martedì 10 dicembre 2019

tipi di mobbing e burnout e stress da lavoro correlato

Mobbing orizzontale. Si parla di Mobbing orizzontale, quando le azioni vessatorie sono compiute da colleghi di pari grado rispetto alla vittima. In questo caso, si ricorre al Mobbing per impedire ad uno o più colleghi di fare carriera, e dunque, di avanzare sulla scala gerarchica.

• Mobbing verticale. Il Mobbing verticale, in genere, è posto in essere da colleghi di grado superiore rispetto alla vittima. Esistono, però, anche casi in cui esso è attuato da colleghi di grado inferiore, od anche da altro personale facente parte della stessa struttura lavorativa. In genere, i sottoposti compiono Mobbing sia per mantenere i piccoli privilegi di cui godono, sia perché, temendo la rivalsa del capo-mobber, si comportano, nei confronti della vittima, con la sua stessa aggressività, diventando, a loro, volta, mobber. Questi sottoposti, che partecipano tacitamente alle azioni vessatorie di un capo-mobber nei confronti di un suo subordinato, sono indicati con il termine di co-mobber o side mobber. Una caratteristica tipica del Mobbing verticale, è sia la sua efficacia quanto il suo passare inosservato. Ciò avviene, perché il capo, grazie al potere derivatogli dalla sua posizione, può mascherare le persecuzioni psicologiche dietro l’aspetto di misure disciplinari necessarie.

• Mobbing trasversale. Il Mobbing trasversale è una forma un po’ più complessa di vessazione psicologica, perché riguarda anche persone che si trovano al di fuori dell’ambito lavorativo. In questo caso, il mobber, nell’intento di creare “terra bruciata” intorno alla sua vittima designata, crea alleanze anche in ambienti esterni all’ufficio, dove il mobbizzato potrebbe cercare appoggio o farsi apprezzare. Il dipendente, dunque, sarà circondato dall’indifferenza, e di colpo, si accorgerà che nessuno gli rivolge neanche più il saluto.

• Bossing. Si parla di Bossing, quando il Mobbing è attuato dal diretto superiore od anche dai vertici dell’azienda. In questo caso, è creata un’apposita strategia, messa in atto per allontanare deliberatamente un certo dipendente dal proprio posto di lavoro. Fa parte di questa tattica, l’estromettere poco per volta il lavoratore da ogni possibilità d’avanzamento e di crescita nel lavoro. In questo caso, la vittima potrà anche rimanere in servizio fino alla fine del suo contratto lavorativo, poiché, l’obiettivo fondamentale di chi compie Bossing, consiste nell’aver reso il dipendente impotente, in modo tale che altri, ma non lui, possano andare avanti.

• Mobbing strategico. Il Mobbing strategico si può verificare, perlopiù, all’interno delle grandi Imprese, delle Industrie, nelle Aziende e nei grandi Enti. Si tratta, dunque, di luoghi di lavoro, dove per il fatto stesso che vi sono numerosi dipendenti con gradi e posizioni diverse, esistono condizioni d’instabilità. Tale instabilità è generata dalla necessità di continui cambiamenti, che possono portare ad una riduzione e/o ad una riqualificazione del personale, od anche dal fatto che vi sono troppi dirigenti in posizione intermedia che devono avanzare di grado. In questo caso, la strategia di estromissione è intenzionale, siamo cioè alla presenza di un tipo di Mobbing voluto e pilotato, messo in atto per allontanare definitivamente dal mondo del lavoro dipendenti considerati non più utili. In genere, si tratta di dipendenti che lavorano in reparti da chiudere, di soggetti da riqualificare e ritenuti costosi per la nuova organizzazione, o ancora, può trattarsi di lavoratori indesiderati, semplicemente perché, nella strategia prefissata, sono altri che devono fare carriera.

• Mobbing relazionale. Il Mobbing relazionale concerne i rapporti interpersonali. Esso può essere di due diversi tipi: cognitivo o emozionale. Si parla di Mobbing relazionale di tipo cognitivo, quando la vessazione psicologica è inerente in particolar modo, alle strategie di potere. In questo caso è seguito il motto: “Dividere per imporre meglio il proprio potere”. Si assiste, così, alla creazione di situazioni atte a provocare invidie e gelosie, con lo scopo preciso di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, per poi poterne squalificare alcuni e destabilizzare altri. Si tratta di una procedura abbastanza complessa, che è posta in atto rifiutando o travisando la comunicazione diretta, mentendo, ed inviando “doppi messaggi”, in modo tale che la vittima, qualsiasi cosa faccia, sbagli comunque. Si parla, invece, di Mobbing relazionale di tipo emozionale, quando l’atto di prevaricazione è legato agli aspetti della personalità della vittima. Esso è provocato da sentimenti quali l’invidia, la gelosia, la rivalsa, il timore di essere superato dal dipendente, o ancora da differenze di genere, di cultura o di classe. Lo scopo preciso del mobber, è, in questo caso, quello di rendere la sua vittima inaffidabile, al fine di estromettere il soggetto dal processo lavorativo e bloccargli la carriera.

• Mobbing diretto e mobbing indiretto. Si parla di Mobbing diretto, quando le azioni vessatorie sono indirizzate specificatamente verso la vittima. Si parla invece, di Mobbing indiretto, quando il comportamento persecutorio è rivolto, non direttamente alla vittima, bensì alla sua famiglia o agli amici.

• Mobbing leggero. Il Mobbing leggero, si verifica, quando il mobber agisce attraverso gesti e comportamenti sottili e silenziosi, difficilmente dimostrabili. Azioni di questo tipo, sono per esempio, quelle finalizzate all'isolamento progressivo della vittima e quindi alla sua esclusione dal gruppo dei colleghi, al fine di farla sentire sola e indifesa, in un ambiente a lei completamente ostile.

• Mobbing pesante. Il Mobbing pesante, si verifica, quando le azioni mobbizzanti oltre a risultare evidenti, sono anche violente. Esse si manifestano attraverso aggressioni verbali o fisiche, urla, riferimenti alla sfera privata o sessuale, alle idee religiose o politiche, risultando, dunque, estremamente invasive.

Vi sono anche “forme più attenuate di Mobbing, c.d. Straining”.

In questo caso si tratta di “azioni ostili o discriminatorie sporadiche, prive del requisito della continuità, i cui effetti sono continui nel tempo”.

Tra esse rientrano:

  • “la privazione immotivata degli strumenti di lavoro;
  • l’assegnazione di mansioni incompatibili con la situazione personale del lavoratore;
  • il trasferimento ingiustificato in una sede disagiata;
  • la svalutazione dell’operato del lavoratore”.  
  • legato ad un conflitto interpersonale, dove il processo vessatorio si instaura a partire dall’escalation di un conflitto interpersonale non efficacemente risolto e si contrappone al mobbing predatorio, che invece riguarda quelle vessazioni attuate nei casi la vittima non abbia fatto niente per provocarle e/o giustificare l’accanimento dei comportamenti negativi verso di sé, trovandosi accidentalmente in una posizione di svantaggio (Einarsen, 1999);
  • ­doppio mobbing, si tratta di un fenomeno che Ege (1998) ha riscontrato frequentemente in Italia e che non trova riscontro nella ricerca europea. Il doppio mobbing delinea quella situazione nella quale la vittima perde il sostegno della famiglia, il quale comportamento si aggiunge alle vessazioni subite al lavoro;
  • individuale, dove è il singolo lavoratore ad essere oggetto di vessazioni, che si contrappone al collettivo, dove ad essere vittimizzati sono gruppi di lavoratori (Giannini, Di Fabio e Gepponi, 2004);

Il burnout è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate (possiamo considerarlo come un tipo di stress lavorativo). Generalmente nasce da un deterioramento che influenza valori, dignità, spirito e volontà delle persone colpite.

È una malattia in costante e graduale aumento tra i lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata, ciò non significa che qualcosa non funziona più nelle persone, bensì che si sono verificati cambiamenti sostanziali e significativi sia nei posti di lavoro sia nel modo in cui si lavora.

Storia del burnout

Il termine burnout in italiano si può tradurre come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, è apparso la prima volta nel mondo dello sport, nel 1930, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti.

Il termine è stato poi ripreso dalla psichiatra americana C. Maslach nel 1975, la quale ha utilizzato questo termine per definire una sindrome i cui sintomi evidenziano una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.

La Maslach definisce il burnout come una perdita di interesse vissuta dall’operatore verso le persone con le quali svolge la propria attività (pazienti, assistiti, clienti, utenti, ecc), una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in persone che, per professione, sono a contatto e si prendono cura degli altri.

Il contatto costante con le persone e con le loro esigenze, l’essere a disposizione delle molteplici richieste e necessità, sono alcune delle caratteristiche comuni a tutte quelle attività che hanno obiettivo professionale il benessere delle persone e la risoluzione dei loro problemi, come nel caso di medici, psicologi, infermieri, insegnanti, ecc..

Negli anni nella sindrome del Burnout sono state incluse altre categorie di lavoratori, tutti quei professionisti o lavoratori che hanno un contatto frequente con un pubblico, con un’utenza, quindi non più solo gli “helper” …, possono quindi far parte di tali categorie tanti liberi professionisti o dipendenti: l’avvocato, il ristoratore, il politico, l’impiegato delle poste, il manager, la centralinista, la segretaria ecc..

Il burnout viene considerato, da molti studiosi, non solo un sintomo di sofferenza individuale legata al lavoro (stress lavorativo), ma anche come un problema di natura sociale provocato da dinamiche sia sociali, sia, politiche, sia economiche; la sindrome può infatti interessare il singolo lavoratore, lo staff nel suo insieme e anche istituzioni (per esempio l’organizzazione dei soccorsi in situazioni di crisi come i Vigile del Fuoco, i Militari, le Forze dell’Ordine ecc.).

Le caratteristiche del burnout

La sindrome del burnout ha maggiore probabilità di svilupparsi in situazioni di forte divario tra la natura del lavoro e la natura della persona che svolge quel lavoro.

Molti contesti lavorativi richiedono una forte dedizione ed un notevole impegno, sia in termini economici sia in termini psicologici e, in certi casi, i valori personali sono messi in primo piano a scapito di quelli lavorativi. Le richieste quotidiane rivendicate dal lavoro, dalla famiglia e da tutto il resto consumano l’energia e l’entusiasmo del lavoratore.

Quando poi successo, conquista ed obiettivi (spesso troppo ambiziosi) sono difficili da conseguire, molte persone perdono la dedizione data a quel lavoro, cercano di tenersi a distanza pur di non farsi coinvolgere e, spesso, diventano cinici.

Il burnout ha manifestazioni specifiche:

    • Un deterioramento progressivo dell’impegno nei confronti del lavoro. Un lavoro inizialmente importante, ricco di prospettive ed affascinante diventa sgradevole, insoddisfacente e demotivante.
    • Un deterioramento delle emozioni. Sentimenti positivi come per esempio l’entusiasmo, motivazione e il piacere svaniscono per essere sostituiti dalla rabbia, dall’ansia, dalla depressione.
    • Un problema di adattamento tra la persona e il lavoro. I singoli individui percepiscono questo squilibrio come una crisi personale, mentre in realtà è il posto di lavoro a presentare problemi.

In sintesi le dimensioni tipiche del burnout sono:

    • Esaurimento. E’ la prima reazione allo stress prodotto da eccessive richieste di lavoro o da cambiamenti significativi. Quando una persona sente di aver oltrepassato il limite massimo sia a livello emozionale sia fisico: si sente prosciugata, incapace di rilassarsi e di recuperare, manca energia per affrontare nuovi progetti, nuove persone, nuove sfide.
    • Cinismo. Quando una persona assume un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti del lavoro e delle persone che incontra sul lavoro, diminuisce sino a ridurre al minimo o ad azzerare il propriocoinvolgimento emotivo nel lavoro e può abbandonare persino i propri ideali/valori. Tali reazioni rappresentano il tentativo di proteggere se stessi dall’esaurimento e dalla delusione, si pensa di essere più al sicuro adottando un atteggiamento di indifferenza, specialmente quando il futuro è  incerto, oppure si preferisce ritenere che le cose non funzioneranno più come prima, piuttosto che vedere svanire in seguito le proprie speranze. Un atteggiamento così negativo può compromettere seriamente il  benessere di una persona, il suo equilibrio psico-fisico e la sua capacità di lavorare.
    • Inefficienza. Quando in una persona cresce la sensazione di inadeguatezza, qualsiasi progetto nuovo viene vissuto come opprimente. Si ha l’impressione che il mondo trami contro ogni tentativo di fare progressi, e quel poco che si riesce a realizzare, appare insignificante, si perde la fiducia nelle proprie capacità e in sé stessi.

Le cause del burnout

In genere (ma superficialmente) si ritiene che il burnout sia in primo luogo un problema dell’individuo, le persone manifesterebbero tale disturbo a causa di difetti/caratteristiche del loro carattere, del loro comportamento o nella loro capacità lavorativa (vedi per esempio competenze). In base a questo punto di vista, sono gli individui a rappresentare il problema, e la soluzione sta nel lavorare su di loro o nel sostituirli.

Vari studi hanno dimostrato invece che il burnout non è un problema dell’individuo in sé, ma del contesto sociale nel quale opera. Il lavoro (contesto, contenuto, struttura, ecc) modella il modo in cui le persone interagiscono tra di loro e il modo in cui ricoprono la propria mansione. Quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout aumenta.

La difficoltà di misurarsi con le proprie emozioni e di conseguenza il non riconoscere il problema con conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita sono manifestazioni ben evidenti.

Inoltre il burnout non è affatto un problema che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia” contagiosa che si propaga in maniera altalenante dall’utenza all’èquipe, da un membro dell’èquipe all’altro e dall’èquipe agli utenti e può riguardare quindi l’intera organizzazione.

Alcune delle cause specifiche sono:

    • sovraccarico di lavoro
    • mancanza di controllo
    • gratificazioni insufficienti
    • crollo del senso di appartenenza
    • assenza di equità
    • valori contrastanti
    • scarsa remunerazione.

Maslach e Leiter (1997) hanno elaborato un nuovo modello interpretativo che si focalizza principalmente sul grado di adattamento/disadattamento tra persona e lavoro. Secondo questi autori la sindrome del burnout ha maggiori probabilità di svilupparsi quando è presente una forte discordanza tra la natura del lavoro e la natura delle persone che svolgono tale lavoro.

Queste discrepanze sono da considerarsi come i più importanti antecedenti del burnout e sono sperimentabili in sei ambiti della vita organizzativa: carico di lavoro, controllo, ricompense, senso comunitario, equità, valori. Maslach e Leiter (1997) hanno ridefinito il burnout come una erosione dell’impegno nel lavoro. Quest’ultimo, secondo gli autori, sarebbe caratterizzato da tre fattori (energia, coinvolgimento ed efficacia) che rappresentano i poli opposti delle dimensioni del burnout: impegno e burnout non sono altro che le due estremità opposte di un continuum.

Fattori che possono determinare la sindrome

Fattori individuali

Caratteristiche di personalità

  • introversione (incapacità di lavorare in équipe)
  • tendenza a porsi obiettivi irrealistici
  • adottare uno stile di vita iperattivo
  • personalità autoritaria
  • abnegazione al lavoro, inteso come sostituzione della vita sociale
  • concetto di se stessi come indispensabili
  • motivazione ed aspettative professionali

Inoltre esiste un tratto di personalità che è correlato alla sindrome (il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri, puntuale, frettoloso, aggressivo )

Fattori socio-demografici

    • differenza di genere (donne più predisposte degli uomini)
    • età (primi anni si carriera si è più predisposti)
    • stato civile (persone senza un compagno stabile più predisposte)

Struttura organizzativa

Struttura di ruolo: distribuzione dei compiti e delle funzioni all’interno di una organizzazione

Le tensioni sono generate da:

    • Ambiguità di ruolo: insufficienza di informazioni in relazione ad una determinata posizione
    • conflitto di ruolo:  esistenza di richieste che l’operatore ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale
    • Sovraccarico:  quando all’individuo viene assegnato un eccessivo carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità, che non gli permettono di portare avanti una buona prestazione lavorativa
    • Mancanza di stimolazione: si riferisce alla monotonia dell’attività lavorativa
    • Struttura di potere: riguarda il modo in cui si stabiliscono i processi decisionali e di controllo nell’ambito lavorativo, ovvero la possibilità dell’individuo di partecipare alla presa di decisione
    • Turnazione Lavorativa: La turnazione e l’orario lavorativo possono favorire l’insorgenza della sindrome; questo avviene più frequentemente nel personale infermieristico, essendo questo più soggetto ad un dispendio di energie psicofisiche, rispetto al personale medico.
    • Retribuzione inadeguata

La sintomatologia

La sindrome è caratterizzata da manifestazioni quali nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità delle persone, sia tra di loro sia verso terzi; si distingue dallo stress, (concausa del burnout), così come si distingue dalla nevrosi, in quanto non disturbo della personalità ma del ruolo lavorativo. Dal punto di vista clinico (psicopatologico) i sintomi del burnout sono molteplici, richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo, e sottolineano la particolare tendenza alla somatizzazione e allo sviluppodi disturbi comportamentali.

Il soggetto colpito da burnout manifesta:

    • Sintomi aspecifici (stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, irrequietezza, insonnia)
    • Sintomi somatici: insorgenza di patologie varie(ulcera, cefalea, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.)
    • Sintomi psicologici: rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, negativismo, indifferenza, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, isolamento, sensazione di immobilismo, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi.

Tale situazione di disagio molto spesso porta il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo.

Da un punto di vista psicopatologico la sindrome del burnout si differenzia dalla sindrome da disadattamento (sociale o lavorativo o familiare o relazionale), si verifica all’interno del mondo emozionale della persona ed è spesso scatenata da una vicenda esterna.

Per evitare che la sindrome del burnout, deteriori sia la vita lavorativa, sia la vita privata della persona, bisogna intervenire con efficacia.

SEGNI E SINTOMI DELLO STRESS LAVORATIVO

  • Alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno
  • sensazione di fallimento
  • rabbia e risentimento
  • senso di colpa e disistima
  • scoraggiamento ed indifferenza
  • negativismo
  • isolamento e ritiro (disinvestimento)
  • senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno
  • guardare frequentemente l’orologio
  • notevole affaticamento dopo il lavoro
  • perdita di sentimenti positivi verso gli utenti
  • rimandare i contatti con gli utenti, respingere le telefonate dei clienti e le visite in ufficio
  • avere un modello stereotipato degli utenti
  • incapacità di concentrarsi o di ascoltare ciò che l’utente sta dicendo
  • sensazione di immobilismo
  • cinismo verso gli utenti; atteggiamento colpevolizzante nei loro confronti
  • seguire in modo crescente procedure rigidamente standardizzate
  • problemi d’insonnia
  • evitare discussioni di lavoro con i colleghi
  • preoccupazione per sé
  • maggiore approvazione di misure di controllo del comportamento come i tranquillanti
  • frequenti raffreddori ed influenze
  • frequenti mal di testa e disturbi gastrointestinali
  • rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento
  • sospetto e paranoia
  • eccessivo uso di farmaci
  • conflitti coniugali e famigliari
  • alto assenteismo

Sintomi fisici

  • stanchezza
  • necessità di dormire
  • irritabilità
  • dolore alla schiena
  • cefalea
  • stanchezza agli arti inferiori
  • dolori viscerali
  • diarrea
  • inappetenza
  • nausea
  • vertigini
  • dolori al petto
  • alterazioni circadiane
  • crisi di affanno
  • crisi di pianto

Sintomi psichici

  • stato di costante tensione
  • irritabilità
  • cinismo
  • depersonalizzazione
  • senso di frustrazione
  • senso di fallimento
  • ridotta produttività
  • ridotto interesse verso il proprio lavoro
  • reazioni negative verso familiari e colleghi
  • apatia
  • demoralizzazione
  • disimpegno sul lavoro
  • distacco emotivo

Cosa fare praticamente

Riconoscere la sindrome del burnout non è così facile, spesso si tende a ricondurre il tutto come un problema dell’individuo e non del contesto lavorativo nel suo insieme.

Le organizzazioni quasi sempre ignorano questo problema e questo rappresenta un errore molto pericoloso, in quanto il burnout può incidere pesantemente sull’economia dell’intera organizzazione.

La risoluzione del fenomeno burnout dovrebbe essere affrontata sia a livello organizzativo che a livello individuale, l’organizzazione che si assume la responsabilità di affrontare il burnout, lo può gestire in modo garantirsi il proprio personale produttivo nel tempo.

Un’organizzazione che agisce a sostegno dell’impegno nel lavoro è un’organizzazione forte.

L’aiuto maggiormente efficace per la singola persona è sicuramente un intervento da parte di un professionista competente in materia che possa fornire strumenti cognitivi, favorire una maggiore comprensione/consapevolezza del problema, aiutare a comprendere le relazioni esistenti tra il comportamento personale, il proprio vissuto ed il contesto di vita e lavorativo, modificare il proprio comportamento e i propri atteggiamenti in coerenza con quanto acquisito.

Ma tali interventi sul singolo non sono semplici: il singolo può avere difficoltà a rivolgersi ad uno psicologo per farsi aiutare, ciò a causa sia di pregiudizi verso la categoria di professionisti che si occupa di tali problematiche, sia perché spesso non è in grado di chiedere aiuto e/o si imbatte in altre categorie di professionisti non competenti in tali materie. Purtroppo ancor oggi molti preferiscono pensare di avere un problema organico invece di accettare l’idea di poter avere un problema psicologico anche se causato da fattori esterni.

Interventi per fermare/ affrontare/superare/prevenire il burnout

In letteratura ci sono molte strategie per la prevenzione del burnout. Anche la Maslach indica la necessità di focalizzarsi sia sull’individuo sia sul luogo di lavoro.

Oggi il burnout rappresenta un rischio troppo elevato per ogni contesto organizzativo: i costi economici, la produttività ridotta, i problemi di salute e il generale declino della qualità della vita personale o lavorativa (tutte possibili conseguenze di questa sindrome) sono un prezzo troppo alto da pagare.

E’ dunque consigliabile l’adozione di un approccio preventivo per affrontare il problema burnout.

Il modo migliore per prevenire il burnout è sicuramente puntare sulla promozione dell’impegno nel lavoro. Ciò non consiste semplicemente nel ridurre gli aspetti negativi presenti sul posto di lavoro, ma anche nel tentare di aumentare quelli positivi. Le strategie per aumentare l’impegno sono quelle che accrescono l’energia, il coinvolgimento e l’efficacia, sostenendo i lavoratori, permettendo loro di affermarsi tra i loro colleghi, lasciando loro dell’autonomia nelle decisioni da prendere ed offrendo loro un’organizzazione del lavoro chiara e coerente, ecc.

Esempi di azioni :

Azioni possibili a livello individuale:

  • porsi degli obiettivi realistici
  • variare la routine
  • fare delle pause
  • prevenire il coinvolgimento eccessivo nei problemi della vittima
  • favorire il benessere psicologico e bilanciare frustrazione e gratificazione
  • applicare tecniche di rilassamento fisico e mentale
  • separare lavoro e vita privata, per evitare la propagazione del malessere nella vita familiare

Azioni possibili a livello sociale:

  • rafforzamento della relazione con amici e familiari allo scopo di compensare i sentimenti di fallimento e frustrazione legati alla vita lavorativa,volontariato,ecc.
  • rafforzamento delle relazioni positive con altri soccorritori da cui possono derivare riscontri positivi,sostegno,utili confronti.

Azioni possibili a livello istituzionale:

  • incontri con il personale dei diversi livelli per fluidificare i rapporti e risolvere le conflittualità
  • riorganizzazione del lavoro per renderlo più vario ed interessante
  • promuovere il confronto tra le aspettative delle vittime e gli obiettivi del servizio, per evitare equivoci.

Altri esempi … (.. dimensioni su cui influire per prevenire lo stress..)

  • Caratteristiche dell’ambiente nel quale il lavoro si svolge
  • Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative
  • Riconoscimento e valorizzazione delle competenze
  • Comunicazione intraorganizzativa circolare
  • Circolazione delle informazioni
  • Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali
  • Clima relazionale franco e collaborativo
  • Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi
  • Giustizia organizzativa
  • Apertura all’innovazione
  • Stress e conflittualità.

A livello organizzativo sono necessarie strategie volte a promuovere l’impegno professionale e l’armonia tra operatore e posto di lavoro, di seguito alcuni esempi:

  • condividere la gestione del carico di lavoro con il gruppo
  • creare e alimentare il senso di squadra
  • partecipare attivamente al processo decisionale: personalizzazione dello stile, adattamento degli orari
  • comunicare: chiarezza dei messaggi; obiettivi realistici e credibili
  • riconoscere una ricchezza nelle diversità: cogliere le potenzialità positive nell’incontro con alunni, operatori e colleghi
  • crescere professionalmente: formazione e cultura dell’approfondimento.
Lo stress lavoro-correlato (oppure anche stress lavoro correlato) può essere definito come la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste dell'ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste[1], portando inevitabilmente nel medio-lungo termine ad un vasto spettro di sintomi o disturbi che vanno dal mal di testa, ai disturbi gastrointestinali e/o patologie del sistema nervoso come disturbi del sonnonevrasteniasindrome da fatica cronica fino a casi di burn-out o collasso nervoso[2].

Nessun commento:

Posta un commento