lunedì 18 novembre 2019

filiazione

Adozione del configlio

Descrizione

L'adozione del configlio o figlio sociale adozione in casi particolari è un istituto giuridico che consente al figlio di essere adottato dal partner del proprio genitore. 

 i diritti dei figli sono gli stessi, che siano essi nati fuori o dentro il matrimonio. I genitori debbono, infatti, provvedere al loro mantenimento (così come a dar loro assistenza morale, cura e istruzione) in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la capacità di lavoro professionale o casalingo sia che siano essi sposati, conviventi o separati.

la legge individua delle situazioni di cui il giudice deve tener conto nel determinare la misura dell’assegno di mantenimento per i figli quali:

  1. Le esigenze attuali del figlio: ossia le concrete necessità quotidiane e prevedibili del minore, gli esborsi quotidiani necessari per prendersene cura (cibo, vestiario, cure sanitarie, ambiente domestico, ecc);
  2. Il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori: qui occorrerà guardare allo stile di vita che, prima della (eventuale) separazione, i genitori saranno stati in grado di offrire al bambino con riguardo alle abitudini quotidiane; anche dopo la separazione, infatti, l’obiettivo resta quello di garantire ai figli un tenore di vita il più vicino possibile a quello avuto in precedenza.
  3. tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore. E’ questo un fattore che non si può stabilire in via meramente ipotetica, visto che il lettore ancora convive con la compagna. Potrebbe essere ad esempio che i conviventi siano disposti ad una soluzione di affidamento alternato , che prevede che il bambino viva per tempi paritari nella casa del papà e della mamma; la legge riconosce ai minori, infatti, il pieno diritto di mantenere, con entrambi i genitori e i parenti di ciascun ramo genitoriale, rapporti equilibrati e continuativi.
  4. Le risorse economiche di entrambi i genitori: e nel caso in esame, il lettore sembra essere – almeno allo stato attuale – l’unico soggetto in grado di portare reddito alla famiglia.
  5. 5. La valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore: la legge, cioè, attribuisce un valore economico (com’è giusto che sia) anche all’attività domestica dei genitori, come pure a quella di accudimento della prole. Attività queste solitamente svolta dalla donna e, che in mancanza, dovrebbero essere demandate a terzi soggetti con la necessità gli esborsi ad esse relativi (basti pensare ai costi di una colf, una baby sitter o una scuola privata).
  6. richieste di mantenimento formulate da uno dei genitori, portano ad a quantificazione “di massima” di un assegno pari ad un quarto del presunto reddito del genitore obbligato (se la casa familiare viene assegnata al genitore che richiede l’assegno) ovvero pari ad un terzo (nel caso, più raro, in cui l’altro genitore non chieda o non ottenga l’assegnazione della casa). Così, ad esempio, se al genitore collocatario della prole e assegnatario della casa coniugale (quale sicuramente la compagna del lettore) non venga riconosciuto alcun assegno di mantenimento, la liquidazione del contributo al mantenimento del bambino potrà prevedere, una quantificazione dell’assegno di un quarto del reddito mensile del padre. Ciò naturalmente, sempre che non risulti l’esistenza di ulteriori fonti di reddito (anche” in nero”) da ambo le parti e tenuto conto della situazione economica complessiva.

    A tale importo andrà aggiunto l’obbligo di contribuire nella misura del 50% al pagamento delle spese straordinarie; spese queste costituite dagli esborsi legati a necessità degli figli occasionali o imprevedibili, non quantificabili in via preventiva, (ad esempio le spese mediche relative all’acquisto di un apparecchio per i denti o degli occhiali da vista, ecc)”.

    La sorte della casa familiare in caso di separazione dei conviventi

    Così come per il mantenimento, anche l’assegnazione della casa familiare (ciò il diritto di continuare ad abitarvi) ad uno solo dei genitori (quello ritenuto più idoneo a vivere stabilmente con i figli) è un fattore indipendente:

    • dal fatto che la coppia sia sposata o meno,
    • come pure dal titolo di proprietà.

L’assegnazione disposta dal giudice può avere ad oggetto solo l’abitazione (insieme ad oggetti e arredi) nella quale la famiglia ha vissuto prima della separazione; ciò allo scopo di garantire stabilità alla prole, non allontanandola dal proprio habitat domestico e dalle consuetudini di vita avute durante la coabitazione della famiglia unita.

Ciò significa che se, ipoteticamente, il lettore non convivesse con la propria compagna, in caso di separazione egli dovrebbe senz’altro provvedere al mantenimento della figlio ma non rischierebbe in alcun modo che il giudice possa assegnare la casa paterna alla madre del bambino.

Vediamo, comunque, come la legge disciplina i casi in cui l’immobile sia concesso in comodato d’uso per soddisfare le esigenze abitative della famiglia (come sembra di capire che attualmente sia).

In tal caso, come ha chiarito di recente la Cassazione [4], tali esigenze non possono intendersi cessate con la separazione; quando vi sono figli, infatti, resta ferma la necessità di soddisfare le loro necessità abitative. I giudici supremi hanno perciò affermato che, in questo caso, la lunga durata e la stabilità che caratterizza le esigenze abitative di un nucleo familiare escludono che si possa applicare la disciplina sul comodato precario (che comporta il diritto del comodante di chiedere la immediata restituzione del bene in qualsiasi momento e senza necessità di uno specifico motivo).

In pratica, anche se tra padre e figlio non è stato stabilito un termine di durata del contratto di comodato, se esso ha ad oggetto un immobile destinato alle esigenze abitative della famiglia, allora va inteso come un comodato di lunga durata, soggetto alle regole del comodato tradizionale.

Ciò significa, all’atto pratico, che il padre del lettore potrà chiedere il rilascio dell’immobile solo quando:

– cessino le esigenze abitative della famiglia (non quindi con la separazione), ma col raggiungimento della autosufficienza economica del nipotino;

– quando sorga un suo bisogno urgente e imprevisto di riavere la casa (situazione difficile da ipotizzare per chi come  lui risulti proprietario di diversi altri immobili!).


Da quanto detto si comprende che anche se il lettore dovesse acquistare la casa del padre, ciò non farebbe venire meno la possibilità che la sua compagna ne ottenga l’assegnazione in caso di separazione. Se, infatti, l’immobile è di proprietà esclusiva di una delle parti, il giudice, potrà comunque assegnarne il godimento al genitore presso cui abbia deciso di collocare i minori (di solito la mamma, specie se i minori sono in tenera età). In tal caso, tuttavia, nel disporre il contributo al mantenimento in favore del figlio, il tribunale potrà tenere conto del titolo di proprietà (della parte estromessa dal godimento del bene) e, quindi, del valore economico dell’assegnazione, eventualmente stabilendo un assegno di mantenimento di minor importo rispetto a quello astrattamente prevedibile.

Separazione tra conviventi: i possibili accordi

Ciò detto in linea generale, vediamo quali strade si potrebbero prospettare al lettore in caso di separazione dalla compagna, al di fuori di quella (contenziosa) in cui sia il giudice a decidere la misura dell’assegno per il bambino e la sorte della casa familiare.

La coppia potrebbe accordarsi in merito al mantenimento e all’affidamento del piccolo e al godimento della casa con maggiore libertà, sottoponendo al giudice le condizioni concordate per ottenerne la semplice approvazione (in termini giuridici “omologazione”). In tale ipotesi , infatti, la legge prevede che “il giudice prende atto, se non contrario all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”.

In altre parole, i conviventi non avrebbero l’obbligo di esibire prove documentali dei redditi o di altro genere al giudice, ma solo di attestare al magistrato di aver trovato una soluzione conforme e comunque non palesemente dannosa per l’interesse morale e materiale del bambino (lo sarebbe, ad esempio, quella in cui i genitori si accordassero affinché la mamma lasci la casa, per andare a vivere con il piccolo in una abitazione assolutamente inadeguata alle sue esigenze, magari perché sottodimensionata o priva di ogni impianto a norma e di qualsivoglia tipo di confort).

Ciò detto, e parlando sempre in astratto, (visto che comunque il quesito concerne la mera eventualità della separazione tra i conviventi), è possibile ipotizzare delle possibili soluzioni in merito alla casa (specie per il caso in cui il lettore ne divenisse proprietario); soluzioni che il giudice potrebbe autorizzare ove le ritenga rispondenti agli interessi del bambino; in mancanza di accordo, invece, egli non potrà che decidere riguardo alla casa familiare di attuale abitazione e ai beni in essa contenuti, senza poter considerare l’utilizzo di diversi immobili.

Ad esempio la coppia può accordarsi:

  • per la cosiddetta assegnazione parziale della casa, attraverso la sua suddivisione in due unità abitative distinte e separate. Questa forma di assegnazione è da escludersi in due casi: a) se le dimensioni o la struttura non ne consentano la divisione; b) quando tra la coppia vi sia una forte conflittualità;
  • per l’affido alternato in casa: con esso il bambino rimane nella casa familiare dove, invece, sono i genitori a darsi il cambio. Ciò, per consentire al bambino di rimanere nel proprio habitat domestico senza doversi spostare. Questa soluzione è più facilmente praticabile quando ciascun genitore possa contare sull’esistenza di un altro immobile o dell’ospitalità di un altro familiare (come ad esempio quello dei propri genitori);
  • l’utilizzo di un’altra casa di cui la coppia abbia la disponibilità: ad esempio, nel caso in esame, il padre del lettore potrebbe mettere a disposizione del nipotino (e della mamma) un appartamento diverso (magari più piccolo dall’attuale).

Il mantenimento dei figli se aumenta il reddito

Per quanto concerne invece il mantenimento, ove gli  introiti  del lettore dovessero aumentare (in ragione della cessione di qualche immobile produttivo di reddito da parte del padre) è naturale che la sua compagna potrà chiedere un aumento del contributo al mantenimento per il figlio poiché ciò significherebbe che il padre potrebbe essere in grado di dare al piccolo maggiori risorse e sostegno.

Va comunque tenuto presente che la legge consente, come soluzione alternativa o integrativa dell’assegno di mantenimento, la possibilità di trasferire ai figli anche la proprietà di beni.

E’ altrettanto vero che pure il lettore avrebbe diritto a chiedere una riduzione del contributo da versare al figlio qualora l’attuale compagna dovesse trovare un’occupazione. Il contributo, infatti, è sempre proporzionato ai redditi e alle sostanze di ciascun genitore.

In ogni caso, tenuto conto che, nel caso illustrato, l’interesse sarebbe soprattutto quello di garantire il benessere e una serena crescita del bambino, mai come in questo caso è bene pensare a soluzioni che sappiano soppesare tutti gli interessi in gioco: l’interesse della piccolo a stare sia con la mamma che col papà, a ricevere cure adeguate da entrambi, a coltivare e conservare i rapporti con i nonni e gli altri parenti.

Guardare in questa direzione sarà molto più facile e naturale una volta che il bambino sarà nato, senza concentrarsi solo ed esclusivamente su se stessi. Solo con la pratica quotidiana sarà possibile valutare le effettive necessità della nuova famiglia, constatare se vi sia il supporto (da ambo le parti) di altri familiari (nella specie i nonni) e, di conseguenza, guidare la coppia alle soluzioni più adeguate al loro caso se, e solo se, la attuale convivenza della coppia, non dovesse proseguire.






Il mantenimento dei figli maggiorenni non autonomi economicamente dopo la separazione o il divorzio
Il mantenimento dei figli ex art. 147 cc e 155 cc, derivante dalla separazione o dal divorzio dei coniugi, continua anche dopo la maggiore età dei figli e dura fino a quando i figli non hanno raggiunto l’indipendenza economica, l’obbligo di mantenimento non viene meno per il protrarsi degli studi, per i regali ricevuti da altri parenti o dalla nuova convivenza dell’altro genitore.



Gli effetti della separazione e del divorzio

La separazione e il divorzio dei coniugi determinano una serie di conseguenze, non solo personali, ma anche (soprattutto) economiche, del resto, è inutile negarlo, dopo la separazione o  dopo il divorzio entrambi i coniugi si trovano a fare i conti con un diverso tenore di vita (inteso in senso economico).



I problemi economici non riguardano solo l’aumento dei costi, infatti, entrambi i coniugi si trovano ad affrontare spese duplicate (due appartamenti, due telefoni, duplici utenze acqua, luce, gas ecc.).

Le complicazioni sorgono anche per esigenze più concrete come l’abitazione, basta pensare alla sorte della casa familiare, del resto, se durante il matrimonio un’abitazione (la locazione di una casa) era sufficiente per entrambi, dopo la separazione, è possibile che almeno uno dei due coniugi dovrà trovarsi (e pagare) una nuova abitazione (basta pensare all’ipotesi in cui solo uno dei due coniugi è proprietario dell’abitazione, perché acquistata prima del matrimonio).

Non è, neppure, da escludere che saranno entrambi i coniugi a doversi trovare una diversa sistemazione abitativa (si pensi all’ipotesi di una abitazione in affitto durante il matrimonio, il cui canone di locazione non può essere sostenuto solo da uno dei due coniugi).

E questo sorvolando su situazioni ancora più complicate che danno vita a problematiche infine inerenti il diritto di abitazione della casa familiare in caso di separazione e divorzio: l’esempio classico è quello relativo alla casa familiare di proprietà di uno dei due coniugi e assegnata all’altro come abitazione dei figli, oppure, basta pensare al problema relativo alla casa familiare di proprietà dei genitori di uno dei due coniugi e sempre assegnata all’altro coniuge come abitazione dei figli.

La fonte degli obblighi verso i figli durante il matrimonio
Quelli sopra indicati, di solito, non sono solo problemi economici (personali) degli ex coniugi, ma sono un ulteriore motivo di scontro e di conflitto tra i due ex coniugi, a questa breve carrellata occorre aggiungere tutte le liti ingenerate per giungere alla quantificazione del  mantenimento per il coniuge debole o  per i figli e le liti derivanti per quantificare la durata di detto mantenimento.

Infatti, in presenza di figli sorgono anche gli obblighi di mantenimento verso la propria prole. Questi obblighi sono codificati nell'art. 147 c.c. rubricato con il titolo di “Doveri verso i figli” il quale dispone che “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”. Anche se l'art. 147 c.c. fa riferimento ai figli nati durante il matrimonio, oggi, anche dopo la riforma ex legge del 10 dicembre 2012 n, 219, relativa alla sostanziale equiparazione dei figli nati durante o fuori dal matrimonio, (qui si può leggere l'articolo sulla riforma attuata e da attuare) si può dire che tali obblighi sorgono sempre a favore dei figli e a carico dei genitori (uniti o meno in matrimonio).

Questi obblighi prima che giuridici sono anche morali e sociali "l'obbligo dei genitori di mantenere i figli (articoli 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 5652 del 2012 e 5586 del 2000), ed irrilevante, ai fini dell'an e del quantum del mantenimento del figlio minore, dei contributi eventualmente corrisposti da terzi non giuridicamente obbligati" (Cass. civ. sez. I, del 11 settembre 2012 n. 15162)

La fonte degli obblighi verso i figli dopo la separazione e il divorzio
Nel momento in cui sopraggiunge la crisi del matrimonio il codice prevede, coerentemente con quanto indicato nell'art. 147 c.c., che i doveri di mantenimento verso i figli continuano anche dopo la fine del matrimonio (separazione e divorzio) e l'art. 155 c.c. rubricato con il titolo di “Provvedimenti riguardo ai figli” stabilisce che “ … il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi. Per realizzare tali finalità il giudice che pronuncia la separazione dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. [….]  fissando la misura e il modo con cui ciascuno dei coniugi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli  […..]  ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

Definizione di figli
Con la locuzione "figli" il legislatore intende i figli di entrambi i genitori che si separano, non rientrano in questa categoria (e, quindi, non c’è obbligo di mantenimento) per i figli di uno solo dei coniugi (c.d. figli unilaterali), per comprendere meglio il principio si pensi ai figli avuti da un precedente matrimonio o da una precedente relazione, per questi figli il coniuge non genitore non ha nessun obbligo di mantenimento in caso di separazione e divorzio.

Per cui, presupposto per l’assegno di mantenimento dei figli (ex art. 155 c.c.) è che ci siano figli di entrambi i coniugi, in presenza di figli di uno solo dei coniugi (unilaterali) non è possibile che al coniuge (non genitore) possano essere imposti obblighi di mantenimento  ex art. 155 c.c.  (il quale, si ripete, presuppone il rapporto di filiazione in capo ad entrambi i coniugi).

Il principio per il quale non sorgere l'obbligo di mantenimento per il figlio di uno solo dei due coniugi, non muta, neppure, se il figlio unilaterale abbia convissuto con i coniugi durante il loro matrimonio e tale principio non è, neppure, scalfitto, dalla circostanza che al mantenimento del figlio unilaterale abbiano provveduto entrambi i coniugi durante il matrimonio (Cass. civ. sez. I, del 4 dicembre 2012 n. 21675).

La legittimazione a chiedere il mantenimento
La richiesta del mantenimento (o la legittimazione a chiedere il mantenimento) spetta al coniuge, quando i figli sono minorenni, in presenza, invece, di figli maggiorenni, non autosufficienti, ma conviventi con uno dei due coniugi, la domanda di mantenimento può essere fatta dal coniuge anche in sede di separazione e divorzio, in questa ipotesi ci sarebbe una legittimazione concorrente tra il figlio e il genitore con il quale convive, ferma, ovviamente, la legittimazione del figlio maggiorenne ad agire personalmente (però non in sede di separazione e divorzio). Questi principi sono stati espressamente ripresi dalla giurisprudenza "E' incontroverso che il genitore convivente col figlio minorenne, ovvero maggiorenne ma non autosufficiente, è legittimato jure proprio ad ottenere dall'altro coniuge il contributo per il mantenimento del figlio, il quale e' a sua volta munito di concorrente legittimazione (Cass. citata; nonchè Cass. nn. 21437/2007, 13184/2011) ad agire in via prioritaria per ottenere il versamento diretto del contributo, e, in senso speculare ma opposto, per resistere all'iniziativa giudiziaria assunta dal genitore che non intenda assolvere alla sua obbligazione. La legittimazione personale del genitore convivente presuppone la convivenza col figlio minorenne ovvero maggiorenne ma non autosufficiente e sussiste finche' persiste tale condizione e sempre che il figlio non abbia agito in via autonoma (Cass. n. 11320/2005) esplicando la sua personale legittimazione basata sulla sua personale titolarità del diritto al mantenimento (Cass. di recente n. 13184/2011). Siffatta costruzione esegetica non è mutata a seguito dell'introduzione dell'articolo 155 quinquies c.c., non applicabile però nella specie ratione temporis, che prevede al comma 1 che "Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto" che incide sulle sole modalità  attuative di tale diritto." (Cass. civ. sez. I del 13 dicembre 2012 n. 22951).  "Deve ritenersi che, non essendo intervenuta una sostanziale modifica degli assetti normativi che disciplinano gli obblighi di entrambi i genitori nei confronti dei figli, ancorche' maggiorenni, la legittimazione del coniuge convivente (definita normalmente "concorrente", ma anche, da qualche autore, "straordinaria") ad agire iure proprio nei confronti dell'altro genitore, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio, per richiedere tanto il rimborso, pro' quota, delle spese gia' sostenute per il mantenimento del figlio stesso, quanto il versamento di un assegno periodico a titolo di contributo per detto mantenimento, sussista tuttora (Cass., 24 febbraio 2006, n. 4188). Il giudice, laddove investito da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente, dovra' quindi (sussistendone i presupposti) riconoscere in ogni caso il diritto al contributo fatto valere dal genitore che abbia avanzato la relativa domanda, salva la facolta' di modulare in concreto il provvedimento, prevedendo un "versamento" (termine di per se' maggiormente aderente alla regolamentazione di un mero aspetto attuativo del diritto) nelle sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne, ovvero in parte all'uno ed in parte all'altro. Assume, quindi, rilievo giuridico l'inerzia del figlio maggiorenne alla percezione dell'assegno di mantenimento, essendo comunque salva la possibilita' per lo stesso di iniziare un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente (Cass., Sez. 1 , 24.12.2006, n. 4188; Cass., Sez. 1 , 16.7.1998, n. 6950; Cass., Sez. 1 , 10849/1996; Cass. Civ., Sez. 1 , 12.3.1992, n. 3019; Cass. Civ., Sez. 1 , 7.11.1981, n. 5874), nonche' salvo il diritto del figlio stesso di intervenire nel procedimento relativo alla determinazione e all'attribuzione dell'assegno (Cass., 19 marzo 2012, n. 4296)". (Cass. civ. sez. I del 10 gennaio 2014 n. 359).

Modifica, riduzione o estinzione del mantenimento
Una volta quantificato il mantenimento per i figli, potrebbero verificarsi delle circostanze che potrebbero mutare (aumentare, ridurre o estinguere) detto mantenimento. Si può chiedere l'aumento del mantenimento se la crescita del figlio comporta l'aumento delle spese e contemporaneamente il coniuge obbligato al mantenimento ottiene aumenti di reddito (dovuti a miglioramenti lavorativi o al progredire della carriera) Cass. civ. sez. I, del 17  gennaio 2014 n. 920

Sicuramente non comporta estinzione o riduzione del mantenimento per il figlio l’eventuale nuova convivenza del genitore (affidatario del figlio), questo perché il convivente non ha obblighi di mantenimento di un figlio non proprio, al massimo la nuova convivenza dell'altro coniuge potrebbe essere una causa per una nuova quantificazione dei rapporti patrimoniali tra i due coniugi.

Il mantenimento dei figli non termina con il raggiungimento della loro maggiore età di questi ultimi, ma l’obbligo del mantenimento continua fino a quando i figli non saranno economicamente autosufficienti.

Da quanto detto quindi, si deduce che la cessazione dell’obbligo di mantenimento non è automatico al raggiungimento della maggiore età, ma, soprattutto, (in altri termini), di fatto, si potrebbe anche sostenere che non c’è un limite di tempo certo superato il quale l’obbligo di mantenimento cessa automaticamente.

Elementi necessari per eliminare il mantenimento
È, però, evidente che il legislatore non intende imporre (in eterno) al genitore separato o divorziato il mantenimento del figlio maggiorenne, quindi, lo stesso ordinamento offre al genitore una tutela, quanto meno, nelle ipotesi patologiche. Infatti, il genitore per liberarsi dell’obbligo di mantenimento deve provare che il figlio è diventato economicamente autosufficiente.

Del resto, è principio consolidato in materia di “obblighi di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni quello secondo il quale l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, ex art.  147 e 148 c.c., non cessa, automaticamente, con il raggiungimento della maggiore del figlio, ma dura finché il genitore interessato alla dichiarazione della cessazione dell’obbligo stesso non provi che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, oppure che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso figlio così Cass. civ. sez. I, del 26 settembre 2011 n. 19589” (Cass. civ. sez. VI, del 29 ottobre 2013, n. 24424)

Raggiunta la maggiore età il figlio non ha l’obbligo di cercarsi un lavoro, ma può continuare la propria istruzione, infatti, neppure, l’attività scolastica del figlio (dopo la maggiore età) è un elemento che elimina il mantenimento, sia perché non può considerarsi attività lavorativa retribuita, sia perché, lo studio –  in quanto tale –  non rappresenta un atteggiamento di rifiuto del lavoro o di rifiuto verso il raggiungimento dell’indipendenza economica. Salvo, ovviamente, ipotesi patologiche nelle quali lo studio (es. iscrizione all’università) è solo di “facciata”  (es. nessun esame sostenuto in 5 anni di iscrizione universitari) o i risultati scolastici siano palesemente scarsi o inesistenti. In altri termini, il figlio maggiorenne può continuare ad avere il diritto ad avere il mantenimento se la sua formazione scolastica è reale ed è confermata da risultati.

L’attività economica (che determina la fine dell’obbligo di mantenimento) deve essere stabile e deve essere conforme alle attitudini del figlio. Quindi, per far cessare l’obbligo di mantenimento non è sufficiente un’attività economica saltuaria o precaria, la quale, al massimo, può dar vita ad una riduzione del mantenimento.

Non è equiparabile ad un introito derivante da attività economica e, quindi, non sono  causa di riduzione o estinzione del mantenimento per il figlio, gli aiuti (veri e propri regali) che il figlio riceve dai propri nonni, posto che il figlio non ha diritto ad ottenere o pretendere tali aiuti dai nonni (di fatto, si tratta di vere e proprie donazioni).

Equiparabile all'attività economica (intesa come introito da reddito) è il possesso di un patrimonio che rendono il figlio autosufficiente, in tali ipotesi potrebbe cessare l'obbligo del mantenimento; soprattutto se il figlio "ormai ultratrentenne, dotato di patrimonio personale e ciò nonostante, ancora dedito, a spese del padre, agli studi universitari in sede diversa dal luogo di residenza familiare, senza avere ingiustificatamente né conseguito alcun correlato titolo di studio né trovato, al pari del fratello minore, una pur possibile occupazione remunerativa" (Cass. civ. sez. I del 6 dicembre 2013 n. 27377).

Il genitore per liberarsi dell’obbligo di mantenimento deve provare che il mancato svolgimento di una attività economica del figlio dipende da un atteggiamento di inerzia lavorativa del figlio o da un suo rifiuto ingiustificato di accettare offerte di lavoro ricevute o altrimenti trovate (il rifiuto di un’offerta di lavoro inferiore alle capacità e competenze del figlio  potrebbe non essere un motivo sufficiente per eliminare il mantenimento).

Necessità dell'intervento del giudice per l'eliminazione del mantenimento
Una volta raggiunta l'indipendenza economica, il diritto al mantenimento si estingue. Però, è opportuno precisare che anche nelle ipotesi in cui viene meno il mantenimento, il genitore non può sospendere “automaticamente” il pagamento dell’assegno di mantenimento, (in altri termini l'estinzione dei versamenti a titolo di pagamento non è automatica), ma deve essere sancita dal giudice, il genitore deve chiedere al giudice la riduzione e/o l’estinzione dello stesso, se non segue questa strada il genitore obbligato al mantenimento potrebbe commettere un reato sospendendo il versamento di quanto dovuto a titolo di mantenimento. Il fatto, che nel periodo tra la raggiunta indipendenza economica e la decisione del giudice sull'estinzione del mantenimento il coniuge versi somme (di fatto) non dovute non determina un danno per il genitore, poiché, quest'ultimo, potrà sempre chiedere la restituzione di quanto versato senza obbligo.

Inoltre, una volta raggiunta l'indipendenza economica è possibile che il figlio perda il lavoro e, di conseguenza, perda l'autonomia economica, in queste ipotesi, non ri-sorge l'obbligo di mantenimento, ma al massimo, il figlio che si trova in ristrettezze economiche avrà diritto agli alimenti.

È opportuno ricordare che il mantenimento dei figli è regolato anche dal punto di vista fiscale, in particolare, il fisco regola (in generale) la ripartizione tra i coniugi separati delle detrazioni per i figli a carico, il sistema tributario italiano considera anche il versamento di assegni di mantenimento per i figli, infatti, il genitore che versa il mantenimento, riceve un piccolo riconoscimento dallo Stato in quanto può dedurre tali somme dal proprio reddito, il fisco regola anche la posizione del genitore che riceve l'assegno, quest'ultimo può detrarre l'assegno dal proprio reddito.

Stepchild adoption famiglie arcobaleno e l'adozione del configlio

 In Italia l'adozione del configlio da parte di coppie omosessuali non è riconosciuta a livello legislativo. L'adozione del configlio (o stepchild adoption) è disciplinata sin dal 1983 con la Legge 4 maggio 1983, n. 184 "Diritto del minore ad una famiglia" e permette l'adozione del figlio del coniuge.

L'art. 44 prevede deroghe per alcuni casi specifici:[51]

  • quando gli adottandi sono uniti al minore - orfano di padre e di madre - da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori,
  • quando un coniuge adotta il figlio, anche adottivo, dell'altro coniuge,
  • quando il minore è portatore di handicap[52] e orfano di entrambi i genitori,
  • quando non sia possibile l'affidamento preadottivo.

La stepchild adoption (legge nº 184 del 4 maggio 1983) per coppie omosessuali è stata riconosciuta per via giurisprudenziale già dal 2014 prima della emanazione della Legge 20 maggio 2016 n. 76[53] che ha introdotto le unioni civili tra persone dello stesso sesso. La novella del 2016 non interviene in tema di stepchild adoption se non per prevedere espressamente che "resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti", non impedendo così l'evoluzione giurisprudenziale che consente la possibilità da parte dei tribunali di applicare le norme sull'adozione in casi particolari che dal 2007 è ammessa anche in coppie non legate da vincolo matrimoniale e quindi anche a coppie omosessuali.

Nel 2014 il Tribunale dei Minori di Roma ha ritenuto che nessuna legge esprima il divieto per un genitore omosessuale di richiedere l'adozione del figlio del partner. "Considerando che l'obiettivo primario è il bene superiore del minore, è stato permesso ad una donna di adottare la figlia naturale della compagna."[54] Per questo caso il tribunale si basò sull'art. 44 della legge del 4 maggio 1983.

Alcune settimane dopo l'entrata in vigore della legge Cirinnà, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del procuratore generale e ha confermato la sentenza della Corte d'Appello di Roma, con la quale era stata già confermata la sopra menzionata domanda di adozione al Tribunale dei Minori di Roma della minore proposta dalla partner della madre, con lei convivente in modo stabile. Con la sentenza 12962/16, pubblicata il 22 giugno 2016, i giudici della Suprema Corte hanno definitivamente confermato questa adozione, affermando che "non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l'eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice". Secondo la Cassazione, inoltre, questa adozione "prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore".[55]


 


Nessun commento:

Posta un commento