono all’autoconservazione
e alla conservazione della specie. Esso funziona come selettore di valori e regola la nostra identità personale. Qui è situata, secondo Laborit[2],
sia la memoria remota sia quell’affettiva.
La prima è strettamente legata all’ambito esperenziale
secondo meccanismi che implicano contatti fra i neuroni (le sinapsi). L’esperienza
di una situazione positiva o negativa suscita in un soggetto un vissuto di piacevolezza o di dispiacere che si
ripresenterà in seguito, ogni volta che verrà riconosciuto lo stesso tipo di
situazione, una sorta di “coazione a
ripetere”. La memoria affettiva,
invece, permette all’individuo di provare emozioni dai quali scaturiscono
bisogni acquisiti, e non istintivi. Tali bisogni sono radicati nella storia personale di ciascun individuo
e possono entrare in collisione con
quelli degli altri (norme sociali o contesto in cui si vive). Questo
provoca conflittualità, spesso
inconscia, che Laborit definisce: patologia dell’inibizione
comportamentale;
·
Il cervello neomammifero o neocorteccia,
dove hanno sede le funzioni dell’intelligenza e del linguaggio.
Nel
sistema limbico si trovano, secondo Morin[3], i due emisferi del cervello, messi in comunicazione dal corpo calloso,
che svolgono dei compiti unici. Il loro
funzionamento è incrociato: l’emisfero
sinistro a controllare la parte destra del corpo e viceversa.
L'emisfero sinistro, essendo
quello razionale, è sede del conscio
ed elabora quindi le informazioni vitali a breve termine. Esso presiede a specifiche
attività, quali: pensiero analitico,
astratto, spiegazione, focalizzazione su oggetti, linearità, sequenzialità,
serialità, razionalità/calcolo, controllo/dominanza sociale, maschile, tecnico,
cultura/educazione occidentale.
L'emisfero destro, invece, è
quello irrazionale-emotivo ed è sede
dell'inconscio (come afferma Freud, “è quella parte di cervello che fa
cose di cui non mi accorgo”). Esso elabora informazioni a medio e lungo
termine e presiede alle attività di:
pensiero intuitivo, concreto, comprensione, focalizzazione su persone,
simultaneità, sintesi, globalità, estetica/arte, comunicazione psicoaffettiva,
femminile, artista, cultura/educazione orientale.
Tutti noi, usiamo entrambi gli emisferi, ma alcuni di noi sono razionali e altri più emotivi.
Il
secondo cervello l’intestino
I due cervelli, il cranico e l'enterico, sono connessi dal
nervo vago. Oltre al cervello cranico, anche l'intestino si emoziona, soffre,
gioisce. E' la scoperta di Mintsai Liu e Michael
Gershon della Columbia University di New York.Ciò che la scienza ha
battezzato come «secondo cervello» vive sì nel ventre di ciascuno di noi, ma è
una sorta di chiave che regola stress, ansia e tensione. La natura ha previsto
di investirlo di proprietà legate alle funzioni derivanti dalle emozioni, dai
sentimenti ed all'inconscio del soggetto. Il cervello enterico, dunque, può pensare,
prendere decisioni e provare sensazioni autonomamente da quello cranico, come
insegna la neurogastroenterologia. La colite, l'ulcera, i bruciori di stomaco
ecc. sono tutte malattie causate principalmente dallo stress.
Ormoni neurotrasmettitori e sostanze
chimiche proprie dell’innamoramento
Tutte le volte che
ci s’innamora si attiva un’autentica tempesta d’ormoni, neurotrasmettitori e
sostanze chimiche che ci permettono di percepire intense sensazioni fisiche:
i ferormoni scatenano l'attrazione fisica;
la feniletilamina è la vera responsabile dello stato euforico e stimola la
libido;
la dopamina, responsabile dello stato di
benessere;
il testosterone, l'ormone del desiderio sessuale;
la noradrenalina provoca eccitazione, euforia
ed entusiasmo;
l’adrenalina provoca un aumento del
battito cardiaco, della respirazione e della pressione sanguigna, da cui ha
origine il rossore del volto;
l’ossitocina è prodotta durante l'orgasmo, la stimolazione dei genitali e, durante l'allattamento, per la stimolazione dei capezzoli. E’ chiamato ormone dell'amore perché si ritiene che
generi sensazioni affettive, protettive e di benessere. Nell'uomo è anche
responsabile del periodo refrattario che segue l'eiaculazione;
l’endorfina ha un'azione rilassante,
calmante, analgesica ed entra in gioco quando una relazione diventa meno passionale
e più affettiva.
Secondo
la teoria dell'apprendimento, l'esperienza positiva vissuta s’imprime
nel sistema nervoso come un ricordo piacevole da riprovare. Nel caso degli
innamorati, è proprio l'associazione tra “incontro” e “piacere” che spinge i
due interessati a ripetere l'esperienza.
Per C.G. Jung “L’incontro fra due
personalità è come il contatto fra due sostanze chimiche, se si verifica una
reazione, entrambe si trasformano”.
L’AFFETTIVITA’ E I BISOGNI DI
UN INDIVIDUO
L’affettività riguarda la sfera dei sentimenti e delle emozioni ed è
strettamente legata con il corpo e con la mente.
L’emozione sorge improvvisamente come reazione a stimoli diversi, ha
breve durata ed è più visibile dall’esterno (piacere, riso, eccitazione, gioia,
ira, paura, rammarico, pianto, sdegno, dolore, vergogna, turbamento).
I sentimenti, invece, riguardano l’interiorità della persona, essendo
legati a credenze e valori sono più duraturi e meno visibili dall’esterno (amore,
amicizia, tenerezza, fraternità, solidarietà, odio, gelosia, pudore, invidia,
orgoglio, avversione, indifferenza).
La piramide dei bisogni di
Maslow
L’uomo
ha sette tipologie di bisogni che
Maslow rappresenta con una piramide:
1) fisiologici; 2) salute e sicurezza; 3) emozioni, affetti, intimità e
creatività; 4) amicizia, famiglia, vacanze, arte, natura; 5) progettualità; 6) autorealizzazione,
ricerca; 7) spiritualità.
Secondo
Maslow, un individuo si sentirà appagato solo se riuscirà a soddisfare i
bisogni seguendo l’ordine della piramide, partendo dal basso verso l’alto.
METODI,
TECNICHE E STRUMENTI PER UNA CONSULENZA PEDAGOGICA
Ai fini dell’attività di consulenza, bisogna tenere ben
presente gli assiomi della comunicazione[4], precisamente:
1. “non
si può non comunicare”;
2. “gli
esseri umani comunicano sia in modo digitale sia in modo analogico”;
3.
“ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione…”;
4. “la
natura di una relazione dipende dalla punteggiatura
delle sequenze di comunicazione fra i partecipanti”;
5. “tutti
gli scambi di comunicazione sono simmetrici
o complementari”.
Modalità
comunicative
La comunicazione è circolare
e può essere[5]:
1.
verbale: utilizza le parole;
2.
paraverbale: gestione della voce, suono,
tono, pause dialogiche, spinte ed accelerazioni, velocità, timbro, volume,
inflessioni dialettali;
3.
non verbale: espressione del volto,
gesti, tono della voce, etc.
Per ciò che concerne la comunicazione verbale e paraverbale occorre fare molta attenzione in
quanto non tutto quello che viene comunicato arriva al ricevente. Anzi, di
solito:
il soggetto vuole dire 100
in realtà dice 80
il ricevente sente 50 (a causa dei
disturbi dell'ambiente)
capisce 30
ricorda 20
All’interno della comunicazione qualsiasi disturbo, sia di tipo fisico sia di
tipo psicologico, causa una distorsione del messaggio e gli impedisce di
arrivare al destinatario in modo corretto e completo.
Il processo comunicativo
non verbale a sua volta si divide in:
·
simbolico
visivo (visiva): abbigliamento, pettinatura, status symbol, ecc.;
·
visiva: gestione
dello sguardo;
·
paralinguistica
(auditiva): suono, tono, pause dialogiche, spinte ed accelerazioni,
velocità, timbro, volume, inflessioni dialettali;
·
analogica:
disegni, immagini;
·
cinesica:
gestione dei movimenti, (del corpo, delle mani, espressioni del viso);
·
digitale:
gestione del toccamento, fastidio/piacere proporzionale alla vicinanza del
centro del corpo a seconda del tipo di rapport;
·
prossemica,
gestione degli spazi:
1.
area pubblica:
oltre 10 m
dal soggetto, l’inconscio non ha nessuna reazione;
2.
sociale: da 3 a 0 mt l’inconscio in
pre-allarme;
3.
personale:
da 0,5 mt a 3 mt inconscio in allarme se non c’è rapport;
4.
intima: sotto
i 0,5 mt inconscio in panico se non c’è rapport.
Nel processo comunicativo, il setting è il luogo dove avviene
la consulenza, esso ha variabili esterne
ed interne:
·
la
variabile esterna è costituita dall’ambiente (sia nell’accezione di
contesto culturale, sociale, politico sia nell’accezione di contesto fisico);
·
le
variabili interne sono: l’interpretazione, la cultura, lo stato d’animo, la
capacità di trasmettere e di percepire.
Strumenti
di comunicazione
I principali strumenti di comunicazione sono:
·
la
ridondanza è utilizzata per facilitare la comunicazione e ridurre il
rischio che il destinatario decodifichi in maniera sbagliata il messaggio che
ha ricevuto. L’atto di comunicazione per essere tale deve concludersi con la
ricezione del messaggio da parte del destinatario, pena la nullità dello
stesso;
·
la
resilienza, è il processo di riadattamento di fronte ad avversità, traumi,
tragedie, minacce, o anche significative fonti di stress come problemi
familiari e relazionali, Resilienza significa "riprendersi" dalle esperienze
difficili. Questa è una caratteristica che le persone hanno oppure no. Riguarda
comportamenti pensieri e azioni.
·
l’insight
è “vedere dentro” un individuo e scoprire la soluzione di un problema da
tanto tempo incubato, una soluzione che nasce da un’idea improvvisa, vissuta come
forma di esperienza interiore, che permette di rivisualizzare l’intera
situazione nella sua globalità, giungendo così in breve tempo alla soluzione
cercata;
·
il feedback è un meccanismo di
retroazione, un’informazione di ritorno che permette all'emittente, mentre
sta comunicando, di percepire se il messaggio è stato ricevuto, capito,
approvato, ecc. e dunque di reagire, cercando la via più efficace per
raggiungere il risultato che si è prefisso. Nelle normali comunicazioni
facciamo un grande uso di feed-back per "aggiustare la mira" rispetto a quello che stiamo dicendo. Se
siamo impegnati a convincere qualcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo
periodicamente l'interlocutore per cercare segnali che ci assicurino che stia
ascoltando, che stia seguendo il ragionamento, che abbia capito. Se riceviamo
segnali in senso contrario, ripetiamo il concetto che stiamo esprimendo, usiamo
altri esempi oppure alziamo il tono di voce fino a quando non riusciamo a
raggiungere il nostro obiettivo (o decidiamo di rinunciare);
·
Il flashback
è quando l’interlocutore ricorda un’azione
passata o comunque una determinata azione;
·
Il déjà
vù si ha quando l’interlocutore crede di aver già vissuto un’azione non
determinata e non precisa;
·
Il
silenzio da rispettare. L. Pinkus[6] afferma che “si
tratta di un momento emotivo nel quale i vissuti e le problematiche vengono
sistemate, ridefinite e ristrutturate, alla ricerca di soluzioni nuove, più
adeguate e persino originali”;
·
Lo sguardo
può dire molto, ma, soprattutto, è un grosso indice per le richieste d’aiuto.
Sviluppo del
metodo di consulenza
Notevole importanza è sicuramente data dai fattori
ambientali, un setting è tranquillo,
quando la persona può parlare liberamente e comprendere che quel tempo è
dedicato a lei (non più di 45 minuti). Il consulente deve accogliere il
paziente col sorriso e con il dovuto distacco, deve rispettare le paure del pz.
la sua intimità e limitare il contatto personale.
In ogni seduta è bene prendere
appunti sui contenuti emersi, sugli interventi sostanziali e sulle reazioni
del pz, sugli obiettivi, sugli interventi che si ritengono ancora necessari e
sulle aspettative.
Durante il tirocinio, in ogni seduta, iniziavo con l’ascoltare la paziente, che mi parlava
del problema, ed esprimeva i suoi sentimenti. In un secondo momento, le comunicavo
di aver individuato il problema e le ponevo
domande chiuse o aperte, invitandola a riflettere e stimolandola al
dialogo. Nel momento in cui mi rendevo
conto dei cambiamenti e percepivo che era giunta alla soluzione, le attribuivo il merito.
Il rapporto tra
consulente e paziente deve essere asimmetrico o complementare per il
riconoscimento reciproco delle rispettive aree di competenza. Un atteggiamento
estremamente disponibile di comprensione e rispetto, ma che non esime
dall’esporre critiche (se è il caso), è il primo criterio per entrare in empatia (mettersi nei panni di..) con
la “cliente”[7].
Personalmente cercavo di utilizzare sempre l’entropatia, “un autentico modo di rientrare
in relazione con l’altro basato sulla capacità spirituale di accedere e di
comprendere l’altro” (Husserl [8]).
L’entropatia:
- è vedere con gli occhi dell’altro “come se io fossi al suo posto”;
- i contenuti psichici dell’altro mi sono suggeriti dal suo comportamento e sono comprensibili dal mio comportamento in circostanze simili;
- comprendo l’altro, quando mi metto nei suoi panni;
- è un commercio esistenziale di esperienze, spirituale (porta ad un mondo comune ovvero stesso oggetto intenzionale di esperienze diverse).
C.
Rogers[9] sottolinea il fatto
che il pedagogista può sentire il mondo dell’altro senza mai perdere
di vista la qualità del “come se”
riuscendo a sentire: l’odio, la
paura, l’ira, il turbamento dell’altro senza aggiunte proiettive. Ovviamente,
questo non può avvenire se non si sospendono
i giudizi (l’epochè):
- metto tra parentesi l’ingenua e acritica accettazione in un mondo ingenuo in altre parole atteggiamento mondano (non faccio uso della sua convinzione, che il mondo sia diverso da quello che appare).
- chiudo tra parentesi la mia concezione del mondo che sarà ripresa più tardi;
- sospendo il giudizio per tornare alle cose stesse;
- tento di liberarmi dai miei pregiudizi che m’impedirebbero di vedere le cose come stanno realmente e come sono dalla persona che ho di fronte.
Successivamente, con l’aiuto del residuo fenomenologico, elimino anche gli ultimi preconcetti. Così
facendo ottengo una rigenerazione
integrale ovvero rifiuto le mie convinzioni e non rendo oggettivo il
contenuto della mia coscienza[10]
C. Ziglio[11] afferma che “vedere è diverso dall’osservare”,
ognuno è in grado di vedere solo ciò che sa riconoscere (o ciò che vuole) e che
il “vedere” diventa troppo superficiale rispetto all’”osservare”. Chi è in
grado di osservare, osserva tutto di una persona con il famoso “occhio clinico” ed è in grado di
riconoscere anche le trappole che ogni professionista del settore dovrebbe
sapere e riconoscere per minimizzare gli errori.
Le trappole
individuate dall’autore sono:
- i pregiudizi: il pedagogista potrebbe essere condizionato dai pregiudizi nei confronti della pz., essi potrebbero invalidare l’intera consulenza. E’ indispensabile per il pedagogista liberare la mente, aprirla a 360°, se si vuole sviluppare un rapporto d’empatia con la pz.;
- la superficialità: non sottovalutare nessun aspetto né di contenuto né di relazione con la pz.;
- le proiezioni: distorcono la realtà che stiamo osservando perché attribuiamo a contesti culturalmente diversi dei significati che appartengono, invece, al nostro paradigma culturale;
- le aspettative: potentissime nel deformare la realtà, possono portare ad una grossa delusione da parte di entrambi ma, soprattutto, nella pz per non aver risolto il problema;
- il punto di vista: del pedagogista determina una visione delle cose secondo il ruolo che si assume, la propria sensibilità e le conoscenze acquisite.
Galileo affermava
che “Ciò che osserviamo dipende dal
nostro atteggiamento mentale”.
Durante una
consulenza è importante prestare attenzione alle dinamiche che potrebbero invalidare
l’intero rapporto, quali:
- il transfert è la gamma dei sentimenti che il paziente ha per il terapeuta;
- il controtransfert è la gamma dei sentimenti che il terapeuta ha verso il paziente. Tali sentimenti possono essere indotti dal transfert dell’altro, oppure possono partire dal vissuto personale del terapeuta di cui egli deve essere consapevole.
Lavorare sui sentimenti reciproci
ha un’altissima valenza poiché la relazione diventa più autentica e la persona
tenderà a trasferire nei suoi rapporti quotidiani la libertà d’espressione,
arricchendo il suo mondo.
- il burn out è un fenomeno multidimensionale in cui interagiscono:
·
fattori
socioambientali concernenti aspetti fisici e organizzativi del luogo di
lavoro, ad es. tensioni e sovraccarico di lavoro;
·
variabili
individuali riferibili a caratteristiche motivazionali e tratti della
personalità, es. le caratteristiche del compito lavorativo, cioè la mancanza di
feedback nel lavoro svolto da parte di colleghi e utenti.
Husserl
[12] afferma che “In questo modo, si può indagare su
esperienze soggettive, circostanze personali e condizioni sociali”.
Un metodo che si rivela efficace durante una
consulenza è la PNL o programmazione
neuro linguistica.
La Programmazione
è l’insieme dei processi
mentali che avvengono nell’individuo nel momento in cui riceve un’informazione
o uno stimolo.
Per Neuro
si intende l’esperienza elaborata dal nostro sistema nervoso attraverso i
cinque sensi.
Linguistica perchè
la risposta, conseguente
all’elaborazione che il nostro sistema nervoso ha eseguito in relazione agli
stimoli ricevuti, può essere verbale o
non verbale.
La PNL
è molto potente, quindi va usata eticamente,
essa funziona con l’uso del
subconscio.
Per utilizzare questo metodo bisogna avere un buon rapport,
ossia la situazione di disponibilità,
d’attenzione e di reciproca fiducia che si riesce ad instaurare col pz
(feeling) comunicando con canali
comunicazionali bidirezionali. Il rapport nasce, quando due individui
separati condividono la stessa mappa del
territorio nello stesso mondo, portiamo i pz dove vogliamo, attraverso un
sentiero che è loro familiare.
L’esperienza soggettiva può essere vissuta
attraverso tre aree di percezione,
siamo in rapport quando:
·
vediamo le cose nello stesso modo dell’altro (vista);
·
le udiamo come suonano a lei/lui (udito);
·
le sentiamo allo stesso modo (sensazioni/tatto).
Una delle abilità basilari per il rapport
è il ricalco. Attraverso il ricalco il
consulente fa tornare indietro il modello di comportamento del paziente.
Il ricalco è il rispecchiamento di se stessi, pertanto risulta
rassicurante e confortevole. Esso rimanda agli archetipi più profondi della
relazione madre figlio, quando un individuo ci ritiene simile a lui, a livello
inconscio, non ci teme, si fida e ci si sente a proprio agio. Il rispecchiamento
o rapport è l’inizio del processo attraverso il quale portiamo gli altri in
rapport con noi; non è vero che gli
opposti si attraggono, più c’è rapport tra due persone più la relazione diventa
profonda e di fiducia.
Il rispecchiamento richiede
eleganza, ad es: rispecchiare, in ritardo, assumendo la stessa posizione e
usando le parti del corpo opposte.
Il ricalco può essere:
·
non
verbale: agendo sulla postura (rispecchiamento);
·
verbale: mostrandosi
d’accordo con la persona, ponendo domande aperte o chiuse con il suo canale
d’entrata (visivo, auditivo, cinestesico);
·
Milton
model è un modello costituito da una comunicazione che conduce al
superamento dei contrasti e dei conflitti attraverso un processo di generalizzazione;
·
Metamodello
è, invece, un modello costituito da una comunicazione che conduce alla
diversificazione attraverso un processo
di dettaglio.
MILTON
MODEL
|
METAMODELLO
|
Tu mi rendi triste
|
in
che modo ti rendo triste?
|
Se io ti dico questo allora tu potrai capirmi
|
In
che modo dovrei capirti?
|
·
ricalco delle affermazioni: consiste nel ripetere, durante la
conversazione, ciò che ha detto la pz creando un effetto ipnotico;
·
ricalco ritmico: consiste nel ricalcare le parole con lo stesso ritmo quando la persona
espira; questo strumento è molto potente perché direttamente correlato ai
sistemi emozionali;
·
ricalco dello stato tensional-emotivo della persona;
·
ricalco del sistema rappresentazionale
preferito in due modi:
1. facendo domande per verificare i predicati, ad
es “cosa ti colpisce di più in una persona?” Se la persona è cinestesica
si darà più spazio alle sensazioni, se è visiva alle immagini e se è auditiva
alle parole;
2.
le persone muovono
gli occhi secondo il sistema rappresentazionale preferito in quel momento
per stimolare parti del nostro cervello, ciò segue un sentiero prevedibile e
ben definito.
Se guardano in alto sono visive
Vc (Visivo Costruito): guardando
in alto a destra accediamo ad una
cosa che ci stiamo immaginando o che deve ancora accadere;
Vr (Visivo Ricordato): guardando in alto a sinistra accediamo
ad un immagine visiva ricordata.
Se
guardano al centro lateralmente sono auditive
Ac (Auditivo Costruito): guardando lateralmente a destra, in questi
casi, di solito, attraverso un suono che si sta creando si accede al pensiero auditivo
costruito;
Ar (Auditivo Ricordato): guardando lateralmente a sinistra, attraverso
un suono già sentito e che si sta ricordando si accede al pensiero auditivo
ricordato.
Se guardano in basso sono
cinestesiche
K (Cinestesico): guardando in basso a destra abbiamo tutte le
sensazioni corporee ed emozionali;
Ad (Cinestesico): guardando in basso a sinistra, in questi casi si ha
un “dialogo interno”.
Per i mancini questi
accessi risultano invertiti.
All’uopo risulta calzante l’espressione ”Gli
occhi sono lo specchio dell’anima”. Attraverso gli occhi del proprio
interlocutore si comprende ciò che pensa, prova ed immagina in quel momento.
La
Comunicazione Verbale
Ognuno di noi ha un modo di comunicare, c'è chi parla
per immagini, chi per suoni, chi per odori…e utilizza termini appropriati al
tipo di canale comunicazionale preferito.
Attraverso l’ascolto del proprio interlocutore si
comprende se è Visivo, Auditivo o
Cinestesico.
Una volta afferrato questo gancio essenziale, si
è capaci di usare le parole che gli fanno comprendere al meglio quello che vuole
dire.
Per esempio:
I Visivi
tendono a vedere il mondo per immagini, hanno la tendenza a parlare in fretta. Amano esprimersi per
metafore visive, dicendo le cose come appaiono loro. I termini, che i Visivi usano comunemente, sono: vedere,
guardare, definire, luce, colori, prospettiva,
osservare, sguardo, delineare, tracciare, dipingere,
disegnare...
Gli Uditivi,
invece, si mostrano più selettivi nella
scelta delle parole. Hanno voce più sonora, il loro eloquio è più lento,
più ritmico, più misurato. poichè le parole hanno per loro grande importanza,
stanno attenti a quel che dicono. Amano espressioni come “questo mi suona
bene”. Amano descrivere le proprie esperienze
soprattutto con termini come sentire,
ascoltare, armonia, musica, parole, scrittura, lingua, traduzione,
conversazione, audio, sintonizzarsi, cantare, leggere... I
I Cinestesici,
ancora più lenti nel parlare, reagiscono, soprattutto, a ciò che sentono tattilmente. La loro voce è di
solito più profonda, spesso le parole escono loro da bocca lente, si servono di
metafore tratte dal mondo fisico: le cose per loro sono “pesanti” e “intense”,
aspirano ad “entrare in contatto” con la realtà. Il loro universo semantico è fatto di parole come: sensazione, emozione, toccare, concreto, pratico,
sentimento, percepire, solido, sperimentare, sentire, costruire, tastare,
abbracciare, approfondire...
Ciascuno di noi ha in sé gli elementi delle tre modalità ma un sistema predomina su tutti.
Husserl[14] sostiene che “…la storia è un momento della comprensione di
noi stessi in quanto cooperiamo al suo determinarsi”.
La Sessualità
Secondo
C. Fabris [15] la sessualità è il modo in cui ci sperimentiamo come uomo e come donna
nella relazione con gli altri. La sessualità attiene, dunque, all’essenza stessa d’ogni persona,
riguarda il corpo, l’immagine di sé, il modo di sentire e manifestare le
emozioni, di intessere delle relazioni, ecc…
Le fasi della sessualità per Freud[16]
sono:
- prima infanzia: dalla nascita fino ai 4 anni;
- infanzia corrispondente al periodo edipico (4-6 anni);
- tarda infanzia o latenza: dai 6 anni all’epoca prepuberale;
- adolescenza e giovinezza: dagli 11fino ai 18 anni;
- maturità, età avanzata: dalla conclusione dell’età riproduttiva al termine della vita.
In età puberale
la ricerca è autocentrata
(masturbazione) ricerca del piacere da soli; mentre, in adolescenza si arriva a quella eterocentrata ricerca del piacere
dall’altro/a.
Il Tirocinio: Informazioni e
consulenze nei laboratori a piano terra.
Durante il tirocinio, nei
laboratori al piano terra, venivano preadolescenti (di 10-11 anni),
accompagnate dalle mamme per chiedere informazioni sul menarca (prime
mestruazioni) e sull’igiene degli indumenti intimi, e adolescenti (14-18 anni)
per chiedere informazioni sui primi rapporti sessuali.
Educare l’adolescente
su queste tematiche, in reparti di ginecologia, è importante sia per il pz. che
per il professionista in quanto si instaura un rapporto di fiducia che permette
alla persona di confidare eventuali dubbi e disagi della propria sfera sessuale
ed affettività.
1 CASO
Una mamma recatasi in reparto con
la figlia si è rivolta a me chiedendomi: “Perché
mia figlia (di 11 anni) ha delle macchie rosse? E’ precoce o ha subito una
violenza?”
Dopo un’attenta visita
ginecologica, ove non sono risultati segni di violenza, io ed una collega specializzanda
ginecologa abbiamo spiegato, sia alla madre sia alla figlia, che la ragazza dall’adrenarca era passata alla fase della pubertà.
In questa fase si assiste a
cambiamenti fisici attraverso i quali il corpo
di una bambina si trasforma in quello di un’adulta capace di riprodursi.
Durante questo cambiamento il corpo acquisisce caratteristiche
sessuali secondarie femminili:
- telarca: lo sviluppo delle ghiandole mammarie e di conseguenza del seno;
- pubarca: la crescita dei peli sul pube, si verifica in media tra gli 8 e i 12 anni di età;
- menarca: l'inizio delle mestruazioni.
All’inizio della
pubertà si ha il menarca (il primo flusso
mestruale) che rappresenta l'inizio del periodo fertile. L'età
media della sua comparsa è tra i 10 e i 16 anni. Il menarca è un importante
indicatore sullo stato di salute della donna durante l'età della crescita,
oltre che indicare il buon funzionamento dell'apparato riproduttore.
A provocare lo sfaldamento dell'endometrio,
quindi il menarca, è la notevole quantità di androgeni
liberati dall'ovaio,
a sua volta stimolato sempre per via ormonale dalla ghiandola ipofisi.
Gli androgeni, in genere, provocano anche un forte scatto nella crescita in
altezza.
“Cos’è il ciclo
mestruale?” Le mestruazioni sono quel processo fisiologico di tutto il periodo
fertile che, a partire dalla prima mestruazione (menarca),
accompagna la donna dalla pubertà fino alla menopausa (40/50
anni). Essa corrisponde alla cessazione delle mestruazioni (nel caso dell’uomo
si parla di andropausa, 68-70 anni). Il ciclo mestruale è quel periodo che dura tra i 3 e i 7 giorni ovvero dal primo
giorno di mestruazione fino all’ultimo e si ripete ogni mese. Il mese ciclico
ha una durata variabile tra i 21 e i 35 giorni, mediamente è di 28, e nell'adolescente può essere spesso irregolare.
Ad ogni ciclo mestruale matura un ovulo in una delle due ovaie della donna (ovulazione), rispettivamente un mese a
destra e un mese a sinistra. Nei primi 13 giorni del ciclo mestruale l'endometrio si inspessisce per
prepararsi ad accogliere l’ovulo
fecondato e dare l'avvio a un'eventuale gravidanza. In assenza di fecondazione l'endometrio inizia
a regredire, si stacca e viene espulso attraverso la vagina dopo 28 g .
Questo processo produce il sanguinamento che caratterizza la mestruazione.
Se l’ovulo viene
fecondato dal seme maschile inizia una gravidanza e cessano le mestruazioni
per riprendere dopo la gravidanza.
La dismenorrea
si ha in presenza di mestruazioni con perdite abbondanti e molto dolorose.
Al contrario, si parla di amenorrea in caso di assenza
di mestruazioni.
“Da cosa può dipendere
il ritardo delle mestruazioni?”
Un eventuale ritardo delle mestruazioni può dipendere,
oltre che da una gravidanza, da condizioni di stress, da cambiamenti climatici
o di stili di vita, da disfunzioni ormonali.
“Cosa devo fare? La ragazza può
usare assorbenti sia esterni sia interni (Tampax) già dalla 2° mestruazione? Ma
non si svergina?” La ragazza può scegliere di usare tranquillamente assorbenti
esterni oppure interni. L’assorbente interno, o tampone, non comporta alcun
rischio per la verginità, difatti, l’imene è abbastanza interna e permette alla
ragazza di poter inserire il tampone tranquillamente senza creare problemi.
La ragazza può andare in bagno, praticare attività sportive e andare in
piscina o al mare può tranquillamente farsi la doccia, usarlo di notte e di
giorno; il tampone deve essere cambiato ogni 4-8 ore al massimo. Si consiglia
di usare la misura piccola o media per evitare di contrarre la TSS (la Sindrome da Shock
Tossico), malattia rara che può essere fatale. Questa sindrome è causata
dalle tossine prodotte dal batterio Staphylococcus aureus che si trova
comunemente nel naso e nella vagina.
I sintomi tipici della TSS, anche se potrebbero
non manifestarsi tutti contemporaneamente, sono: febbre alta improvvisa (oltre 39°C ), vomito, diarrea,
eruzioni cutanee simili all'eritema, vertigini, dolori muscolari, svenimenti.
In stadi successivi della malattia si può
assistere anche alla desquamazione della pelle.
“I salvaslip normali, per perizoma, mini, bianchi o neri?” “No, noi li sconsigliamo. Il loro uso
può provocare: prurito intimo, bruciore vaginale,
perdite
giallo-verdastre, irritazione vaginale. Il salvaslip crea
un ambiente caldo umido che favorisce lo sviluppo di infiammazioni, invece, un
consiglio che diamo è di usare indumenti intimi di cotone e non colorati e di evitare
l'uso di ammorbidenti durante i lavaggi”.
“Mia figlia vuole usare il perizoma come le sue amiche.”. “Noi
sconsigliamo l’uso di: perizoma, tanga, brasiliana, bikini
o monokini. Alcuni studi clinici, effettuati su donne che indossano
regolarmente questi indumenti intimi, hanno evidenziato una maggior incidenza
di patologie infiammatorie e, in qualche caso, d’infezioni in zona anale,
perianale e pubica rispetto a chi indossa regolarmente uno slip. Negativi
anche calze autoreggenti perché il
silicone potrebbe portare a foruncoli o formazione di peli incarniti nella zona
inguinale. Naturalmente questo non significa che non ci si possa concedere un
completino colorato, ricamato e magari sintetico, a patto poi di riservare
maggior attenzione all’igiene intima. Dopo il lavaggio, gli indumenti intimi
vanno risciacquati a lungo con abbondante acqua per eliminare ogni residuo di
sapone.
“Quale detergente intimo devo
usare???”“Utilizza il detergente intimo, 1 o 2
volte la giorno, con un grado di ’acidità PH 4 o 5. Lavarsi troppo
frequentemente, così come utilizzare saponi alcalini, è controproducente. Per
asciugarti usa rotoli di carta asciuga o un asciugamano personale. Usa le
salviettine solo in viaggio. L’utilizzo di lavande vaginali, sia interne sia
estene, non deve essere abituale ma subordinato al consiglio del ginecologo.
Mentre il borotalco può usarlo tranquillamente, anzi, utilizzato anche sotto il
seno evita irritazioni e cattivi odori dato dall’eccessiva sudorazione. ”
Altri consigli dati alla ragazza: “In caso di terapia antibiotica prolungata assumi fermenti
lattici per ricostituire la normale flora batterica. Ricordarsi di usare il
preservativo durante un rapporto sessuale e informarsi sulle abitudini
igieniche del proprio partner. Inoltre, è importante che per la depilazione usi
la ceretta “a freddo” ed evita quella “a caldo”, rasoi, saponi e creme
depilatorie per evitare punti neri, peli incarniti e brufoli. Per la tua salute
è impotante svolgere attività fisica e seguire un buon regime alimentare, no
alle diete “fai da te” ma, se necessario, rivolgersi ad dietologo o dietista. I
trattamenti estetici, come ad es. le lampade abbronzanti, saune, massaggi,
ecc., vanno fatti con le dovute precauzioni e dopo una visita medica che assicuri
il buon stato fisico della persona”.
2 CASO
Un altro caso ha riguardato una ragazza di 14 anni arrivata
al reparto di ginecologia accompagnata dalla mamma.
La mamma: “Mia figlia ha 14 anni e vuole avere il suo primo
rapporto sessuale. Io sono d’accordo, ma sento un forte disagio ad affrontare
l’argomento con lei e così ho pensato di rivolgermi a persone specializzate che
possano rispondere alle sue incessanti domande”.
Io: “Ha fatto benissimo! Lei è un ottimo
esempio per tutte le mamme che si trovano a dover affrontare questo momento
particolare per le loro figlie. In questo modo lei permette a sua figlia di
vivere il rapporto sessuale in modo responsabile e sereno. Se vuole può essere
presente alla conversazione con sua figlia”.
La mamma: “No, ci parli lei”.
Io: “Come vuole”.
La ragazza, per ragione di privacy (Dlgs.196/03), la chiamerò con nome diverso: Fabiana.
Le domande di
Fabiana
Cos’è l’imene? L’imene
è una membranella
mucosa posta circa a metà della vagina, che si lacera con il
primo rapporto e può sanguinare leggermente. Per tale motivo è sempre stata
considerata il segno caratteristico della verginità fisica. In alcuni casi,
però, può essere talmente elastico da non lacerarsi durante il primo rapporto,
rimanendo integro. In questi casi quindi non si avverte dolore, né perdita di
sangue.
Si ma….la verginità
cos’è? Sia per la donna sia per l’uomo si parla di verginità quando non si
hanno avuto mai avuto rapporti sessuali completi. La verginità nella donna ha
un correlato fisico nell’integrità dell’imene. La scelta di rimanere vergini
varia di fatto da individuo a individuo, in base a ragioni interiori,
personali, ma anche sociali e culturali, alla religione di appartenenza; ad una
scelta morale, per chi la considera un valore interiore da salvaguardare o da
offrire al partner che si è scelto. Ora, l’importante è che tu ti senta pronta
a farlo con la consapevolezza che questa persona non sia, per forza, per tutta
la vita ma, importante per te in questo momento. Nel “qui ed ora” è: con chi
vuoi e se lo vuoi condividere.
Cos’è la “prima volta”? La “prima
volta” marca l’inizio della vita sessuale relazionale. La prima volta è un
evento significativo che crea emozione, inquietudine, apprensione.
Per le
ragazze, la “prima volta” è spesso accompagnata dal timore del dolore fisico, oltre
che dalla consapevolezza o dalla paura di perdere definitivamente la verginità.
I ragazzi, invece, scontano di massima
la paura di non essere all’altezza della situazione (ansia da prestazione).
Tanto la prima volta non si può rimanere
incinta… Nulla di più sbagliato! La possibilità di una
gravidanza è implicita nel fare l’amore, salvo che non ci si
protegga con contraccettivi. La scelta contraccettiva è molto importante perché
da questa dipendono la tua serenità e la salute riproduttiva.
Se
decido di farlo….sarò capace? Il timore di non essere all’altezza è
molto diffuso, soprattutto se il partner ha già avuto altre esperienze. La strategia migliore è
non “mitizzare” troppo questo momento, parlare
apertamente con il partner della propria inesperienza e, insieme, con
complicità e fiducia, vivere quest’esperienza. Non insistere se non và. La cosa più sbagliata è,
invece,
fingere una competenza inesistente… finiresti con l’essere
immediatamente smascherata.
Se poi non mi vuole più? Beh, tutto
sommato non sarebbe una grave perdita, una persona che ragiona secondo criteri ormai
obsoleti non merita la tua fiducia e il tuo amore.
Ehi, non ci
pensare nemmeno! Tu vali perché sei una persona speciale, hai scelto di
condividere questo momento con la persona di cui sei attratta e innamorata, che
ti rispetta e prova per te affetto e stima. Se non è così, non è la persona giusta!
Ho sentito parlare di autoerotismo
e masturbazione E’ un modo naturale per sperimentare il piacere ed è
un'esperienza legata alle prime sensazioni di piacere. Costituisce una tappa fondamentale nello sviluppo sano e naturale
della propria sessualità.
Come
avviene la scoperta nei maschi? Nei ragazzi è frequente sia l'erezione, in certe circostanze con un'immagine femminile, sia l'emissione di liquido
seminale durante il sonno, definito polluzione
notturna.
E nelle ragazze? Con la stimolazione involontaria
della zona genitale con un oggetto, ad es. un cuscino, oppure lavandosi fino a
provare sensazioni piacevoli, accarezzandosi in vari modi, senza necessariamente stimolare solo la clitoride.
Una mia amica è omosessuale, come faccio a
capire se lo sono anch’io? L’adolescenza
è il momento in cui si costruisce un’identità fisica, psichica, sentimentale e
sessuale. È il periodo della
sperimentazione, della ricerca di nuove strade non battute, della costruzione
di nuovi modi di voler bene e amare, di stringere amicizie, relazioni,
passioni. Alla fine di questo lungo percorso, la cui durata è soggettiva, ci si
ritrova eterosessuali, omosessuali o
bisessuali.
L’eterosessuale è colui che prova attrazione verso
persone dell’altro sesso.
L’omosessuale,
al contrario, prova interesse, prevalente o esclusivo, per persone dello stesso sesso (uomo con
uomo “gay”e donna con donna “lesbica”).
Il bisessuale, invece, ha la capacità
di relazionarsi dal punto di vista sessuale con entrambi i sessi, pur
mantenendo uno dei due impulsi come prevalente.
Se si propone una donna? Non
bisogna aver paura, come l’etero, l’omosessuale può scegliere di amare una sola
persona. Non bisogna discriminarla, lei ha emozioni e sentimenti. Puoi dire
sempre no, se vuoi.
Qual è la maggiore età sessuale? La
maggiore età in Italia, dal punto di vista sessuale, si raggiunge al quattordicesimo anno d’età.
Come si fa a riconoscere l’amore vero? La differenza tra una cotta passeggera e una storia
importante? Per
alcuni, innamorarsi è questione
di un momento, per altri, invece, è un processo più lento e graduale. Spesso capita
di intrattenere un’amicizia per mesi, se non addirittura anni e poi un bel
giorno ci si rende conto, all'improvviso, di essere innamorati di una persona, che
vediamo con occhi diversi, che è diventata speciale. L'innamoramento è
accompagnato da tutta una serie d’intense e travolgenti sensazioni ed emozioni,
particolarmente all'inizio di un rapporto amoroso. In genere si attraversano
tre fasi:
- l'attrazione
fisica iniziale: all'inizio i sintomi son gli stessi, si passano ore aspettando che squilli il
telefono, si vola al sospirato appuntamento con le gote in fiamme, le farfalle
nello stomaco e il cuore palpitante e ti sembra che debba scoppiare da un
minuto all'altro dall'emozione;
- l'infatuazione:
è il momento in cui la storia continua sempre più bella, ancora più
forte dei primi giorni;
- il legame affettivo: a poco a poco si comincia ad amare la presenza
dell’altro. Lui diventa sempre più importante, finché ci si rende conto che non
si riesce a vivere senza, quello che state vivendo è vero amore;
- Il colpo di fulmine: arriva in modo improvviso, lo guardi per la
prima volta ed è come se vi conosceste da sempre, ma è raro.
Quali sono le zone erogene? Sono le
parti
del corpo che producono sensazioni particolarmente eccitanti. Sono
diverse per l’uomo e la donna. Includono i genitali, ma anche i capezzoli,
l’ombelico, il collo, le orecchie, ecc.; molte sono legate all’esperienza ed
alle preferenze individuali. Più aumenta la confidenza e la complicità
reciproca, più si riesce a comprendere come dare piacere al proprio partner. William
Masters e Virginia Johnson[17], padri della
sessuologia moderna, ci insegnano
che ogni persona ha una diversa risposta sessuale.
Ricorda che ciò che piace a te non necessariamente vale per gli altri. È
importante riuscire a parlare e ad esprimere i propri bisogni, a saper dire no
ad eventuali richieste del partner a noi poco gradite.
Come si arriva all’orgasmo? È vero che ne abbiamo uno clitorideo e uno vaginale? Si.
L'orgasmo è una reazione del
corpo durante l'atto sessuale, conseguenza di un'intensa eccitazione delle zone
erogene e degli organi sessuali. Sia l’uomo che la donna possono
avere l'orgasmo. Negli uomini si presenta come un picco rapido d’eccitazione
seguito dall'eiaculazione, mentre, nelle donne può consistere in un periodo più
esteso di sensazioni di piacere con alcuni picchi di estremo piacere...
Nelle donne, l'orgasmo
può essere vaginale e clitorideo e possono
verificarsi contemporaneamente.
L'orgasmo
clitorideo si ha in quanto la clitoride è sensibilissima alle stimolazioni.
Essa può essere stimolata in vari modi: attraverso uno sfregamento e pressione
con il corpo del partner o con stimoli manuali.
L'orgasmo
vaginale, invece, si raggiunge con la penetrazione attraverso la quale si
raggiunge il punto G. Una donna sperimenta un orgasmo completo quando sia l'utero che la vagina, compresi i muscoli
pelvici e quello anale, sono sottoposti a contrazioni ritmiche. Alcune donne
riescono ad avere orgasmi multipli quasi in
successione. Le donne possono espellere del fluido durante l'orgasmo, la cosiddetta
eiaculazione femminile.
In alcuni casi si possono verificare incidenti di
percorso, ad es. il sesso provoca ansia e delusione, se le prestazioni si
rivelano insoddisfacenti o impossibili.
Talvolta questi problemi sono determinati da
malattie, uso di alcuni farmaci, abuso di alcool e uso di droga. Altre volte
sono provocati da emozioni spiacevoli come paura, sensi di colpa, ansia da
prestazione, eccessive aspettative nei confronti del sesso, ecc…
Le
difficoltà più comuni che si possono verificare nell’uomo sono quelle
legate all’erezione (disturbi dell’erezione). Altre difficoltà possono
riguardare la gestione dei tempi del rapporto sessuale (eiaculazione precoce
e/o ritardata).
Nelle donne, invece, queste difficoltà si
manifestano come: frigidità o incapacità totale o parziale di provare piacere,
dispareunia (rapporti sessuali dolorosi) e vaginismo (contrattura dei muscoli
della vagina che impedisce la penetrazione).
Le infezioni IST O MST
L’espressione “Infezioni Sessualmente Trasmissibili (IST)”
raggruppa le malattie trasmesse durante l’atto e il contatto sessuale. Secondo l’OMS è preferibile a quell’usata in
precedenza, “Malattie Sessualmente Trasmissibili (MST)”, in quanto sottolinea il
frequente decorso sintomatico di queste infezioni che, altrimenti, nei casi
conclamati, si manifestano con sintomi acuti o come forme croniche.
Rivolgendomi alla ragazza: “Fabiana
sai che ci sono infezioni sessualmente trasmissibili?”
Fabiana: “Si ma quali sono?”
Io: “Fra le infezioni
sessualmente trasmissibili più importanti abbiamo:
1.
i batteri: gonorrea,
infezioni uro-genitali, anorettali, sifilide;
Fabiana: “Dott. ssa vorrei prendere la pillola, o ci
sono altri metodi contraccettivi?”
Io: “Esistono
tantissimi metodi contraccettivi appartenenti a quattro gruppi:
- metodi ormonali: la pillola, il cerotto a rilascio transdermico, l’anello vaginale, la spirale. Tra questi, secondo me, data la tua giovane età, puoi scegliere la pillola o il cerotto, sicure al 99,9% ma non ti preserva dalle IST;
- metodi
di barriera: il profilattico o preservativo e il diaframma. Tra questi,
ti consiglio di scegliere il preservativo, il metodo più sicuro per
preservarsi sia dalle IST che da gravidanze indesiderate;
- metodi chimici: gli spermicidi sono pomate che, usate insieme ad altri tipi di contraccettivi, diminuiscono il rischio di gravidanze indesiderate. Io li sconsiglio, preferisco gli altri metodi.
- metodi naturali: il coito interrotto, il metodo Billings, il metodo Ogino Knauss, il metodo sinto termico, la temperatura basale . I metodi naturali, se non usati bene, possono essere ad alto rischio di gravidanze indesiderate.
Fabiana: “Se sbaglio a prendere la pillola cosa succede?”: non sei più
“coperta” e devi adottare altri metodi contraccettivi; se, nel frattempo hai
avuto rapporti a “rischio”, puoi sempre chiedere al ginecologo di prescriverti la pillola del giorno dopo: la
Levonelle oppure la Norlevo,una da 1,5 mg o due da 750 mg entro 72 ore dal
rapporto”.
Al termine del colloquio, la ragazza dice di aver deciso e di
sentirsi pronta. Mi ringrazia, chiama la mamma che, per quanto imbarazzata, si
dice più tranquilla e dopo i saluti vanno via.
Tanti sono i casi di ragazze, soprattutto studentesse di scuole
medie e superiori, che venivano con genitori o parenti per avere informazioni
riguardanti i metodi anticoncezionali. Dopo aver avuto qualche informazione, sia sulle IST che sui rischi di
gravidanza, la maggior parte di loro sceglieva di utilizzare la pillola o
il cerotto, altre, invece, optavano per il preservativo.
In altri casi,
venivano ragazze accompagnate dai loro compagni per chiedere di fare un test di
gravidanza nella speranza di essere incinte.
I test di gravidanza
Oggi è facile verificare se è iniziata una gravidanza, basta fare
uno dei seguenti esami:
1. esame
delle urine (il più frequente);
2. esame
del sangue;
3. ecografia.
Il test delle urine
L’esame più frequente è quello delle urine. Per farlo, occorrono dei
contenitori di raccolta delle urine, esistono dei kit in vendita in tutte le farmacie. Questo esame si basa sul test dell'urina, il computer indica
con colori differenti l’esito, positivo o negativo, e, in caso positivo, indica
anche da quanti giorni è iniziata la gravidanza.
Il Tirocinio: Informazioni e
consulenze nel reparto di Ginecologia al I° piano
IVG la Legge 194 del 22/05/78
Oggi in Italia qualsiasi donna
può richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) entro i primi
90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari.
L'intervento può essere effettuato presso le strutture pubbliche del S.S.N. in
modo totalmente gratuito. L'Ivg può essere praticata, anche, dopo i
primi 90 giorni ma solo nel caso in cui la gravidanza o il parto comporti un
grave pericolo per la vita della donna, oppure quando siano state accertate
gravi anomalie del feto. Nel caso delle minorenni, secondo la Legge 194 art. 12,
è necessario l'assenso da parte di chi esercita la potestà o la tutela.
Tuttavia, se, entro i primi 90 giorni, chi esercita la potestà o la tutela è
difficilmente consultabile o si rifiuta di dare l'assenso, è possibile ricorrere
al giudice tutelare. La donna ha anche il diritto a lasciare il bambino in
affido all'ospedale per una successiva adozione, e
a restare anonima.
In base all’Art. 9 comma 5, il
ginecologo può astenersi dal fare un IVG per obiezione di coscienza, in tal
caso può farlo un altro ginecologo. Prima di effettuare l’IVG viene chiesto alla
donna di firmare un documento sul diritto alla privacy 196/03.
Le forme d’aborto
sono di vario tipo, oltre all’ivg volontaria provocata, abbiamo: l’aborto
naturale (o aborto interno), l’aborto tubarico e l’aborto pre-termine o tardiva
nei casi in cui il feto è morto o ha qualche malformazione.
Esistono due metodi abortivi: per aspirazione e tramite la pillola abortiva.
Un aborto non compromette la possibilità di avere future gravidanze
normali. In caso di aborti ripetuti si rendono necessarie indagini specifiche.
IVG Metodo chirurgico (per aspirazione)
L'aspirazione puo' generalmente essere effettuata entro le 14
settimane, partendo dal primo giorno dell'ultima mestruazione. L'intervento è
eseguito in ospedale, sia in day-surgery
sia con ricovero.
L'intervento operatorio avviene
sotto narcosi (anestesia generale). Il collo dell'utero è dilatato cautamente
con dilatatori metallici fino ad un diametro da 6 a 12 mm . Viene in seguito
inserita una canula fine per l'aspirazione che rimuove i tessuti embrionali
dalla cavità uterina. L'operazione dura circa 20 minuti. Generalmente, una
visita di controllo viene effettuata nelle due settimane seguenti l'intervento.
Nella cartella clinica si trova un consenso informato che spiega come avviene
l’intervento chirurgico.
La pillola abortiva
Dal 2009 in Italia è arrivata la
pillola abortiva: la Mifegyne con prostaglandina RU 486.
Questa pillola può essere
prescritta entro la 7ª settimana o 49 giorni a partire dal primo giorno
dell'ultima mestruazione. L'interruzione della gravidanza viene effettuata in
clinica con due farmaci: la Mifegyne (RU 486) e la prostaglandina. La Mifegyne
blocca gli effetti dell'ormone progesterone interrompendo lo sviluppo della
gravidanza; mentre, la prostaglandina induce contrazioni uterine e provoca
l'espulsione dei tessuti embrionali. In presenza di personale medico, la donna
assume tre compresse di Mifegyne e, due giorni dopo, due compresse di prostaglandina.
Dopo l’assunzione dei farmaci, la donna rimane in osservazione per alcune ore,
durante le quali avviene l’espulsione dei tessuti embrionali. Circa due
settimane dopo tale operazione, la donna deve sottoporsi ad una visita di
controllo.
IVG, aspetti
Psico-socio-pedagogici
Come più volte
evidenziato da diverse ricerche sull’aborto provocato (IVG), durante il
tirocinio, ho potuto constatare che la maggior parte delle donne che fa ricorso
all’aborto, mostra una sorta di “coazione
a ripetere”, sembra scelgano l’aborto come mezzo contraccettivo.
Infatti, quando chiedevo alle pazienti: come “la” stai vivendo???”
Loro tranquille rispondevano: “non è mica la prima volta!”
Ciò accade perché la
donna, pur desiderando la gravidanza, come realizzazione della propria identità
femminile, non riesce ad accettare il bambino.
Durante il tirocinio molti casi di IVG riguardavano ragazze minorenni,
il più delle volte sottoposte all’intervento per scelta dei genitori.
Uno dei casi riguarda una ragazza di un paese della
provincia di Foggia. La ragazza, di 15 anni, aspettava un figlio da un ragazzo
di otto anni più grande. Il dramma dei genitori derivava da più fattori, oltre
al fatto che la ragazza fosse minorenne, i genitori non accettavano il padre
del bambino perché cugino della mamma della ragazza e perché facente parte di
una famiglia legata al clan della “sacra corona unita”. Inoltre, i genitori,
incastrati in un tessuto sociale pieno di pregiudizi, erano spaventati dall’eco
dei pettegolezzi che “il fatto” avrebbe provocato all’interno del paese.
Infatti, le parole della mamma erano: “cosa diranno al ritorno in paese?
Tutti ora sapranno che mia figlia non è più vergine? L’unica ragazza della sua
età, in tutto il paese, ancora vergine era lei e ora….oddioooooo ….”
In un primo momento ho cercato di focalizzare l’attenzione della madre su
problematiche più gravi della verginità.
Le ho spiegato che, nel caso specifico, la ragazza adolescente, in
questa fase della sua crescita, è alla ricerca di una propria identità personale
sessuale e sociale, e di un’autonomia dai genitori.
Questo processo è avvenuto con l’avvicinamento ad un uomo più grande, in
cui ha ritrovato protezione e di cui è particolarmente affascinata perché “proibito”
dai genitori. Tutto ciò l’ha portata a desiderare un figlio da questo compagno.
Ho spiegato, ancora, che imporre alla ragazza di sottoporsi all’IVG è
sbagliato, anche per le conseguenze psicologiche che la ragazza avrebbe potuto
avere.
In un secondo momento ho invitato la ragazza a parlarmi del suo
coinvolgimento emotivo con il ragazzo e di come stesse vivendo la decisione dei
genitori di farla abortire.
All’inizio non è stato semplice, visto il suo stato d’animo, ma poi pian
piano sono riuscita a metterla a suo agio e dopo un pianto “liberatorio”
abbiamo iniziato a dialogare. Dopo aver esposto il suo pensiero, i suoi
sentimenti e il “suo punto di vista”, ho coinvolto nella conversazione anche la
madre. Durante il confronto tra le due donne, ho notato una “distonia
comunicativa” tra loro e, in diversi momenti, sono intervenuta per chiarire
i concetti dell’una e dell’altra.
Alla fine, madre e figlia sono entrate in “sintonia comunicativa” e
la conversazione si è conclusa in un lungo abbraccio tra loro. In quel momento
la madre incredula ha detto: “Non ci posso credere, è la prima volta che mi
abbraccia, non lo ha mai fatto, neanche da piccola”.
A quel punto la madre, con un animo più dolce e sereno, ha cercato di
rassicurare il marito e a convincerlo a cambiare opinione sulla relazione tra
la figlia e il compagno.
Il padre disponibile ha accettato la relazione a patto che la ragazza
abortisse e tornasse a scuola.
Dal suo canto, la madre della ragazza nutriva la speranza che, superata
questa fase di crescita, la figlia potesse, un giorno, allontanarsi da
quell’uomo, ormai non più “proibito”.
Il giorno successivo la ragazza è stata sottoposta all’intervento
dell’IVG e dimessa dopo qualche ora. Prima di lasciare il reparto, l’intera
famiglia ha voluto salutarmi e ringraziarmi. Per me una gran soddisfazione!
Il Tirocinio: Informazioni e
consulenze nel reparto di ostetricia al 3°piano
La
gravidanza è un periodo molto particolare per una donna sia da un punto di
vista biologico che psicologico e pedagogico.
Durante il mio tirocinio, spesso, le donne gravide venivano
in medicheria e mi ponevano domande riguardanti la vita intrauterina nei
diversi mesi di gestazione. Se educare
significa portare fuori, dare alla luce, quale momento migliore per
educare se non la gravidanza e il parto?
Ogni volta, cercavo di spiegare loro che, durante la gestazione, la donna ha la
possibilità di riprovare la fusione originaria da cui la sua stessa vita ha
preso le mosse; di ripetere, cioè, la propria “relazione primaria con la loro
madre”. Il bambino in utero da dei segnali che la donna deve cercare di
codificare. Molte forme elementari d’apprendimento sono già evidenti durante questo
periodo. Prima della nascita il bambino sente la voce e il battito cardiaco
della madre, la voce del padre, la musica proveniente dall’esterno, percepisce
la luce. Egli reagisce ad ogni input proveniente dal mondo esterno; un bimbo si
rasserena se si ascolta della musica di suo gradimento, se percepisce una luce
troppo forte, porta le mani agli occhi e potrebbe arrivare a cambiare posizione,
se la mamma ingerisce sostanze dolci, deglutisce una quantità maggiore di
liquido amniotico perché più gradevole, viceversa se la mamma ingerisce
sostanze amare.
Una coppia mi ha
chiesto: “Il rapporto sessuale può compromettere la salute del bambino?”
Non solo il rapporto sessuale non è pericoloso per il feto, in quanto protetto
dal liquido amniotico, ma una vita sessuale gratificante si ripercuote
positivamente sul rapporto di coppia e aiuta la donna a vivere serenamente la
gravidanza.
Il parto
Durante il parto: “Rilassatevi e parlate al
vostro bambino in grembo, dovete inviargli messaggi positivi e rassicuranti
come: “io sono qui, il luogo in cui tu
verrai è meraviglioso. Io e il papà siamo qui per proteggerti. Tutto andrà per
il meglio, saremo bravissimi e io non vedo l'ora di poterti tenere tra le mie
braccia".
Un
uomo mi ha chiesto: “Cos’è il travaglio e cosa comporta? “Nella fase del
travaglio, il corpo passa da contrazioni non dolorose alle prime contrazioni
valide. E’ importante che, prima e durante il travaglio, il padre rassicuri la
madre, difatti, se la madre riceve messaggi negativi, se sente di non trovarsi
nel posto adatto per mettere alla luce il proprio bambino, se non si sente
ascoltata, protetta e rassicurata, il travaglio può risentirne negativamente. Occorre,
dunque, che la donna venga rassicurata.
La
donna deve sapere perché prova dolore durante il travaglio, il parto e il
post-parto:
- il dolore è necessario: se non lo provassimo non ci renderemmo conto di cosa avviene all'interno o all'esterno del nostro corpo.
- il dolore rafforza, ci avvisa, ci preserva.
- quando proviamo dolore istintivamente ci fermiamo, riflettiamo, chiediamo aiuto.
Metodi per controllare il dolore
La donna deve
sapere come si svolgerà il parto, deve essere consapevole del suo corpo e della
sua bellezza sia prima che dopo il parto, deve accettare il suo nuovo status di mamma, deve
elaborare le sue emozioni e i suoi sentimenti, deve avere un buon
sostegno dal compagno e dalla famiglia, deve aver fiducia sia del luogo dove avverrà
il parto sia dell’equipe che l’assisterà. E’ importante che abbia una buona preparazione al parto, deve
essere ben informata sui metodi naturali (riflessologia, fiori di bach, etc),
deve sapere che, in caso di dolore, può ricorrere ad una terapia farmacologica
(effetto placebo). Spesso basta sapere di avere una scappatoia o una
possibilità di scelta perchè la percezione del dolore scemi naturalmente.
Il travaglio e il parto
Al momento delle doglie, la partoriente è trasferita prima in sala travaglio e poi in sala parto. Se lo desidera, può
chiedere che il proprio partner o un altro congiunto (madre, zia, sorella,
amica) assista al parto. Molte pazienti all’ultimo mese di gravidanza, che ho
incontrato, hanno richiesto la mia presenza in sala parto, il mio esser-ci
infondeva loro fiducia e tranquillità.
La sala parto
La sala parto assomiglia ad una
sala operatoria: è noto che il lettino da parto, su cui la donna viene distesa
con le gambe sollevate, è quanto di più irrazionale e disfunzionale ci sia per
la partoriente, mentre, permette alle ostetriche e al ginecologo di lavorare
comodamente[18].
Sono due le violenze fatte alle donne
durante e dopo il parto:
-la non libertà di scegliere come partorire;
-la separazione della partoriente
dal suo bambino. Dopo il parto, la pz viene portata in stanza, mentre il “cucciolo”
viene portato al nido.
Per quanto concerne il primo aspetto, esso comporta tre soluzioni:
- il parto naturale: permette di assumere la posizione a lei più comoda con la possibilità di vedere il bimbo nascere, attraverso lo specchio posto di fronte alla donna, e toccargli la manina;
- il parto in acqua: avviene in una vasca, ed è assistito dalle ostetriche;
- il parto alla leboyer: avviene in una sala con luci soffuse e musica new age.
Nella maternità di Foggia praticano solo due tipi di parti, quello
naturale e quello cesareo.
Parto naturale: avviene sul lettino con gambe sollevate, senza
specchio. Se il bambino “è in posizione”,
in altre parole a testa in giù e podice in su, si effettua il parto dalla vagina.
Se, invece, il bambino è in
posizione “podalica”, cioè con il
podice, ovvero i piedini, il culetto o la spalla, in giù e la testa in alto, si
procede col parto cesareo con taglio
orizzontale sull’addome. In tal caso, dall’anestesista viene effettuata la peridurale,
permettendo così alla madre di
rimanere sveglia e veder nascere il proprio bambino.
Per quanto riguarda la seconda “violenza” subita dalle
neo-mamme, occorre fare una
premessa:
il
bambino, alla nascita, quando viene “legato” alla madre attiva le sue risorse
endogene come:
- l’imprinting: registrazione cerebrale della prima immagine vista dal bambino alla nascita e delle percezioni sensoriali;
- il bonding: può essere visto come una “perfetta sincronia” (unione che si instaura tra madre e piccolo in questi primissimi contatti). Tale sincronia permette, per esempio, alla mamma di sentire le mammelle turgide un attimo prima che il bimbo le reclami, conferendole un senso di competenza e adeguatezza. Queste sensazioni, con il passare del tempo, si trasformano in un legame di attaccamento in cui i ritmi interni ed esterni della madre e del piccolo devono trovare una sincronia ottimale.
Le teorie dell’attaccamento ipotizzano l’esistenza di un “periodo critico” (baby blues o
depressione post partum) per la
madre e per il bambino, se non si stabilisce subito un legame madre-bambino.
Invece, in maternità, usano separare
la madre dal bambino subito dopo il parto. Il bambino viene portato alla
madre, solo, dopo diverse ore per l’allattamento.
Nascita
pre-termine
Il bambino è un anello di congiunzione tra vita
intrauterina ed extrauterina, si
considera prematuro quando nasce prima
delle 37 settimane di gestazione (dovrebbe nascere entro le 41 settimane). Oggi,
la medicina permette la sopravvivenza in buone condizioni, anche, di bambini di
26/28 settimane gestazionali, con un peso compreso tra i 700 e gli 800 gr.
La prematurità è frequentemente
accompagnata da patologie di varia entità, per questa ragione è necessario ricostruire
per il bambino un ambiente il più simile a quell’intrauterino (incubatrice a
temperatura e umidità costanti, asetticità, ecc.), controllare in modo continuo
le sue condizioni.( termoregolazione, battito cardiaco, pressione sanguigna,
frequenza respiratoria, etc.) e, se ha difficoltà a deglutire, attuare
un’alimentazione a sonda.
Il neonato prematuro è a rischio
non solo dal punto di vista organico ma anche da quello psicologico, in quanto gli
vengono a mancare quelle braccia che dovrebbero contenerlo una volta uscito dal
riparo intrauterino. La diade simbiotica madre-bambino è bruscamente
interrotta, occorre dunque intervenire subito sul bimbo per evitare danni
futuri.
In questo senso la madre:
·
può sentirsi
svuotata e vive il parto come un aborto;
·
può sentirsi gravemente in colpa e reagisce come
se avesse subìto il così detto “lutto
anticipato” (come se il bambino fosse già morto e, pertanto, inutile curarsi
di lui);
·
può aiutarsi con meccanismi di difesa che vanno dall’euforia alla negazione (“non è
successo niente, non c’è stata alcuna nascita”).
In queste situazioni gioca un
ruolo fondamentale la figura del padre. Il suo compito sta nel rassicurare la
neo-mamma e contenere le sue paure, fungere da tramite fra lei e il piccolo,
espletare le funzioni che sarebbero state proprie della madre.
Numerosi sono gli interventi di sostegno che possono
evitare di far percepire all madre e al piccolo questo distacco. Per esempio,
si porta la madre nel reparto di neonatologia, se la madre è allettata, le
vengono mostrate le foto del suo bambino per rassicurarla sullo stato di salute
del piccolo. Inoltre, si chiede alla madre di aspirare regolarmente dalla
mammella il latte da dare al bambino. Questo allattamento a distanza diviene
come un secondo cordone ombelicale
che ricostruisce il legame precedentemente interrotto.
Durante il periodo di gravidanza,
la madre matura delle aspettative sul
figlio, lo immagina come un bel bambino cresciuto e, invece, si ritrova con
un piccolo bambino pre-termine aggrinzito, con movimenti disarmonici, con
proporzioni diverse da un neonato normale e l’impatto può essere duro. Il
bambino, dal suo canto, è capace di rispondere agli stimoli e di interagire con
l’esterno. È molto importante che la madre, ad esempio, si faccia afferrare il
dito oppure prenda in braccio suo figlio cosicché lei si riappropri del suo
ruolo materno.
Baby blues e Depressione post-partum (la depressione dopo il parto)
Il periodo post-partum
è molto delicato per la donna. In molti casi, può accadere che la madre avverta
un senso d’ansia, tristezza e irritabilità, che abbia spesso voglia di piangere
e si senta inadeguata a crescere il proprio figlio.
Questi lievi stati depressivi, che si verificano nell’80% delle partorienti, prendono il nome di
“baby blues” (come li denominò il notissimo pediatra e
psicoanalista inglese Donald Winnicott)
e durano da poche ore a qualche giorno. Si manifestano nei primissimi mesi del
post- partum e scompaiono da soli, quindi non destano preoccupazione perché, di
solito, non hanno conseguenze. Solitamente possono essere associati allo stress
e alla stanchezza che deriva dalla nuova condizione di madre, nonché ai
cambiamenti psicologici ed emotivi legati alla maternità e ai sbalzi ormonali
tipici della fase di allattamento. In molti casi non richiedono l’intervento di uno
specialista.
Una condizione sicuramente più problematica e
duratura è la depressione post partum,
disturbo che compare solitamente tra la quarta e la sesta settimana dopo il
parto, (comunque entro i primi 12 mesi dal parto). Essa aumenta e può persistere
per diversi mesi (dai 3 ai 9 in
media). Il 10% delle donne italiane soffre di questo disturbo dopo il parto.
I sintomi più frequenti sono: indolenza,
affaticamento e costante mancanza d’energie, esaurimento, disperazione,
inappetenza, insonnia o sonnolenza eccessiva, confusione, tristezza e pianto
inconsulto, disinteresse o paura di far male al bambino o a se stessa,
improvvisi cambiamenti d’umore, perdita d’interesse verso le attività che prima
provocavano piacere.
Nei casi più gravi (circa una mamma su mille), la depressione post-partum può evolvere in una vera e propria psicosi
post-partum, caratterizzata da stati di agitazione, confusione,
pessimismo, disagio sociale, insonnia, paranoia, allucinazioni, tendenze
suicide o omicide nei confronti del bambino.
Come affrontarla
La condizione depressiva post partum non ha
influenza solo sulla madre, ma anche sul bambino e sul padre. Spesso le madri, per non sentirsi
troppo inadeguate, negano o nascondono tale condizione, peggiorandone l’esito o
cronicizzando la patologia.
Per evitare che ciò accada è importante che la
mamma assuma una serie di buone abitudini
che le rendano la vita più facile, ad esempio: limitare i visitatori nei giorni
del rientro a casa dopo il parto, dormire nelle stesse ore in cui dorme il
neonato, seguire una dieta adeguata che eviti eccessi e l’assunzione d’eccitanti
come alcool e caffè. Di grande aiuto
nella prevenzione del problema è mantenere una solida rete affettiva, circondarsi
di amici e familiari al fine di sostenere e rafforzare il rapporto di coppia.
E’ importante che il partner sia presente e sostenga
la propria compagna, sia materialmente (aiutare nei lavori domestici e nelle
faccende quotidiane) che emotivamente (mostrare un atteggiamento di ascolto e
di comprensione), che la aiuti a razionalizzare le difficoltà. Il padre,
dunque, riveste un ruolo di “contenitore” della diade madre-bambino. Anche in
lui, tuttavia, la nascita del bambino può provocare una profonda “crisi”, in
quanto lo costringe bruscamente ad assumere un nuovo ruolo, quello di padre di
uno “sconosciuto” e di compagno di una donna divenuta “madre”. E’ necessario
che abbia, quindi, un certo equilibrio e un buon grado di maturità. Anche per
l’uomo, come per la donna, le esperienze passate e il rapporto con le figure
genitoriali giocano in questo periodo critico un ruolo importante.
Se per la madre tale problematica evolve in una
vera e propria psicosi post-partum, è importante rivolgersi ad uno specialista
e, se necessario, ricorrere a misure tempestive, come: il ricovero e la terapia
farmacologica.
Il CASO
Ho avuto modo di fare un intervento pedagogico in sala operatoria durante
un parto podalico. Il caso riguardava una partoriente che, durante il parto
(cesareo), era entrata in panico in quanto immaginava
il figlio morto. Con le mie parole ho cercato di tranquillizzarla e di
spiegarle che il suo stato d’animo veniva percepito dal bambino e avrebbe
influenzato il benessere psicologico del nascituro. Alla fine dell’intervento,
grazie al mio aiuto, la donna era stanca ma sollevata e rivolgendosi a me, ha chiesto:
“per favore mi da un fazzoletto?” A quel punto, porgendoglielo l’ho guardata e le
ho detto che il bambino era appena nato,
che era sano e che era appena diventata mamma. Poi, mi sono rivolta all’ostetrica e le ho chiesto di porgere il
bambino alla madre affinché potesse attaccarlo al seno e di aspettare che fosse
la mamma a restituirlo spontaneamente. Ho spiegato all’ostetrica che, in
questa fase, è importante che si
stabilisca un primo contatto tra madre e figlio. Il giorno dopo il parto, mi sono recata dalla puerpera che, felice, mi ha ringraziata per averla aiutata a
superare il”momento critico” e mi ha
chiesto una foto ricordo di me con il suo bambino in braccio.
Cos’è il Puerperio? Il puerperio è il periodo
compreso fra il parto e la ripresa della normale attività ovarica ed ha una
durata approssimativa di sei settimane.
Il cambiamento pedagogico nel puerperio
Dal punto di vista pedagogico, essere mamma può temporaneamente mettere in ombra la parte più
sensuale di una donna, raffreddando in parte o completamente la sfera intima
della coppia. A ciò si aggiungono le modificazioni
fisiche che inevitabilmente fanno si che la neomamma si percepisca come
meno attraente, oltre che meno interessata alla sessualità. A volte, invece,
capita che il suo desiderio di fisicità,
ora espresso in modo più tenero, sia sufficientemente appagato dall’accudimento
del bambino. Si viene a creare così un rapporto d’ipercuria nella diade tra
madre e bambino, dove il padre potrebbe esserne escluso e sentirsi inadeguato. Il
nervosismo che caratterizza le
prime settimane dopo il parto, dovuto alla necessità di ritrovare nuovi ritmi
in funzione del neonato (es. sonno, pappe, nuovi impegni, timori di
inadeguatezza, ecc), può ripercuotersi sul rapporto di coppia. Il partner deve essere paziente e
assecondare la volontà e il desiderio sessuale della compagna. Non deve procurarle
ansie, nel caso in cui i primi rapporti dovessero provocare
"fastidio". Gli organi genitali devono riprendersi dallo stress del
parto, cosa che avviene in tempi brevi ma variabili da donna a donna. Entrambi devono impegnarsi a cercare la complicità,
devono aiutarsi e condividere gioie e fatiche di questo primo periodo. Sdrammatizzare, ogni tanto,
prendendosi un po’ in giro è più efficace del crearsi falsi problemi, lasciando
che il tempo gradualmente riporti tutto ad una nuova normalità.
Consulenza
psico-pedagogica durante il giro visite in ostetricia.
Una delle domande più importanti che mi
ponevano le mamme, durante il mio giro visite in ostetricia, era: Quanto
è importante il mio latte per il bambino?
I turni
che si danno madre e figlio durante le pause di allattamento costituiscono il
primo pattern di interazione del dialogo umano: la prima forma di
socializzazione.
Il
bambino introietta con il latte il calore materno, quindi impara la gioia del
ricevere e sperimenta il sentimento di gratitudine; se, dunque, l’esperienza
sarà positiva si svilupperà un certo ottimismo verso la realtà e sarà possibile
superare i successivi stati depressivi; se, viceversa, l’esperienza sarà
negativa prevarrà un sentimento di sfiducia e di inadeguatezza.
Bowlby, [19] nella sua teoria dell’attaccamento,
sostiene che: lo sviluppo armonioso della
personalità di un individuo, dipende principalmente, da un adeguato
attaccamento alla figura materna o un suo sostituto, e che il legame, che
unisce il bambino alla madre, non è una conseguenza del soddisfacimento del
bisogno di nutrizione, bensì è un bisogno primario, geneticamente determinato,
la cui funzione è garantire la crescita e la sopravvivenza biologica e
psicologica del bambino.
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Il neonato
Il neonato è il bambino dalla
nascita fino ai tre mesi.
Quando seguivo i medici durante il giro visite nel reparto di ostetricia, mi
presentavo alle mamme e chiedevo loro se avevano bisogno di alcuni consigli per
l’educazione dei propri figli. La consulenza
avveniva in gruppo, a tutte le
mamme di ciascuna camera. Le domande che mi ponevano le mamme
riguardavano, soprattutto, i cinque sensi del bambino, il pianto,
l’allattamento, etc:
Il primo
punto importante è: non lasciarsi
influenzare e confondere dalle abitudini, dai consigli di mamme, di
amici, etc. E’, invece, fondamentale rimanere in ascolto del proprio bambino e seguire il proprio istinto. Pertanto, “osservate il vostro bambino ed entrate sempre più in contatto con
lui, comprendetelo e sarà lui a dirvi cosa fare e come muovervi”.
Il bambino è dotato di alcuni riflessi come, ad esempio, il riflesso
di suzione che consente al neonato di attaccarsi alla tettarella del biberon o al seno della madre e di
nutrirsi del latte materno.
Le domanda delle mamme: “ma il bambino vede?”
Nel primo mese, il suo
orizzonte non va oltre le pareti della culla: la sua visione è indistinta e
riesce a vedere in modo corretto solamente oggetti o volti distanti 20-25 centimetri dalla
punta del suo naso. Invece, dai quattro ai sei mesi, il bambino sviluppa
completamente la vista ed è capace di seguire il moto degli oggetti in
qualsiasi direzione.
Per contro,
già da prima della nascita ha uno spiccato
udito, difatti,
ciò che lo attrae maggiormente è il suono della voce umana, soprattutto, quella
materna. Il bambino è attratto da suoni
ritmici come quelli dei carillon ed è infastidito da rumori particolarmente
forti e acuti; mentre, la mancanza di rumori può renderlo nervoso.
Inoltre, il bambino riconosce
immediatamente l’odore della mamma, è capace di
distinguere benissimo i quattro sapori base, ossia: amaro, dolce,
salato e acido. Ciò conferma la sua predisposizione ad un’alimentazione a base
di latte e la nostra tendenza da adulti a "coccolarci" con qualcosa
di dolce quando siamo tristi o in preda dello sconforto: il sapore dolce nutre
e rassicura.
Infine, anche il tatto è estremamente sviluppato sin dalla nascita, lo
dimostra il fatto che il bambino si sente al sicuro tra le braccia della madre.
Ciò che
maggiormente allarma una madre, nel primo mese di vita del bambino, procurando ansia e tensione,
sono le grida di pianto che avvolgeranno la casa nel
momento in cui il bebè avrà la necessità di comunicare un suo bisogno o una sua
sensazione interna che lo spaventa, essendo, specialmente all'inizio, tutto
nuovo e sconosciuto per lui. E' importante mantenere la calma affinché si possa
più rapidamente individuare la causa del
pianto
che può essere tanto fisica, come la fame, il freddo o un
dolore, quanto emotiva, a risposta di un evento
esterno inatteso che lo turba, come un improvviso senso di abbandono e
solitudine.
Per quanto
riguarda il sonno, il neonato, al di là di ogni
credenza, non dorme molto, anzi, sembra quasi soffrire d'insonnia. Il bebè,
cioè, ha dei disturbi del sonno, che spesso generano altrettanti disturbi del
sonno di mamme e papà. Il numero delle ore di sonno del bebè può dare una prima
idea della sua indole:
Il bimbo insonne dorme profondamente dopo la
poppata di latte e si risveglia poco dopo chiedendo attenzioni e compagnia.
Il dormiglione, invece, sembra immune dalla
morsa della fame ed accade spesso che lasci il seno o la tettarella per addormentarsi.
Chiaramente, occorre adottare delle strategie: nel caso in cui dorma poco, conviene adattarsi, tenendolo nella carrozzina con
dei giochi che lo intrattengano, portandolo fuori a passeggiare oppure
tenendolo nel marsupio nel momento in cui si debbano
sbrigare delle faccende.
Nel caso, invece, in
cui dorma tanto, occorre organizzare l'orario delle poppate ed abbreviare
l'intervallo tra un pasto e l'altro durante il giorno. Inoltre, stimolarlo e
parlargli in continuazione tiene alta l'attenzione del bambino che quindi è
"costretto" a rimanere ad occhi aperti.
Se scambia il
giorno per la notte, si può cercare di accelerare il processo con degli accorgimenti pratici che rendano più chiara la
differenza tra giorno e notte, come tenere il bambino tutto il giorno nella
carrozzina e portarlo nel suo letto solo la sera. In proposito va detto che
alcune ricerche hanno dimostrato che, nella diade madre-bambino, se la madre è
il bambino sono in due stanze diverse, quando la madre è in fase REM
(dormi-veglia), il bambino è in fase NO REM (di sonno profondo) e viceversa, il
che fa pensare ad una specie di veglia reciproca. L’adulto comunque deve
imparare a rispettare i ritmi del bambino e sincronizzarli con i propri.
Per ciò che concerne il gioco,
per i bambini l’attività ludica è importante. Il gioco per i bambini ha
importanti funzioni adattive: di puro esercizio di attività riflesse, di
scoperta e di esplorazione del proprio corpo e del corpo altrui, di
esplorazione del mondo degli oggetti (suoni, colori, qualità delle superfici,
etc.), di scambio comunicativo, di socializzazione, di apprendimento. In un bambino appena nato molte situazioni della vita
quotidiana diventano gioco: cantargli le canzoncine, fargli ascoltare la musica,
presentargli oggetti colorati o sonori, fargli esplorare l’ambiente tenendolo
in braccio, il bagnetto, il pasto etc.., più tardi, permettergli di sporcarsi con
la pappa o strappare carta colorata, ecc., ancora più tardi, i momenti di interazione con
i genitori, l’esplorazione a carponi e il gioco del nascondarello.
La
Famiglia
La famiglia
secondo L. Bianchi [20],è un sistema
aperto e un’entità dinamica, soggetta a continui cambiamenti psicologici e sociali.
La famiglia è un sistema aperto e dinamico a livello psicologico per la regola della circolarità delle
comunicazioni. Un evento negativo o positivo di un membro o di tutto il
nucleo si ripercuoterà all’interno di tutta la famiglia, scatenando reazioni a
catena.
La famiglia è un sistema in relazione ad
altri sistemi. A livello sociale, è in relazione al macrosistema sociale, che è in rapida
evoluzione per ciò che concerne le abitudini e costumi e comprende anche i
valori. Ciò che avviene nel macrosistema
produce dei cambiamenti anche
nei microsistemi, anche, grazie ai
mass-media, ad es. è cambiato il concetto di paternità.
Durante una consulenza familiare dobbiamo “contestualizzarla” ovvero capire tutte
le variabili socio-culturali che incidono sul suo modo di essere: i suoi ruoli
sociali, economici, relazionali. Inoltre, è necessario vedere la famiglia nella
sua globalità nonché i caratteri personali di ogni componente .
L’evoluzione
storica ed economica ha condotto a
sostanziali modifiche nel modello familiare che da patriarcale si è trasformata
in nucleare. In proposito, M. Galli e H. Harrison[21]
sostengono che: a livello culturale, il diffondersi di una mentalità
individualistica e competitiva ha
portato ad una sempre più nuclearizzazione
(coppie con un figlio o monogenitoriali). Purtroppo non è così nel sud Italia, in cui esiste ancora il
modello di famiglia patriarcale, allargata e transgenerazionale, anche se si va
ridimensionano l’alta generatività per dar posto all’affermazione sociale.
Accanto a ciò, la parità dei diritti dei
sessi ha fatto sì che sempre più uomini e donne prolunghino la vita da
single e rinuncino a divenire genitori in nome di bisogni diversi, come: il
denaro, la carriera, il raggiungimento di un identità sociale; e a causa di varie
problematiche, quali: la scolarizzazione prolungata, la diminuzione di posti di
lavoro, la crisi degli alloggi. Tutto ciò rende questa identità un miraggio
lontano. A tutto questo si aggiunge
la permissività dei genitori che non induce nei figli il desiderio di lasciare la
famiglia d’origine per sentirsi
responsabili della propria vita, ma, al contrario, li spinge a restare a lungo
in casa per comodità.
Le donne mi ponevano domande quali: “come ci si deve
comportare nel caso in cui ci sia già un bambino/a in famiglia?” In tal caso, occorre preparare
il figlio maggiore, soprattutto se ancora piccolo, ad accettare l’arrivo del
fratellino o sorellina che lui considererà un ”intruso”. Prima di tutto occorre dimostrargli che l’affetto per lui
non è assolutamente cambiato. Occorre che il padre gli stia molto vicino, gli
parli facendogli capire ciò che sta accadendo e, quando la mamma è in ospedale
per il parto, è necessario che il bambino venga coinvolto emotivamente e
fisicamente. Il padre deve stimolarlo a disegnare o scrivere qualcosa da
portare e regalare alla madre quando andrà a trovarla in maternità, facendolo
sentire importante ed essenziale per la mamma, il bambino deve capire che la
mamma non lo ha abbandonato. In questa fase, il comportamento del papà, le sue
azioni, parole, pensieri, emozioni e sentimenti sono fondamentali, in quanto
diviene il ponte, l’elemento di collegamento e di comprensione frail bambino e
la madre. “Rendete il bambino partecipe e integratelo nei vostri rapporti, non
fatelo sentire come se fosse d'impaccio o di disturbo al vostro lavoro:
coinvolgetelo facendovi aiutare”. Al di là di tutte le buone intenzioni, è
naturale e molto facile che il figlio maggiore si trovi a provare della
gelosia, soprattutto, se è un bambino d’età compresa tra i due ed i sei anni.
Infatti, i ragazzi più grandi hanno meno difficoltà ad accettare l'arrivo di un
fratellino, tanto che divengono protettivi e dispensatori di attenzioni e cure.
I maschietti, tra i tre e i
cinque anni, nel loro sviluppo affettivo hanno il complesso edipico freudiano (amore per la madre), mentre, le femminucce quello d’elettra
Junghiano
(amore per il padre). Questa fase si
risolve spontaneamente con un'identificazione progressiva con il genitore del
proprio sesso. In concomitanza e stretta correlazione con il complesso di edipo,
esiste un altro processo, la cosiddetta angoscia (o paura o complesso) di castrazione: il bambino
teme di essere punito con la castrazione per la sua rivalità verso il padre.
Ciò lo porta ad abbandonare una situazione pericolosa identificandosi con lui.
La bambina, invece, prova un senso d’inferiorità sentendosi castrata
e per questo volge il suo affetto dalla madre al padre, figura dominante e
prestigiosa.
Per i bambini questo periodo diventa importantissimo e bisogna
superarlo nel migliore dei modi. La nascita di un nuovo fratellino o sorellina
potrebbe portare il bambino a viverla in modo sbagliato
ovvero a rapportarsi più al papà che alla mamma, in quanto la mamma deve badare
al piccolo e lui si sentirebbe defraudato
dell’amore edipico verso di lei legandosi più al padre. Questo processo potrebbe
portare, da adolescenti, a scelte come la devianza, la
tossicodipendenza e l’alcooldipendenza o altre forme di dipendenza patologica, in quanto il bambino “non perdona la madre di avergli
tolto il ruolo di principe della casa”. Per le bambine, è importantissimo questo momento in quanto loro
devono passare quel momento di “innamoramento
del padre” identificandosi con la madre; questa identificazione potrebbe
non avvenire se la mamma è molto occupata col piccolo e porterebbe la bimba ad identificarsi, “per dispetto”, col padre ed avere problemi di origine sessuale da
adolescente. Di positivo c’è il fatto che i bambini con fratellini sperimentano la condivisione al gioco e sono meno soli di fronte
agli adulti. Di rilevante importanza sono, anche, gli aiuti esterni alla coppia, provenienti da nonni, amici o
vicini; tali aiuti devono consistere in compiti ben precisi, affinché non si
creino confusioni o invischiamenti. La coppia resta, comunque, il fulcro
principale sul quale deve ruotare l'intero assetto familiare.
Se nascono dei gemelli, è utile allattare i gemelli contemporaneamente, porgendo un seno ciascuno ed
alternando la loro posizione ad ogni pasto. Al sospetto di una mancanza di
latte, parlare con il pediatra e ricorrere al sistema misto, ossia dando in
modo alternato a ciascuno dei gemelli il biberon e il seno. Non conviene
allattarli separatamente: in questo modo si sfalsano i tempi delle poppate e
del sonno. Bisogna accettare di non poter assecondare entrambi
contemporaneamente, nel caso in cui piangano simultaneamente, e comprendere che
solo così è possibile donare ad entrambi la loro sana dose di coccole. Se, invece, si hanno figli unici, occorre sapere che essi si sentono
il principe o la principessa della casa e perdere questa priorità spaventa il
piccolo quando è in arrivo il fratellino o sorellina.
Per finire, occorre sapere che
se il bimbo rimane figlio unico tenderà ad avere un rapporto molto stretto con i propri amici oppure chiederà un animale domestico che andrà a sostituire il
fratellino o, ancora, si creerà l’amico immaginario,.
Oggi il ruolo materno o paterno, può essere sostituito da
altre figure, come ad es. le figure
della compagna del padre o del compagno della madre.
Nel nuovo modello di famiglia
allargata è importante, per il benessere dei figli, che si instaurino dei buoni
rapporti tra gli “ex”, tra i nuovi compagni degli “ex” e tra i fratellastri e sorellastre (fratelli germani o di padre e
fratelli uterini o di madre).
Altre figure importanti per i
bambini sono i nonni.
Il legame tra nonni e nipoti è basato su quello che Ada
Fonzi [22]
definisce “un amore senza Edipo” ovvero un amore libero dalle
conflittualità generazionali e più sereno, in quanto il loro ruolo non deve
essere di tipo educaativo.
I nipoti per i nonni rappresentano la continuità
biologica e attivano una sorta di rivitalizzazione e di proiezione verso il
futuro. Il compito dei nonni verso i nipoti è prendersi cura di loro, di
coccolarli senza eccessi. Esistono differenze fondamentali fra il nonno e la nonna: la nonna accudisce e si prende cura della casa, il nonno è il compagno di giochi e di passeggiate. Esiste,
secondo Ferenzi[23] il complesso del nonno paterno: il nonno avendo potere sul
figlio, riduce l’immagine onnipotente che il bambino ha di suo padre. Queste
dinamiche si verificano nelle famiglie patriarcali e autoritarie. Altro è la costrizione (oggi quasi scomparsa) di dare lo stesso nome dei nonni ai primogeniti, questo per confermare la loro
(dei nonni) discendenza. Questi comportamenti implicano varie gelosie anche tra
nipoti (fratelli e cugini).
Nella società attuale si è
sostituita alla famiglia patriarcale quella nucleare. In essa vige la matrilinearità che porta le giovani madri ad
appoggiarsi prevalentemente alle proprie madri e più in generale alla loro famiglia d’origine. In questo caso i nonni più
coinvolti sono i nonni materni. Esistono delle situazioni in
cui la presenza dei nonni è patogena: il caso più frequente è
quello dei nonni che si sostituiscono ai genitori, i quali assumono un ruolo
fraterno nei confronti dei propri figli e delegano le funzioni genitoriali ai
nonni. Ciò significa, per i bambini, che i genitori sono immaturi e incapaci di
svolgere il loro ruolo e che i nonni sono intrusivi e sono stati poco capaci di
rendere i figli autonomi.
Talvolta, sono le circostanze
economiche e lavorative che costringono i neogenitori a far assumere la
responsabilità educativa ai nonni. Anche in questo caso i nonni diventano iperprotettivi
e causano nei nipoti diverse forme di disadattamento, patologia chiamata “sindrome di re Salomone”.
I diritti dei
nipoti, specie nei casi di genitori separati.
Nel caso di genitori separati può accadere che si creano
problemi di rapporto e frequentazione, in particolare tra il bambino e i nonni
da parte del genitore non affidatario o comunque non convivente. La casistica in giurisprudenza è
rilevante: se si pensa a quante separazioni vengono attribuite all’influenza
nella coppia dei genitori dell’uno o dell’altro, si capisce quanto sia
frequente che il genitore con cui i bambini convivono e che abbia accusato
problemi con i suoceri, tenda ad evitare e, addirittura, ad ostacolare la
frequentazione dei figli con i nonni ex suoceri.
La riforma del
codice civile attuata con la legge n. 54/2006 ha riformulato l’art. 155 c.c.
introduce il principio secondo cui: anche in caso di separazione dei
genitori, il figlio minore ha il diritto [omissis] di conservare rapporti
significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Il principio essenziale a cui si ispira tutta questa
riforma è la tutela dell’equilibrio e della qualità della vita dei figli minori
in caso di separazione o divorzio e
il diritto a mantenere e coltivare i rapporti con i nonni e tutti i parenti ne
è considerato un aspetto essenziale.
L’importanza degli asili nidi
Nel caso di una mamma
lavoratrice che non può accudire il figlio durante le ore di lavoro, la scelta
migliore rimane l’asilo nido, organizzati per garantire il
massimo della sicurezza e dell’igiene e ad accogliere in modo adeguato il bambino.
Meglio rivolgersi prima alla struttura più vicina alla propria abitazione,
chiedere informazioni, osservare il comportamento delle educatrici e dei
bambini, le attività e i giochi che
vengono proposti e valutare se la soluzione proposta si adatta alle proprie
esigenze. Nel caso, invece, in cui la scelta cade sulla baby sitter, bisogna prendere informazioni sulle sue credenziali oppure
informarsi presso le scuole di puericultura o le agenzie che offrono, a tal
proposito, figure specializzate. Una volta che abbiamo di fronte la baby sitter, parliamo con lei, poniamole delle domande anche di
semplice conoscenza, invitiamola a passare con noi e il bambino alcune ore. In
questo modo è possibile valutare la sua attitudine a tale lavoro, apprezzare la
sua dolcezza e senso di responsabilità nei confronti del piccolo e, attraverso i
due filtri di valutazione: uno più concettuale ed uno più empatico e sottile,
si è in grado di fare la scelta giusta.
Può capitare che il bambino si
affezioni ad un oggetto (es un orsetto di pezza o una coperta), chiamato oggetto transizionale, esso sostituisce la mamma quando questa è assente. Questo
oggetto, per essere tale, deve essere: insostituibile, in genere sporco e
maleodorante, caldo (se il b. è nato d’inverno) e freddo (se il b. è nato
d’estate); guai a lavare o pulire quel oggetto che, proprio quell’odore, lo
rende rassicurante. Il fenomeno transizionale consiste in un comportamento
ripetitivo da parte del bambino come: toccare il lobo dell’orecchio dell’adulto,
girare la ciocca dei capelli o la punta di una federa o della coperta fra le
dita.
Questi oggetti e fenomeni
permetteranno al bambino di raggiungere quell’autonomia che gli permetteranno
di sentirsi solo senza angoscia e di conquistarsi così uno spazio mentale in
cui sviluppare il pensiero.
Avere rapporti sessuali con i bambini in
casa.
Com’è possibile fare l'amore
liberamente con i bambini nell'altra stanza? La soluzione più facile per
sentirsi a proprio agio nel fare l’amore e vivere in coppia quel momento
di grande comunione è farlo con la porta della camera chiusa a chiave.
Chiudere a chiave la porta non significa isolarsi e trascurare i bambini
ma concedersi un angolo di autonomia per soddisfare le esigenze emotive e sessuali di coppia. Ciò va fatto non prima di
aver soddisfatto quelle di genitori, vale a dire avendo portato a termine tutti
i riti della buona notte a cui è
abituato il bambino:
la filastrocca o la fiaba, i
progetti per il giorno seguente, il bacio, la carezza, la luce spenta...
Fatto questo ed accertatici che ai bambini, adeguatamente all’età,
davvero non necessiti nulla, oltre a un buon sonno, chiudere la porta
sarà come rispettare il proprio “rito”
di coppia.
Nel caso in cui i bambini avessero bisogno dei genitori e bussassero alla
porta della camera da letto, si ha tutto il tempo per ricomporsi, emotivamente
e fisicamente, e affrontare questa nuova evenienza. Senza sensi di colpa.
Il Tirocinio: Informazioni e
consulenze nel reparto di Ginecologia al I° piano
Tumori (miomi e carcinomi) e menopausa
La donna viene trasferita, nelle sale operatorie del terzo piano, solo al
momento, di effettuare questo tipo di interventi.
Gli interventi più frequenti sono:
Mioma: tumore benigno, massa corposa che si forma nell’utero.
Carcinoma: tumore maligno.
Raschiamento: pulizia dell’utero dopo un intervento.
Tipi di intervento di asportazione di tumori all’utero:
L’isterectomia: asportazione dell’utero.
Esistono due tipi di isterectomie: quella monolaterale e quella bilaterale.
Esse prevedono rispettivamente l’asportazione di una o entrambe le tube di
falloppio e/o delle ovaie, sia nella patologia maligna che in quella benigna.
Si parla di laparoisterectomia, quando si agisce attraverso l’addome, e di colpoisterectomia,
quando si agisce attraverso la vagina.
Per quanto
riguarda il mioma (tumore benigno), ciò che preoccupa e
spaventa le pazienti è l’intervento. In questi casi, durante il tirocinio, assistevo le pazienti in sala operatoria
per trasmettere loro calma e fiducia.
Diverso è il
caso del carcinoma (tumore maligno). Le
pazienti con questo tumore hanno bisogno di ascolto empatico, di autenticità, di ritrovare la gioia di vivere
attraverso le strategie di coping.
IL CASO: Una donna di 35 anni a cui è
stata effettuata la colpo isterectomia
La diagnosi di tumore porta sempre con sé un forte impatto emotivo iniziale che, nel
caso in cui la neoplasia interessi
l’apparato genitale, si complica con le preoccupazioni legate alla capacità
riproduttiva e sessuale. La donna in esame, sposata con un marito innamorato e
premuroso, mostrava segni di riluttanza verso il marito dopo aver scoperto di avere un carcinoma; mentre il
marito cercava in tutti i modi un
dialogo amorevole con lei. Il
timore della donna era che l’amore del partner potesse trasformarsi in “senso del dovere” o compassione”.
Durante una consulenza le dissi: “Tornare a star
bene come prima si può. Anzi, la malattia potrebbe rappresentare un’occasione per migliorare la sua
esistenza e il rapporto di coppia, apprezzando, insieme a suo marito, le
piccole cose quotidiane, dando un maggior valore
al tempo e alle persone, vivendo più intensamente anche la sessualità.
Esistono ovuli e pomate che possono contribuire
a farle vivere meglio la sua sessualità.
Allo stesso tempo, è bene comunicare i
propri stati d’animo al partner. Rabbia, paura, ansia, depressione,
insicurezza si affrontano meglio se vengono condivise”.
Rivolgendomi al marito, gli dissi: “La sua compagna ha
bisogno di sentirsi rassicurata sui sentimenti che prova per lei. Deve
sentirsi, pertanto, amata e desiderata
nello stesso modo in cui lo era prima della malattia. Fino a quando sua
moglie non sarà in grado di accettare la malattia e i cambiamenti che il suo corpo
subirà, sarà difficile recuperare una vita sessuale soddisfacente. Dovrà darle
la giusta dose quotidiana di tenerezza e
attenzioni, dialogare con lei in modo da arginare lo stress, i timori e la stanchezza fisica causati dalle cure”.
Dopo varie
sedute la donna ha mostrato di essere
pronta ad iniziare la sua nuova sfida e di volerla vivere e condividere con il
marito.
Menopausa
Ho avuto modo di parlare anche con donne in menopausa
e in post menopausa. In quei casi facevo counseling di gruppo nelle camere e, se le pazienti lo richiedevano,
parlavo loro in privato.
Il sesso in
menopausa
Ricordo di una donna anziana che
simpaticamente ripeteva: “Se prima della menopausa la tua vita
sessuale è stata piena e gratificante, continuerà ad esserlo anche dopo”.
La sessualità in menopausa comporta diversi vantaggi, primo fra
tutti quello di non correre il rischio di una gravidanza indesiderata.
Questo vantaggio è confermato da molte donne che dicono di sentirsi più
libere, di vivere pienamente e serenamente la propria sessualità in
età matura.
Molte dichiarano che la menopausa le ha rese più disinibite
e capaci di esprimere desideri ed emozioni che hanno per lungo tempo voluto
nascondere.
Si parla di sindrome del “nido
troppo vuoto” quando si hanno figli adulti ed autonomi che vanno via di
casa, oggi però si assiste al fenomeno inverso. Infatti, molte donne lamentano il
loro “nido troppo pieno” ovvero i
figli non vanno più via di casa per situazioni sociali, economiche o a causa di
relazionali instabili. Quando, invece, i figli diventano autonomi, le donne
sentono di potersi nuovamente concentrare su se stesse, alla riscoperta della
propria sessualità. Per molte donne la menopausa segna una vera e propria
rinascita che investe tutta la personalità femminile, non soltanto la sfera
sessuale.
L’importante è adeguarsi ai cambiamenti che
progressivamente avvengono nel proprio corpo e in quello del partner (in caso d’andropausa)
e che implicano delle cambiamenti nel modo di fare l’amore.
La premessa per mantenere vivo un rapporto intimo e affettuoso nasce
naturalmente da una buona comunicazione tra
la coppia.
Quali sono i fattori che favoriscono l’attività sessuale in postmenopausa?
- Aver avuto una vita sessuale attiva, regolare e gratificante durante l'età fertile;
- un atteggiamento positivo e di accettazione del passare degli anni;
- un buon affiatamento con il partner, vivere bene l'intimità di coppia e una buona comunicazione tra i due partner;
- l'accettazione dei cambiamenti del proprio corpo;
- la buona salute fisica ed emotiva.
Conclusioni
Nello svolgere il mio tirocinio come pedagogista, a seconda dei casi che si
sono presentati, ho potuto applicare il metodo non direttivo Rogersiano
integrato con altri strumenti, metodologie, tecniche e strategie proprie della
pedagogia , psicologia, filosofia, sociologia e antropologia. Alcuni esempi: il
metodo comportamentale, il metodo cognitivo, la PNL, l’AT, ecc. Ho trovato
molto interessante e stimolante lavorare in équipe con specializzande
ginecologhe ed ho potuto constatare, grazie ai consensi raccolti tra pazienti e
colleghi, quanto sia utile la figura del pedagogista all’intero di una
struttura ospedaliera nel reparto di ginecologia e ostetricia. Ciò perché sono
tante le problematiche legate alle varie fasi della vita di una donna che
possono essere affrontate e superate con la pedagogia.
Vista l’esistenza della figura del pedagogista clinico, spero che venga
presto riconosciuta all’interno delle nostre strutture ospedaliere, soprattutto,
nei reparti in cui è maggiormente richiesta, come ad esempio quello di
ginecologia ed ostetricia.
Posso ritenermi, dunque, soddisfatta per l’esperienza fatta e il risultato
raggiunto.
Data 14-04-’10
Firma tirocinante specializzanda pedagogista
Dott.ssa Vittoria Salice
[1] Per una pedagogia delle emozioni,
M.G. Contini.
[2] Per una pedagogia delle
emozioni, M.G. Contini.
[3] Per una pedagogia delle
emozioni, M.G. Contini.
[4] La pragmatica della comunicazione, P. Watzlawich.
[5] Elementi di Psicologia sociale, F. Emiliani, B. Zani.
[6][6]
Psicopatologia della vita quotidiana L.Pinkus
[7] La terapia centrata sul cliente,
C.Rogers
[8] l’esistere pedagogico, ragioni e limiti di una pedagogia, come scienza
fenomenologicamente fondata ,P. Bertolini
[9] La terapia centrata sul cliente, C.Rogers
[10] Seminario: Fenomenologia husserliana, D. Demetrio e Zanarini
ricercatori, Università di Bologna.
[11] Lei vede ma non osserva…, C. Ziglio
[12] l’esistere pedagogico, ragioni e limiti di una pedagogia, come scienza
fenomenologicamente fondata, P. Bertolini
[14] l’esistere pedagogico, ragioni e limiti di una pedagogia, come scienza
fenomenologicamente fondata, P. Bertolini
[17] Il sesso e i rapporti amorosi, William Masters e Virginia Johnson
[19] psicologia dell'educazione, C. Pontecorvo
[20] Sociologia della
famiglia, C. Saraceno
[21] lo spazio dell’incontro M.Callari Galli e
antropologia psicologica, G.Harrison
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